Con 532 voti favorevoli, 61 contrari e 33 astensioni il Parlamento Europeo ha approvato lo scorso mercoledì 17 gennaio una risoluzione riguardante l’economia dello streaming musicale: il testo, che al momento non è in nessun modo vincolante e che rappresenta, più che altro, una “chiamata” alla Commissione Europea affinché venga avviato uno studio volto a dare nuove norme al settore, suggerisce diverse aree di intervento che riguardano la distribuzione dei ricavi generati dal consumo di musica sulle piattaforme, le dinamiche di discovery e l’esposizione del repertorio locale. Più nel dettaglio: Equo compenso La risoluzione chiede che “venga affrontato lo squilibrio nella distribuzione delle entrate derivanti dal mercato dello streaming”: “attualmente la maggioranza degli autori e degli artisti percepisce compensi molto bassi”. E’ stato suggerito “un nuovo quadro giuridico comunitario per il settore”, che - tra le altre cose - preveda un aggiornamento delle “pre-digital royalty rates” e condanni gli “schemi payola” che “costringono gli autori ad accettare ricavi inferiori o nulli in cambio di maggiore visibilità” (il riferimento è a programmi come il contestato Discovery Mode di Spotify) Visibilità delle opere europee “È necessaria - sostiene da risoluzione - un’azione dell’UE per garantire che le opere musicali europee siano visibili, prominenti e accessibili, nell’enorme quantità di contenuti in costante crescita sulle piattaforme di streaming musicale. Gli eurodeputati hanno proposto di “riflettere sulla possibilità” di “imporre misure concrete”, come “quote per le opere musicali europee”. Trasparenza degli strumenti di intelligenza artificiale Il disegno di legge dell'UE dovrebbe “obbligare le piattaforme a rendere trasparenti i propri algoritmi e strumenti di discovery, per prevenire pratiche sleali, come la manipolazione dei dati di streaming, presumibilmente utilizzate per ridurre i compensi degli artisti”. I deputati hanno suggerito di introdurre una “segnalazione specifica per informare il pubblico quando le canzoni che ascoltano sono state generate dall'intelligenza artificiale”, sollecitando “la lotta ai deep fake che utilizzino identità, voci e sembianze degli autori senza il loro consenso” sui DSP. La risoluzione suggerisce anche di “obbligare le piattaforme” a “identificare i titolari dei diritti assegnando correttamente i metadati per rendere le loro opere più visibili”. Sostegno alla diversità musicale Secondo studi citati dai relatori i ricavi nel mercato dello streaming “vanno principalmente alle etichette più importanti e ad alcuni artisti più famosi, mentre i generi meno popolari e le lingue meno comuni vengono riprodotti meno frequentemente”. Pertanto “la legislazione dell’UE dovrebbe includere indicatori di diversità per valutare la gamma di generi e lingue disponibili e la presenza di autori indipendenti, mentre una strategia industriale europea per la musica dovrebbe promuovere la diversità del settore musicale europeo, stimolando gli operatori più piccoli”. “Il Parlamento sta dando voce alle preoccupazioni dei creator europei, che sono al centro del mercato dello streaming musicale”, ha spiegato il primo relatore Ibàn Garcìa Del Blanco, deputato spagnolo in quota Alleanza Progressista dei Socialisti e dei Democratici: “La diversità culturale e la garanzia che gli autori siano accreditati e pagati equamente sono sempre stati la nostra priorità; per questo chiediamo regole che garantiscano la trasparenza degli algoritmi e degli strumenti di raccomandazione utilizzati dai servizi di streaming musicale così come dell’utilizzo degli strumenti di intelligenza artificiale, ponendo al centro gli autori europei”. Soddisfazione per la risoluzione è stata espressa da IMPALA, l’associazione europea di discografici indipendenti, che per mezzo della propria chair Helen Smith ha parlato di un rapporto arrivato “in un momento decisivo per il settore musicale, poiché sono in corso discussioni di settore sulla via da seguire per lo streaming”, nel quale vengono affrontate “questioni essenziali per la nostra comunità” con un “appello generale per un ecosistema di streaming musicale più giusto e sostenibile” che condivide gli “stessi obiettivi del nostro piano in 10 punti per riformare lo streaming”. Un plauso nei confronti della risoluzione è arrivato anche da Gesac, rappresentanza europea degli autori, che ha apprezzato “il forte impegno del Parlamento europeo nell'affrontare le preoccupazioni dei creator”, accogliendo “con favore la richiesta di una legislazione dell'UE per garantire la trasparenza e la diversità culturale su tutte le piattaforme di streaming musicale”. Il testo include temi sicuramente noti agli addetti ai lavori, sui quali il settore è già impegnato da tempo. Sul lotta ai deep fake e regolamentazione dell’impiego di soluzioni di intelligenza artificiale le imprese sono in netto vantaggio sulla politica: Spotify, per esempio, aveva spiegato di avere programmi precisi in merito già all’inizio della scorsa estate. Al netto del (plausibile) dibattito sulla liceità dei programmi di promozione a pagamento, quella dell’equo compenso è una vexata quaestio che difficilmente verrà risolta in sede istituzionale - e il recente “caso Uruguay” ne è una dimostrazione lampante: con le piattaforme che sostengono di pagare “quasi il 70% di ogni dollaro (o euro) generato dalla musica alle etichette discografiche e agli editori che possiedono i diritti sulla musica e rappresentano e pagano artisti e cantautori” il dibattito, evidentemente, è tutto interno alla filiera. Il discorso delle quote obbligatorie è una vecchia passione della politica, o - almeno - di quella parte della politica che non legge (o finge di non leggere) i giornali: i mercati locali sono più forti che mai, e le opere europee non hanno bisogno di alcun programma di protezioni speciale. Nel 2023, in Italia, le produzioni nazionali hanno dominato le classifiche annuali (basate ormai per larghissima parte sui dati raccolti dalle piattaforme streaming). La stessa cosa - la notizia è di ieri - è successa in Germania. L’unico punto sul quale si potrebbe discutere è l’ultimo, quello riguardante la “diversità musicale”. Che i favori del pubblico - e, di conseguenza, i ricavi - si concentrino su una relativamente ristretta pattuglia di big è confermato anche dal recente rapporto Luminate, e le svolte nei sistemi di monetizzazione adottati da diversi DSP - su tutti, Spotify, con la soglia dei 1000 stream all’anno a tracciare la linea tra i due tier - va esattamente in questa direzione: premiare gli artisti in grado di creare engagement e de-monetizzare il rumore di fondo. La proposta più concreta, in questo senso, è quella che riguarda “una strategia industriale europea per la musica” per “promuovere la diversità del settore musicale europeo, stimolando gli operatori più piccoli”. In sostanza, pare di capire, sostegni da erogare alla discografia indipendente. Ci sarà da capire quanti, quando e - soprattutto - secondo quali modalità.