Il cambiamento di modello di pagamento delle royalties di Spotify sta assomigliando sempre di più a quello elaborato da Deezer e Universal Music per la svolta artist centric annunciata all’inizio dello scorso mese di settembre: secondo MBW il limite fissato dal DSP svedese perché un’opera generi ricavi a beneficio dei titolari dei diritti è di 1000 stream all'anno. Secondo i gestori del servizio il provvedimento servirà a escludere dalla monetizzazione i brani che generano in media revenue pari a cinque centesimi al mese, che - tradotto in ascolti - si traducono in circa 200 stream ogni trenta giorni. Secondo i piani di Spotify, questa modifica contribuirà a ridistribuire a partire dal prossimo anno oltre 40 milioni di dollari nella tasche di artisti e titolari dei diritti, riallocando parte dei ricavi - pari a circa lo 0,5% del totale di quelli generati complessivamente dal DSP - che in precedenza veniva “distrutto da pagamenti iper-frazionati che il più delle volte non raggiungono nemmeno le persone fisiche, ma restano bloccati sui conti bancari, perché le piattaforme di distribuzioni, spesso, richiedono una soglia minima di ricavi per consentire a indipendenti e unsigned di riscuotere i propri guadagni”. Oltre alla soglia minima di 1000 stream all'anno, Spotify baserà l’evoluzione del proprio modello di pagamento anche sulla penalizzazione di distributori o etichette coinvolte in attività fraudolente di manipolazione degli ascolti e sull’introduzione di una durata minima delle tracce “non musicali” - white noise e rumori d’ambiente - per generare royalties.