Nel 2020, Spotify ha lanciato sul mercato statunitense Discovery Mode- funzionalità che consente di segnalare agli algoritmi del dsp brani considerati “prioritari” dagli stessi titolari dei diritti in cambio di una parte delle royalties dei flussi risultanti - che ha ricevuto, fin dall’inizio, diverse critiche tra cui quelle presentate dal Congresso USA lo scorso maggio. In quell’occasione, che non è stata l’unica, l’ente governativo ha chiesto alla società di Daniel Ek di fornire maggior dettagli sulla modalità di funzionamento di Discovery Mode e di indicare come “contenuti a pagamento” i brani interessati. A distanza di un anno da quelle osservazioni, ad esporre ulteriori criticità sono gli artisti indipendenti dopo l’annuncio di Spotify di voler estendere il programma anche nel loro settore durante l'evento Stream On; tra gli obiettivi della piattaforma di streaming c'è quello di raggiungere 100 miliardi all'anno entro il 2032. La decisione di concentrarsi sui professionisti indie - la maggior parte dei quali non ha milioni di ascoltatori mensili – sembra giustificata dal fatto che le major non siano disposte ad essere coinvolte nelle modalità di Discovery Mode e ad accettare i relativi tagli alle royalty: Universal Music Group, per esempio, ha dichiarato di essere a lavoro con Tidal per sviluppare "un nuovo modello economico innovativo per lo streaming musicale”. Spotify, al momento, è fuori da questa iniziativa. Il report pubblicato da Ari's Take, società di formazione nel settore della musica e di difesa degli artisti, preveda che il compenso di Discovery Mode sia pari al 30% delle royalties (esclusivamente per gli stream derivanti da una campagna); di conseguenza e insieme alle critiche passate e presenti, i creator potrebbero avere qualche perplessità nell’affidare al prodotto di Spotify alcuni dei propri brani. Dall'altro lato, però, sul dsp confluisce una quantità enorme di musica e Discovery potrebbe essere una soluzione per “emergere” e beneficiare su una maggiore esposizione. A sostegno di quest’altra osservazione, che non è di certo l’unica, ci sono i dati pubblicati dalla Recording Industry Association of America (RIAA), associazione di categoria dell’industria discografica statunitense, relativi ai ricavi generati dal settore nel 2022, pari a 15,9 miliardi di dollari: lo streaming ha rappresentato i due terzi del mercato con 13,3 miliardi di dollari.