Nel pomeriggio di giovedì 23 novembre, Base – via Borgognone 34, Milano - ha ospitato “Musica e Fin-tech: royalties e cataloghi tra tecnologia e finanza”, il panel co-prodotto da Rockol MusicBiz ed Elled Law Firm, dedicato al rapporto e alle dinamiche (presenti e future) tra musica e tecnologia. Sono intervenuti Roberto Razzini (Sony Music Publishing Italy), Lorenzo Rigatti (Blockinvest) e Daniela De Bellis (Elled Law Firm); a moderare l’incontro è stato l’amministratore delegato di Rockol Giampiero Di Carlo. Il dibattito è iniziato con la spiegazione del ruolo che ha l’editore all’interno dell’industria musicale; Razzini ha chiarito: “L’editore ha un ruolo molto importante e radicato nel musicbiz perché ha lo scopo di trovare una soluzione per far affermare gli autori nel mercato: è l’inizio del ciclo produttivo. Il diritto d’autore è la remunerazione per l’attività creativa per autori e l’editore è il punto di riferimento. Non dimentichiamoci che il primo supporto per diffondere la musica è stato lo spartito, solo successivamente grazie alla tecnologia, ci sono stati altri strumenti che hanno contribuito alla missione. Quindi, ben vengono i processi tecnologici di innovazione. L’esperienza, però ha fatto maturare una riflessione: lo sviluppo tecnologico se non è accompagnato da norme giuridiche diventa uno strumento negativo che toglie risorse al mondo della musica, che vive principalmente di diritti. Le norme sono fondamentali per aiutare i player a disciplinare il mercato affinché la comunità creativa venga protetta e capace di sostenersi. Abbiamo attraversato momenti complicati quando siamo passati dallo stato solido (formato fisico) a quello liquido (download); adesso siamo a quello gassoso (streaming)”. La musica è uno di quei settori che più subisce le conseguenze dell’evoluzione tecnologica, con annesso tutti i cambiamenti del caso; ma gli autori, quanto sono consapevoli di questi procedimenti? Razzini ha continuato: “È complicato trovare una collocazione tra la necessità e consapevolezza tra gli aventi diritto. Il nostro è un lavoro tecnico che necessita di una preparazione non solo da chi sta dietro la scrivania, ma anche dagli autori che devono avere consapevolezza dei loro diritti: è questo il passaggio dall’essere un hobby ad un vero lavoro che permette di pagare le bollette di viverci. Oggi le nuove generazioni hanno poca consapevolezza dei meccanismi e delle logiche del diritto d’autore perché c’è stata una crescita molto veloce – e il periodo pandemico non ha aiutato - e questa generazione ha perso quel passaggio di conoscenze e apprendimento: questo è molto pericoloso. C’è un gap culturale – una mancanza di conoscenza - che andrebbe colmato sulla figura dell’editore, anche perché non è un lavoro i cui risultati si vendono nell’immediato come può essere per altri scomparti (il live, il booking, per esempio): c’è molta differenza nei tempi e nella complessità. È importante pensarci, specialmente se si guarda al futuro e al rapporto con le royalties”. Sul tema della ripartizione delle royalties il moderatore Di Carlo si è soffermato per illustrare le dinamiche scaturite (anche) dalla nascita di start up come Royal, SongShare, Beatbread e Jukebox (solo per citarne alcune). “Le royalties sono sempre state centrali e lo sono ancora di più nello streaming – ha spiegato l’ad di Rockol - C’è un dibattito sul metodo di ripartizione, a maggior ragione con l’influsso dell’AI. Fintech e musica si incrociano perché la musica è considerata dal mondo della finanza un asset; quindi, soggetto a valorizzazione e attività di trading. Quello che bisogna capire è quanto l’incrocio tra musica, finanza e tecnologia porti verso gli investitori individuali; fino ad oggi musica e finanza sono stati soprattutto in una dimensione b2b, ma grazie alla blockchain e alla decentralizzazione e alla tecnologia sono nate delle startup che stanno facendo un lavoro interessante, ognuno a sua modo come Royal, SongShare, Beatbread e Jukebox. Il fintech è entrato nella musica e aperto tante porte: la canzone come asset per generare ritorni ricorrenti. Daniela, qual è il freno legale?” Daniela De Bellis ha presentato l’attuale quadro normativo, spiegando: “Spesso gli interventi legislativi e regolamentari rincorrono la rivoluzione tecnologica: quando si parla di asset digitali si fa riferimento ad una strategia di finanza digitale che è arrivata solo, per esempio, dopo che è nata la società di Lorenzo Rigatti, Blockinvest. Oggi la normativa c’è perché abbiamo la Digital finance package, costituita da tre pilastri: pilot regime, il MiCA (che disciplina le cripto attività) e DORA. Facendo riferimento al discorso sulle startup, molte di queste avranno vita breve perché si basano sulla rappresentazione dei diritti di credito come NFT, ma dal punto di vista legale non c’è una definizione normativa perché è un qualcosa di non fungibile, non ha un’identità tale per cui ogni token è diverso dall’altro”. Partendo da quest’ultimo punto, Lorenzo Rigatti ha descritto cosa fosse un NFT, aggiungendo: “Voglio porre l’accento su questo: la tecnologia deve essere funzionale al business, l’evoluzione del settore va verso la democratizzazione e dare la possibilità di investire e fruire. È qui che entra in gioco l’NFT, un oggetto digitale, una tipologia di token che è la traduzione dei diritti incapsulati nel token stesso: grazie a questa tecnologia si riesce a traferire la titolarità dei diritti agli autori (tokenizzazione). Nel settore finanziario quando si parla di processi consolidati è più complicato per il processo e coinvolgere i diversi attori; quindi, è necessario unire i punti, la parte tecnologica con quella finanziaria. Per quanto riguarda l’AI, questa può avere dei risvolti pericolosi e la blockchain può intermediare perché è nata in modo democratica, è human centric e riesce a tradurre delle logiche di business e metterle dei confini”. Roberto Razzini ha esposto il punto di vista di una società di publishing: “Vi confesso: sono perplesso. Il lavoro che viene fatto per creare un repertorio parte da un’attività artigianale ed è un processo valido ancora oggi; sono perplesso nell’industrializzare questa fase perché la musica non è fungibile: è un processo di costruzione che necessita dell’intervento dell’editore e si rinnova su base quotidiana. Inoltre, questo discorsa sta sfumando con i tassi di interesse rialzati (basti pensare al caso Hipgnosis): la musica non è più appetibile come qualche anno fa. Questo lavoro di ricerca e creatività necessita di una professionalità, non è legato solo a un discorso di monetizzazione finanziaria”. È con questa riflessione che i professionisti salutano il pubblico; l’invito (di Razzini): “La musica non è solo un prodotto finanziario: è emozione”.