“Grazie, è fantastico: siete riusciti a mettere d’accordo democratici e repubblicani”: la battuta - attribuita dal New York Times al senatore Richard Blumenthal - rivolta a Joe Berchtold, presidente e direttore finanziario di Live Nation, la dice lunga su come è andata la prima udienza convocata a Washington ieri, martedì 24 dicembre, dalla Commissione Giustizia del Senato americano per fare luce sul mercato dei biglietti per gli eventi dal vivo dopo l’ormai nota debacle registrata in occasione delle prevendite per il tour americano di Taylor Swift. Le accuse mosse alla società madre di TicketMaster, rappresentata dal proprio Chief Financial Officer, riguardano essenzialmente un supposto abuso di posizione dominante. Secondo politici e addetti ai lavori - in rappresentanza di questi ultimi sono stati chiamati l’ad di SeatGeek Jack Groetzinger e Clyde Lawrence, insieme alla sorella Gracie titolare del progetto Lawrence - il colosso californiano guidato da Michael Rapino, accorpando in un’unica entità le figure di live promoter, agenzia di ticketing e titolare di venue, godrebbe di un rapporto di forza eccessivamente sbilanciato a proprio favore nei confronti di artisti e pubblico. E, soprattutto, della concorrenza. I rilievi sono stati contestati punto per punto da Berchtold, secondo il quale le critiche sarebbero basate su informazioni non corrette. Se, riguardo il controllo delle venue, il CFO di Live Nation ha dichiarato la titolarità di appena il 5% delle sale operanti nel paese, circa la fissazione dei prezzi dei tagliandi il manager della società ha attribuito agli artisti la facoltà di indicare il valore dei titoli d’ingresso. Le posizioni di Berchtold sono state contrastate sia dai membri della commissione (secondo i quali Live Nation eserciterebbe il proprio potere sulle venue non solo attraverso le proprietà - che, secondo i detrattori, riguarderebbero gli spazi più importanti e redditizi - ma anche per mezzo di contratti di biglietteria esclusiva siglati con il 97% delle arene che ospitano gli eventi sportivi delle maggiori leghe a stelle e strisce, NBA, NHL e NFL), sia da Lawrence, che ha portato all’attenzione dell’assemblea un’esperienza personale: fissato il prezzo di un biglietto per il proprio spettacolo a 30 dollari, Live Nation ha applicato al tagliando un commissione del 40%, che ha fatto lievitare il prezzo finale all’utente a 42 dollari. Al netto dei costi vivi per l’organizzazione della data, “a noi sono rimasti 6 dollari (a biglietto), da spartire con una band di 8 elementi, tasse e assicurazione sanitaria escluse”. Contestazioni sono state anche mosse riguardo la quota di mercato attribuibile a Live Nation / TicketMaster, che l'accusa supererebbe il 70%, mentre secondo Berchtold sarebbe costantemente diminuita negli dalla fusione tra le società a oggi, dando vita nel 2023 a quello che lo stesso CFO ha definito "un mercato mai così competitivo e ricco di nuovi concorrenti". Al di là delle spigolature, è importante capire a cosa potrebbe portare l’iniziativa presa dalla Commissione Giustizia del Senato USA. Dando nel 2010 il semaforo verde alla fusione tra Live Nation e TicketMaster, l’antitrust americana subordinò il proprio parere favorevole a un accordo decennale che imponeva al neonato gigante di non attuare politiche ritorsive nei confronti di venue e operatori che scegliessero servizi di biglietteria diversi, appunto, da TicketMaster. La clausola, scaduta nel 2020, è stata rinnovata fino al 2025. Benché, al momento, pare improbabile che la giustizia americana possa deliberare sul tema in modo tanto drastico quanto repentino, è impossibile non rilevare come quella andata in scena poche ore fa a Washington sia la seconda messa in discussione istituzionale in pochi mesi - la prima fu quella avanzata dal rappresentante al Congresso Bill Pascrell in occasione dell’ondata di indignazione per il dynamic pricing applicato ai biglietti del tour americano di Bruce Springsteen - del merger più importante (e discusso) dell’industria musicale globale.