Quello pubblicato giovedì 28 marzo sulla gestione di Hipgnosis Fund Management, quotata alla borsa di Londra e diretta da Merck Mercuriadis, suo fondatore e ispiratore, è un rapporto che suona inappellabile: la crisi della società che ha svolto un ruolo fondamentale nel trasformare i diritti musicali in una classe di asset stabile e attraente ed è diventata l'emblema del “nuovo” ruolo finanziario della musica induce molti a dichiarare fallito il suo progetto. Personalmente mi sono ritrovato a parlare con tre figure di spicco della nostra industria (top manager e imprenditori) che mi chiedevano cosa ne pensassi, avendo Rockol MusicBiz coperto abbondantemente le vicende di Hipgnosis negli ultimi anni. Forse, mi è parso di leggere tra le righe, dando suo malgrado perfino l’impressione di “supportare” in qualche modo l’attività di questa nuova intrapresa che ha fatto irruzione nel mondo del publishing musicale correlandolo a quello della finanza. Per la verità, totalmente lungi da noi, lungi da me la sola idea. Anche perché imparavamo strada facendo, al pari dei veri operatori del settore, cosa stava accadendo. Però ringrazio chi mi ha stimolato su questo episodio e trovo giusto cogliere l’occasione per analizzare l’accaduto. Ho sempre trovato attraente l’innovazione, e continuerò a subirne il fascino. Ma ci siamo interessati a Hipgnosis perché ha sconvolto le regole del mercato imponendo a chiunque di fare i conti con la potenza dei gestori di asset globali. Nel farlo ha scontentato molti e ha probabilmente mortificato l’aspetto creativo del business ma, senza dubbio alcuno, ha reso quella musicale un’industria più attraente per il resto dell’economia. Io credo che la differenza tra cosa non funziona in un modello di business e cosa non funziona nella gestione di una società sia grossa. Conflitto di interessi Partiamo osservando come HSF sia strutturata per agire nelle sue acquisizioni – per le quali ha investito più di $2,2 miliardi in totale – per mezzo di un “consulente”. Questo consulente è Hipgnosis Songs Management (HSM), società dello stesso Mercuriadis. E questo è un conflitto di interessi senza se e senza ma. Eppure non è di certo una condizione imposta con la forza a quegli investitori – poi azionisti – che all’ex manager musicale hanno dato fiducia e moltissimi milioni da investire. Le 26 pagine compilate da Shot Tower Capital, la società terza assunta dal consiglio di amministrazione dell'azienda a seguito di una rivolta degli azionisti nell'ottobre scorso, spiega come gli errori commessi dal fondo e dal suo consulente di investimento hanno determinato una riduzione del valore del portafoglio acquisito del 26% rispetto a quanto precedentemente dichiarato. L'advisor di investimento guidato da Merck Mercuriadis avrebbe commesso numerosi errori nella contabilità e nelle proiezioni finanziarie del vasto portafoglio di diritti musicali, confermando così ciò che alcuni analisti e azionisti sospettavano da tempo. Cosa dice il rapporto Il fulcro del rapporto consiste nell’avere acclarato che il fatturato annuo di HSF era "materialmente" sovrastimato e sono elencati numerosi esempi in cui i numeri del fondo non riflettevano la realtà dei suoi asset. Nell’esplicitarne i dettagli, Shot Tower Capital ha dedicato particolare attenzione a una metrica specifica del comparto che si chiama “diritto al reddito” (“right to income”, o RTI). Si tratta di royalties pagate all'acquirente al momento della “chiusura” formale di un'acquisizione che, per sua natura, è successiva alla data dell’acquisizione. Ebbene, quando la data effettiva dell'acquisizione è antecedente alla data di chiusura, le royalties ricevute dal venditore dopo la data effettiva vengono accreditate all'acquirente. Nella prassi l'RTI viene dedotto dal prezzo di acquisto e non è incluso