Come ampiamente prevedibile, non hanno mancato di sollevare un dibattito le dichiarazioni rese nella giornata di ieri - lunedì 20 novembre - dal Sottosegretario alla Cultura con delega allo Spettacolo dal vivo e alla Musica Gianmarco Mazzi in occasione del panel istituzionale di apertura della settima edizione della Milano Music Week. Come già riferito da Rockol, Mazzi ha condannato i testi violenti, sessisti e volgari di alcune star della scena rap / trap italiana, invitando le grandi case discografiche multinazionali Universal Music, Sony Music e Warner Music - “rappresentate a questo tavolo” da FIMI - a non mettere sotto contratto artisti che propongano questo genere di contenuti. “Sono per la totale libertà di espressione, ma sono anche per la responsabilità sociale”, aveva spiegato, concludendo il suo intervento, Mazzi: “Contesto che le aziende sostengano questo tipo di musica, perché le aziende hanno un codice etico, che hanno inventato proprio loro, le multinazionali americane. Se lo impongono ai loro lavoratori, perché non lo impongono anche fuori? Non sopporto che si faccia business su queste cosa: la tolleranza in merito dovrebbe finire”. Alle dichiarazioni di Mazzi ha replicato oggi, martedì 21 novembre, Alessandro Massara, presidente di Universal Music Italia. “Ovviamente, il tema lo affrontiamo, ma personalmente sono contrario a ogni forma di censura nell'arte, che sia musica, cinema o letteratura”, ha spiegato, ai microfoni di Radio RTL 102.5, Massara: “Certamente, non entriamo negli studi di registrazione con la matita rossa e blu per correggere i testi; non è il nostro lavoro, e penso che non debba essere fatto. Anche noi siamo genitori, e la preoccupazione è presente e crescente, ma ricordo che negli anni '80 il Senato americano istituì una commissione per analizzare i testi dei gruppi satanici di heavy metal, senza risultati, e divenne famosa l'interrogazione a Frank Zappa che difese i testi di questi artisti da ogni forma di censura”. Un richiamo a quanto successo all’inizio degli anni Ottanta negli Stati Uniti è stato fatto, in risposta al j’accuse di Mazzi, da Enzo Mazza, ceo di FIMI. Citando il caso del brano dei Dead Kennedys “I Kill Children” il numero uno della Federazione Industria Musicale Italiana ha osservato: "La censura [ai danni degli artisti i cui testi vennero messi all’indice dal governo americano quarant’anni fa, ndr] portò la cultura punk a moltiplicarsi, alimentata dal fascino del divieto. Mio figlio ascolta dieci artisti hip hop, italiani e americani, sette dei quali attualmente sono in galera: se gli muovo questo tipo di osservazioni la sua risposta è ‘stai calmo, brò: poi ne parliamo’. Fare sembrare questi artisti censurati dalla discografia li farebbe ascoltare ancora di più di quanto non lo siano ora. Questo problema ci riguarda tutti, senz’altro: è un tema che riguarda la cultura nazionale e sociale, non solo in Italia. Ed è un tema difficile, per il quale dovremmo organizzare un convegno ad hoc. Cerchiamo di individuare un tavolo permanente di confronto per affrontare questo problema: oggi non ci sono più gatekeeper, i rapper possono andare in classifica anche senza essere sotto contratto con una casa discografica”.