Mi è stato chiesto di commentare la proposta dell’onorevole Gianmarco Mazzi, sottosegretario alla cultura con delega alla musica e allo spettacolo, “da donna, da mamma e da esperta di rap”, in quest’ordine. E io mi attengo pedissequamente alla consegna. Ma prima, un piccolo riassunto delle puntate precedenti. Ieri pomeriggio alla Milano Music Week, nell’ambito di un panel sul futuro della musica italiana, il sottosegretario Mazzi ha espresso una forte reprimenda nei confronti dei contenuti di alcuni testi rap, auspicando che vengano “rivisti e controllati” perché a suo dire sono “un inno alla violenza contro le donne”. Ne ha declamato addirittura alcuni versi, per sottolineare il concetto: per esempio “Lei ce lo succhia senza le mani, ha un superpotere / Sto fumando schegge, è caduto un grammo dentro al posacenere” (da Syrup di Shiva); “E se avessi avuto una tipa / era solo per tenerle i pezzi in figa” (da Cagoule di Simba La Rue). L’estrema crudezza delle parole scelte, e il fatto che tre rapper sui quattro menzionati (Shiva, Simba e Baby Gang, si salva solo Paky) siano attualmente detenuti, non aiuta certo a mettere le cose in prospettiva. Mazzi prosegue prendendosela con le etichette che “fanno business su certi testi”, sottolinea che quei personaggi riscattano se stessi “avvelenando intere generazioni”, che non ce l’ha con un intero genere ma tuttavia “questi personaggi non devi farli salire sui palcoscenici” e conclude che il comparto della musica ha il suo pieno supporto e che si percepisce come un membro di questa grande famiglia per cui è pronto a battersi, ma “come faccio con questi testi che girano?”. Insomma, anche se non pronuncia mai ad alta voce la parola, sembrerebbe evocare una sorta di censura preventiva nei confronti dei rapper. Il commento da donna: tra le migliaia di motivi per cui un’esponente del sesso femminile potrebbe sentirsi offesa in questo disgraziato e tormentato terzo millennio, l’utilizzo di certe metafore (perché di metafore si tratta) nelle espressioni artistiche non mi offende affatto. Nelle canzoni, nei film, nei romanzi, certe immagini o espressioni sono funzionali alla rappresentazione di una realtà o di un mondo fittizio, e quasi mai gratuite. Ciò che invece mi offende è che nessuno pensi a come risolvere i problemi veri. L’occupazione femminile che non decolla e fa sì che una larga fetta di donne non siano mai indipendenti e in grado di decidere per sé; la violenza che viene considerata tale solo quando lascia lividi o cadaveri, e non quando è violenza psicologica o economica; l’educazione affettiva che sembra l’ultima delle priorità; la cultura patriarcale, che a differenza della teoria del gender esiste eccome e sarebbe urgente sradicare, eccetera eccetera. Mi offende anche il fatto che molti maschi “illuminati”, che in teoria si professano per la totale parità di genere e contro ogni forma di violenza, sopruso e abuso, si indignino a ogni femminicidio, ma poi non proferiscano parola quando l’amico controlla il telefono della fidanzata, o il capo tratta la collega donna come la sua segretaria. Il commento da mamma (poco approfondito perché mia figlia attualmente ha tre mesi, non mi sono ancora calata pienamente nel ruolo): mi fa paura che i bambini o i giovanissimi siano esposti a messaggi che ancora non riescono a comprendere e decifrare pienamente? Certo. Ma è a questo che serviamo noi adulti, e in particolare noi adulti che lavoriamo nei media, nel caso specifico: a fornire chiavi di lettura. A disinnescare, demistificare, spiegare, sollevare dibattiti e dare un contesto. Ad aiutarli a farsi un’opinione informata. Non possiamo mettere al mondo una nuova generazione, consapevoli che vivrà in un mondo oltremodo complicato e dark, e lavarcene allegramente le mani. E invece sembra che la maggior parte degli over 30 non sia neanche disposta ad ascoltare per curiosità la musica che amano i loro figli, e tantomeno a capire il perché la amano così tanto. Il commento da esperta di rap: ancora una volta mi trovo a dover ribadire che il rap in sé non sarebbe maschilista. Il rap se la prende con tutto e tutti: maschi, femmine, etero, gay, magri, grassi, bassi, alti, bianchi, neri. In nome dell’invettiva verbale e per amor di punchline, direbbe tutto e il contrario di tutto, ma il pilastro fondamentale della cultura hip hop è sempre stato il rispetto, quindi bisognerebbe sempre distinguere le convinzioni dei singoli dalle loro eventuali battute a effetto. A volte si esagera e si travalica il limite del buongusto o del lecito, e questo non lo nega nessuno, ma la violenza contro le donne è sempre frutto della società, e mai di un genere musicale che semmai la fotografa (anche se certo, bisognerebbe distinguere anche la musica dal musicista, perché alcuni musicisti sono sì violenti). Peraltro, i dati relativi alla violenza di genere non sono certo aumentati proporzionalmente al successo del rap in classifica: difficile, quindi, ritenerlo una concausa nei femminicidi o negli altri crimini ai danni delle donne. Insomma: se è un dato di fatto che la censura non è mai stata una buona idea, nel caso specifico mi appare ancora più insensata. C’è ben altro da fare, prima di arrivare a decidere a chi permettere di fare musica e a chi no. Leggi anche l'opinione di Claudio Cabona.