Nessuna preclusione alle opere realizzate con l’intelligenza artificiale generativa, ma tolleranza zero nei confronti delle manipolazioni degli stream: Spotify tiene il punto e - dopo la sospensione cautelativa di parte del repertorio di Boomy di settimana scorsa - prosegue nella sua opera di contenimento del traffico artificiale sui propri cataloghi. Nelle ultime ore il DSP svedese quotato a Wall Street ha ritirato dalla propria offerta una porzione “significativa” di repertorio non legato a Boomy dopo aver rilevato irregolarità nell’andamento degli stream, il più delle volte “gonfiati” artificialmente - tramite appositi bot o altre soluzioni informatiche - per ottenere pagamenti delle royalties più consistenti. A proposito dei tentativi di manipolazione degli stream un portavoce della piattaforma ha citato - oltre ai classici passaggi “drogati” in termini numerici - anche “opere non naturali o manipolative per genere, formato, minutaggio o anomalie sui metadati”, che andando a “sporcare” il catalogo del servizio “danneggiano gli artisti onesti e creativi”. Dal canto suo, Boomy ha assicurato la massima collaborazione nella campagna di opposizione di Spotify ai fake stream. “Siamo categoricamente contrari a qualsiasi genere di manipolazione”, ha fatto sapere la società californiana in una nota consegnata alla stampa americana: “Abbiamo collaborato con i nostri partner per far fronte al problema e riattivare i brani dei nostri artisti sulla piattaforma”. Problema risolto? Sì, ma con riserva. Soluzioni di intelligenza artificiale generativa come Boomy allargano gli orizzonti della comunità artistica globale a chiunque disponga di una connessione, di fatto sovrapponendola alla platea di ascoltatori. Negli ultimi cinque giorni solo da Boomy sono state uploadate su Spotify oltre 111mila brani, con una media di oltre 20mila canzoni al giorno. Grimes AI, il generatore vocale lanciato dalla cantautrice canadese appena qualche giorno fa, in poco meno di una settimana ha già accumulato oltre 15mila utenze. Repertorio che va a ingrossare quel “white noise” indicato dal presidente e ceo di Universal Music Lucian Grainge come primo problema dell’attuale modello di streaming audio.