Le playlist musicali fanno parte della quotidianità di tutti, qualunque sia il proprio ruolo all’interno dell’industria musica: da consumatore di musica fino all’artista emergente, che tenta di farsi conoscere postandole su piattaforme di streaming. Ecco, proprio su quest’ultimo tema è doveroso farsi delle domande; gli artisti emergenti – ma non solo – devono chiedersi: quali sono i passi giusti per caricare correttamente – e in modo intelligente da poter monetizzare - un proprio brano sui dsp? Le risposte sono state fornite durante il panel “Oltre le fake playlist. Molte sfide e una soluzione”, tenutosi in occasione della Milano Music Week. 2023 e ospitato da Base (Via Borgognone 34, Milano). Sul tema sono intervenuti: Paolo Mantini (Clockbeats – Matchfy) e Diego Gerbino (Deloitte Legal Società tra avvocati R.L. S.B); a moderare l’incontro è stato Giampiero Di Carlo (Rockol). Il dibattito è iniziato con una delucidazione del ruolo che ha la playlist all’interno del settore musicale: Giampiero Di Carlo ha spiegato: “La playlist è un punto di sintesi nell’economia dello streaming e ci sono molte ragione perché questo è accaduto; in particolare: la prima è che ha abbattuto le barriere all’ingresso del mondo musicale (tutti possono produrre e distribuire musica); la seconda è un cambiamento culturale, ossia la fruizione on demand, si parla di un accesso alla musica, non è più un concetto di possesso. La playlist è un veicolo fondamentale, ma può essere anche una tirannia perché ci sono delle dinamiche che la portano ad essere tale - per esempio sul modello di ripartizione - ma la conseguenza più rilevante è la difficoltà di emergere. È un problema perchè c’è tanta musica: vengono caricati più di 100 mila brani sui dsp al giorno. Questa offerta sconfinata genera dati difficili da controllare, rafforzando il concetto dell’algoritmo: la canzone prevale sulla figura dell’artista, è spacchettata dall’album, è più importante di questo. Queste difficoltà possono essere superate, per esempio, con i servizi offerti da Matchfy, un marketplace che mette in contatto artisti e curatori di playlist”. A raccontare in modo approfondito questa nuova realtà è stato, appunto, Paolo Mantini: "Inizialmente, Matchfy si chiamava Spotymatch e durante il covid ha avuto una spunta promozionale autonoma, cosa che è arrivata allo studio legale di Spotify che ha chiesto di cambiare il nome, i colori etc; da lì è nato Matchfy con un nuovo logo, ma è rimasto lo stesso portale. Nell’ultimo anno, l’algoritmo è il core che porta avanti la piattaforma che permetterà di collegarvi direttamente al curatore più affine alla vostra musica. La missione è industrializzare/automatizzare la promozione musicale, offrendo agli artisti indipendenti gli strumenti e le risorse necessarie per diventare autonomi e raggiungere il successo. Ci siamo concentrati solo su Spotify perché rappresenta il 27% circa del mercato totale, presente il 170 Paesi e 500 milioni di utenti mensili, con 4 miliardi di playlist. Gli algoritmi sono il 17% delle plays e queste non si attivano per gli indipendenti semplicemente per mancanze di dati (le playlist editoriali di Spotify sono curate da editor interni del dsp e sono il 15%: questo è un punto di arrivo per un artista). Altri problemi sono dati dai servizi fake, ma le loro playlist non vengono conteggiate grazia ad un AI Detect di Spotify. Diverso è la Playlist Pitch che consiste nel cercare playlist indipendenti e invaiare la propria musics a curatori e rappresentano il 36% della plays. Matchfy automatizza questa tipologia di playlist: la piaga di Spotify sono appunto questi fake e lo combatte con l’algoritmo di rilevamento delle frodi e migliorare le politiche per l’inclusione dei brani. Attenzione anche ai curatori falsi: non tutti hanno accordi con i dsp. Matchfy, gratuitamente, esamina i comportamenti delle playlist per identificare eventuali anomalie; valuta il gusto musicale, invia i feedback della community e l’andamento del numero dei followers, l’andamento delle playlist nel tempo, valutiamo la varietà dei generi musicali. La community è la forza della piattaforma, data dalla gamification: più sono attivi più si abbassa il costo del servizio”. Diego Gerbino ha, invece, approfondito la parte legale: “Arte e tecnologia vanno di pari passo e quello che cambia è l’uso che se ne fa della seconda: ci aiuta a ottenere risultati positivi, ma anche negativi se si pensa alle playlist fake e al fatto che queste tolgono royalties agli artisti. Le AI generative possono aiutarci, per esempio, nel processo di creazione abbassando anche i costi. Esempi positivi: il lavoro che è stato fatto con il repertorio dei Beatles. Esempi negativi: il caso di Drake e TheWeeknd. L’errore è pensare che tutto ciò che è presente in internet sia disponibile, ma non è così: i sistemi di addestramenti di AI hanno preso tutto quello che c’era online, senza pensare al fatto che ci fossero dei diritti d’autore e di immagine (in Usa si stanno tenendo delle delle cause legali). La difficoltà è trovare una soluzione che metta d’accordo gli stakeholders. La copia non sempre si discosta dall’originale, e una soluzione può essere l’uso dei watermark. È giusto che tutti noi conosciamo i pro e i contro e considerate i temi legali, che esistono, e negli scenari futuri significa che l’addestramento dell’AI generativa deve essere regolarizzato. È necessaria questa trasparenza; inoltre, i contenuti in internet sono tracciabili con watermarker e metadati. L’intelligenza artificiale generativa ha opportunità importanti, ma vanno usate con criterio”. Il panel si conclude con l’invito dell’avvocato Gerbino a prendere atto e conoscenza delle potenzialità e dei pericoli offerti dalla tecnologia; è un tema che riguarda tutti: da chi ascolta musica a chi la produce.