I fatti sono sintetizzati qui e qui, e l’impressione è quella di un uno-due studiato con attenzione, calibrato per bene e sferrato con accuratezza. SoundOn, il programma che TikTok ha progettato e realizzato come strumento dedicato all’upload e alla distribuzione di musica in streaming per emergenti, era già attivo tecnicamente in una serie di mercati, tra cui quello americano. Il suo lancio in Australia arriva appena dopo che proprio “down under” la app cinese ha cominciato a sperimentare l’assenza di musica delle major. La doppia mossa apre a una serie di scenari. Come minimo, stanno per affluire nella stanza dei bottoni di TikTok enormi quantità di dati, immediatamente trasformabili in analitiche e metriche significative, che permetteranno di capire in che misura la app di Bytedance può andare avanti nel suo core business senza dipendere dalle etichette (e senza spendere in licenze). Estremizzando, TikTok ha appena cominciato il rodaggio della sua etichetta. A seguire, ci sono considerazioni da fare circa il ruolo e il peso prospettico di Believe, che possiede Tunecore, la quale è stata scelta e confermata come partner esclusivo di SoundOn – il proxy mediante il quale i creatori, oltre che caricare la propria musica su TikTok e su Resso (la seconda è la “cugina” della prima sul mercato cinese) – possono sbarcare in streaming sui DSP tradizionali (ossia: Spotify etc.). L’accoppiata SoundOn – Tunecore ha tutte le credenziali per invadere i servizi di streaming già caratterizzati da sovrabbondanza di offerta e dalla questione di una sempre più ardua music discovery; ma anche per fare parecchi soldi extra che, se fosse questo il caso, si incanalerebbero verso la realtà indie (per quanto, per la parte che fa rotta verso Believe, quotata). Poi c’è la questione del modello di business, che si discosta da quello tradizionale e incarna appieno lo stile della creators economy: nel primo anno di iscrizione al proprio servizio, infatti, SoundOn pianifica di retrocedere agli artisti il 100% delle royalties generate in piattaforma, e dal secondo anno di scendere solo al 90% (fuori mercato per il resto del mondo dello streaming). Inoltre c’è un tema artistico ed esperienziale. Gli utenti decreteranno o meno la bontà e l’autosufficienza del bacino artist direct per quelle che sono le loro esigenze primarie? Chiesto diversamente: per funzionare bene come colonna sonora di short videos, basteranno i tag di genere o per le canzoni la celebrità resta un fattore essenziale? Infine, come non pensare che in una piattaforma autosufficiente e di proprietà non siano infilabili anche molti prodotti artificiali? TikTok vorrà essere da meno rispetto a Tencent e alla sua pantagruelica produzione in chiave AI? Domande, curiosità e suggestioni embrionali. Sta di fatto che, estremizzando, TikTok sta testando un’impostazione inedita che ribalta l’esperienza che l’industria musicale ha fatto a suo tempo con YouTube. Cioè: sta suggerendo che, per partecipare alla più popolare app del mondo e all’ecosistema del leader di mercato per l’advertising digitale, le label dovranno negoziare l’accesso prima ancora che le licenze.