nelle cifre di fatturato annuale. Shot Tower ha invece scoperto che alcune voci dell’RTI derivanti dalle acquisizioni di Hipgnosis venivano conteggiate come ricavi annuali anziché come aggiustamento nel prezzo di acquisto (in data 18 marzo il board ha esplicitato senza mezzi termini che includere le entrate RTI nei ricavi annuali equivale a una "doppia contabilizzazione"). La classificazione errata dell'RTI ha "significativamente" aumentato il reddito del fondo nel 2021 e nel 2022, secondo il rapporto: ad esempio, se negli esercizi 2019 e 2020 le quote di RTI che si estendevano per più di un anno ammontavano allo 0 e al 5,3% del fatturato, nel 2021 e nel 2022 questi numeri sono saliti al 43,9% e al 60,0%. L'RTI è entrato in gioco anche con la proposta di vendita di una parte del portafoglio a Hipgnosis Songs Capital, una joint venture di HSM e della società di investimento Blackstone. Il valore del catalogo presentato agli azionisti – a sua volta la risultante della somma di 29 cataloghi posseduti dal fondo selezionati uno a uno - è stato di $424,7 milioni (inclusi ricavi di natura RTI di $15,3 milioni). Con un fatturato annuo pro forma (PFAR) di $24,1 milioni, HSM aveva assegnato un multiplo di 17,6x alla vendita proposta. Ma Shot Tower ritiene che il multiplo del catalogo sarebbe dovuto essere di 14,9x sulla base di un fatturato annuo più elevato di $28 milioni e ha ritenuto che il prezzo netto di vendita avrebbe dovuto essere di $416,7 milioni. Gli azionisti hanno votato contro la vendita proposta nell'ottobre scorso. Dalla contabilità creativa… Un altro punto di attenzione relativo all’opacità del consulente HSM ha riguardato il modo in cui nell'esercizio 2022 l'advisor ha cambiato il modo in cui contabilizzava i “ricavi maturati” (accrued revenues). Il fondo è tenuto a fare stime sui ricavi guadagnati nel periodo, piuttosto che riconoscere i ricavi nel momento in cui le royalties vengono effettivamente incassate. Un nuovo approccio, che si potrebbe tradurre come "accantonamenti per l'uso" o “ratei di utilizzo”, ha calcolato gli accantonamenti "sulla base dell'uso previsto" piuttosto che quando i ricavi "vengono pagati e processati da collecting societies, editori e amministratori". Shot Tower ha notato che l'adozione degli accantonamenti per l'uso è avvenuta "in un momento in cui i ricavi RTI stavano diminuendo e il fondo non poteva più raccogliere capitali per acquisizioni continue". In altre parole, la mancanza di finanziamenti freschi ha bloccato le acquisizioni e ridotto l'importo delle entrate RTI aggiunte al fatturato annuo. Senza il cambiamento, Shot Tower ritiene che il fondo "avrebbe violato i patti con i creditori" e il fatturato dell'esercizio 2022 sarebbe stato inferiore di $36 milioni. Insomma, secondo Shot Tower "il fondo ha pagato troppo per la maggior parte dei cataloghi che ha acquisito" sotto la direzione del consulente di investimento e a parer suo (calcoli alla mano) oggi quegli asset valgono $1,948 miliardi: 67 delle 105 operazioni di acquisizione sono state valutate meno del prezzo di acquisto. Se due terzi delle operazioni sono state perfezionate a cifre gonfiate a causa delle "procedure di diligenza e valutazione" del consulente di investimento, la conseguenza è che “le royalties annuali complessive guadagnate dal fondo dai cataloghi sono scese a $121,6 milioni da $134,2 milioni." … all’inettitudine operativa? Fino a che siamo alla mala pratica contabile (colpa? dolo? frode?), il modello di business c’entra nulla. Però Shot Tower lancia un’accusa di inettitudine operativa verso Mercuriadis e la sua squadra in modo niente affatto velato quando, in un’altra parte del suo rapporto, evidenzia come "i cataloghi passivi sono cresciuti significativamente meglio dei cataloghi gestiti dal Consulente di