Negli Stati Uniti il numero di spettatori di YouTube che fruiscono dei suoi contenuti su schermi TV è aumentato di oltre il 50% in tre soli anni, passando da una quota inferiore al 30% del totale nel 2020 ad una del 45% nel 2023. Non c’è, oggi, nessun altro servizio di streaming che possa vantare un pubblico televisivo di tali dimensioni in America (che, in effetti, sono superiori anche a quelle di qualsiasi altro network televisivo americano tradizionale). Il dato racconta di come una transizione tecnologica e di consumo si sia compiuta, alla fine: la crescita della TV di tipo “internet-connected” ha reso piacevole guardare i video di YouTube su schermi più comodi di quelli di smartphone e laptop. Soprattutto, lo user generated content, il materiale hobbystico e dilettantistico, le produzioni low-fi e indie si sono mescolate a quelle degli studios e alla programmazione tradizionale (tant’è che la leadership conquistata sull’audience televisiva dipende per la quasi totalità dal servizio standard di YouTube, laddove la sua “YouTube TV” – ossia, il suo servizio a pagamento che nel modello di business emula la TV via cavo e satellitare ad abbonamento – conta soltanto in minima parte). Quando circa metà della popolazione del paese con il più importante mercato pubblicitario del pianeta decreta un risultato del genere, le conseguenze per quel mercato sono impattanti. I responsabili di marketing e le centrali di acquisto hanno da tempo riorientato la destinazione dei budget pubblicitari dalla TV tradizionale ai mezzi digitali, di fatto riconoscendo il valore dello UGC e assimilando lo status dei contenuti parcellizzati e on demand che hanno reso grande YouTube e ricche Google e Alphabet a quello delle grandi produzioni, quanto a impatto sulle intenzioni di acquisto dei consumatori. Però la crescita di YouTube sulla piattaforma televisiva è il vero motivo per il quale i suoi ricavi pubblicitari sono passati dai $ 15,1 miliardi del 2019 ai $ 29,2 miliardi del 2022. Siamo in uno di quei casi in cui la pandemia ha innescato in un comparto industriale un circolo virtuoso: costringendo la gente a casa, l’ha stimolata a fruire del consueto materiale online sulla più comoda TV; il che, a sua volta, ha reso YouTube un contenuto premium come quello tradizionale agli occhi degli inserzionisti e dei pianificatori che, è un fatto, non possono certo ignorare il peso di 135 milioni di spettatori mensili che visitano YouTube sulla internet-connected TV. E siamo anche in uno di quei casi in cui l’Economia dell’Attenzione mostra all’improvviso tutti i suoi effetti, mescolando la concorrenza tra settori una volta distinti: perché, con la “migrazione” verso il salotto, ora YouTube non compete più solo con TikTok e Spotify per la musica, ma anche con Prime e Netflix da un lato e con i network televisivi tradizionali dall’altro in un senso più generalista. Infine, vale la pena annotare un particolare ancora più curioso: mentre per YouTube prendeva corpo la “mutazione” in termini di piattaforma e il servizio iniziava a puntare sull’abbonamento a pagamento (YouTube TV), per Netflix prendeva corpo l’adozione (parziale) del modello ad-funded, con il lancio di un tier economico da soli & 6,99/mese sovvenzionato dalle interruzioni pubblicitarie (con la raccolta per ora affidata a Microsoft). Oggi sono entrambi l’equivalente di due piccole startup all’interno di grandi gruppi di appartenenza, con quote di mercato irrisorie e capacità reddituale molto marginale. Domani? Chissà.