La scorsa settimana abbiamo riferito le statistiche della RIAA sull’industria musicale americana per l’anno 2022. A momenti usciranno i dati IFPI, con i quali capiremo sia se le tendenze evidenziate dai dati RIAA sono sostanzialmente confermate, sia se l’Italia sarà restata tra i primi dieci mercati del mondo e se sarà cresciuta ancora a due cifre. Quanto a quest’ultima curiosità, è probabile che solo una delle due eventualità si verifichi. Quanto invece alla conferma o meno di certe tendenze e statistiche, ecco qualche pensiero. L'anno scorso, i ricavi dei servizi di abbonamento a pagamento hanno superato i 10 miliardi di dollari per la prima volta, secondo i dati della RIAA, e i ricavi complessivi hanno raggiunto i 15,9 miliardi di dollari. E’ la crescita più bassa dal 2016, l’anno della svolta e della ripresa per l'industria della musica registrata dopo quel declino durato 15 anni che fu innescato dal P2P: entrate totali in aumento del 6,1%, dunque, circa un quarto rispetto all’incremento del 23,2% del 2021. I proventi da streaming a pagamento sono cresciuti del 7,2% nel 2022, ossia un terzo rispetto alla crescita del 22,2% del 2021: in particolare, per la prima volta dal 2010 il tasso di crescita di questo segmento è sceso a una sola cifra percentuale. Anche Il tasso di crescita dei ricavi da streaming di tipo “ad-supported” è stato a una sola cifra per la prima volta in oltre un decennio: i servizi di streaming hanno retrocesso alle etichette discografiche royalties pubblicitarie in aumento del 5,6% rispetto al 44,4% nel 2021 e al 16,8% nel 2020. Ci si chiede: ma come tornerà a crescere a due cifre il mercato? Se lo farà, sarà perché si verificheranno due situazioni, ciascuna con sfumature importanti al proprio interno. La prima – prima per peso strategico – è la progressiva riduzione del peso percentuale dello streaming sul totale dei ricavi, che oggi vale l’84%. Il che implica guardare anche altrove: per RIAA il vinile sta al 7,5%, è una splendida nicchia ad elevata redditività che potrà dare una mano (è cresciuto del 17,2%) ma rimarrà minoritaria per definizione. Forse il potenziale più elevato si cela dietro un altro segmento fortemente sotto-rappresentato oggi, cioè la sincronizzazione, che vale solo il 2,4%. Non dico di guardare al sync come all’eldorado della musica registrata del futuro, ma è evidente che sia la frontiera di maggiore prospettiva se la si considera dentro a un contesto caratterizzato da una creators economy in ascesa con un comparto indie agguerritissimo, dal rilievo che i cataloghi hanno assunto nell’industria musicale e dal gaming che impazza. La seconda situazione riguarda il mix dei ricavi interni al comparto dello streaming stesso. In questo caso il contesto è influenzato soprattutto da due fattori: un dibattito sulla equità, congruità e contemporaneità del suo modello di business (vedasi l’ormai arcinota esternazione di Lucian Grainge, analizzata a commentata qui) e una scena digitale in cui da un lato TikTok recita il ruolo che fu di YouTube dieci anni fa e dall’altro Spotify guarda al modello di TikTok. Come aumentare i ricavi in questo contesto? Incrementando il numero di utenti iscritti e abbonati (guardare a est e a sud, dove Spotify, Apple Music e Amazon sono comprimari); aumentando le tariffe di abbonamento (guardare a Spotify, che potrebbe imitare i suoi concorrenti che l’hanno già fatto, ma non sperare che accada nel meridione del mondo, dove i fee sono più bassi per definizione); negoziando con TikTok per una retrocessione di ricavi all’industria che tolga lo spettro del value gap dall’armadio; e modificando le regole di ripartizione dei ricavi da streaming in modo da ripristinare quote di mercato che non siano erose dalla dispersione della coda lunga e lunghissima. Traduco: se gli artisti-hobbisti (quelli che pubblicano e caricano un brano che fa 10 plays in tutto il mondo) fossero esclusi dalle ripartizioni ogni volta che i loro brani non raggiungono una soglia minima di stream, il pool di ricevi sarebbe suddiviso tra meno attori. Non è un auspicio, è un dato di fatto che è sensato prendere in considerazione perché è vero che le piattaforme sono zeppe di fuffa inutile e ingolfate da qualche bricconcello di troppo. E ora attendiamo IFPI: poi ne riparliamo.