Investimento." Equivale a dire che una parte significativa dei diritti che il fondo aveva nel suo portafoglio includeva diritti che, in quanto passivi, non abbisognavano di una gestione (“management”, per l’appunto) . Tuttavia Mercuriadis e partners hanno spesso rimarcato come la loro esperienza nel settore sarebbe stata uno strumento prezioso per far sì che la gestione dei diritti dei nuovi cataloghi acquisiti avrebbe superato per rendimento quello dei cataloghi passivi. Una delle ragioni per le quali questo potrebbe non essere accaduto è il fatto che un numero significativo di cataloghi di Hipgnosis rappresenta solo un flusso di entrate frazionario, quindi senza alcuna possibilità di esercitare un controllo sul copyright e, pertanto, nemmeno di incidere realmente sul suo presunto rendimento. Infine il rapporto di Shot Tower dichiara di avere identificato "diverse aree in cui le spese del fondo sembrano non correlate al fondo e/o eccessive". Significa che Hipgnosis Songs Management avrebbe fatturato a Hipgnosis Songs Fund più del dovuto, e impropriamente. Esempi? Spese ingenti per premi e pubbliche relazioni nell'industria musicale e ben $5,7 milioni di commissioni correlate alla mancata vendita di cataloghi a Hipgnosis Songs Capital di cui sopra. Qui saremmo sul terreno dell’avidità e della scorrettezza – attenzione, il condizionale resta d’obbligo: HSM ha già rispedito al mittente le accuse. Ma, di nuovo, il modello di business c’entra zero. Concludendo L'intero portafoglio che ammontava a $2,8 miliardi al 31 marzo 2023, vale invece $1,95 miliardi, secondo il rapporto. Una differenza di circa $850 milioni che può essere a mio parere spiegata piuttosto bene dall’analisi svolta da Shot Tower. La quale, però, si è limitata a studiare le condizioni aziendali e - non essendo stata ingaggiata per questo - non ha invece indagato sulle condizioni ambientali che hanno acuito la crisi di Hipgnosis e che inducono ad avanzare dubbi sulla bontà del suo modello. I fattori ambientali ai quali penso sono principalmente due e, mentre il primo è espressione di un ciclo economico, il secondo è tutto interno alle dinamiche dell’industria di appartenenza. Il primo fattore ambientale è la risalita dei tassi di interesse, di cui abbiamo scritto e riscritto. Erano negativi quando Hipgnosis ha attratto la crema della finanza britannica e globale verso la musica, e dopo anni di quantitative easing favorito dalla necessità di sopravvivere alla pandemia, sono tornati a crescere, di pari passo con l’inflazione. Era prevedibile? Sì, lo era, e questa prevedibilità avrebbe dovuto fare parte dell’equazione, in casa Hipgnosis: se non lo sia stata per ragioni dolose o di insipienza non è dato sapere. Il secondo fattore ambientale è il cambiamento dell’economia dello streaming che, nel 2024, è una bestia piuttosto diversa dalla sua versione del 2018. Le major della musica registrata e del publishing, come testimonia bene il dibattito sui nuovi modelli di ripartizione dei ricavi da streaming, si sono ricompattate e stanno rivisitando la loro strategia mettendo gli artisti al centro e il synch in alto nella lista delle priorità. Significa controllare bene l’intera macchina del copyright per sfruttarne il potenziale, e significa meno abbondanza e meno efficacia per la coda lunga, e significa disporre di piattaforme, insights e metriche sofisticate. Roba da esperti musicali, non da operatori finanziari, e quindi l’onere del successo pesa sulle spalle del team di Mercuriadis. Che poi un catalogo renda più o meno del previsto nell’intervallo di tempo, al pari di altri asset che si confrontano con l’avvicendarsi dei cicli economici, mi pare solo un’ovvietà. Fatico, però, a chiamare questa crisi aziendale – purtroppo macchiata da un manifesto conflitto di interessi – una crisi di modello.