Abbiamo chiesto a Tommaso Deserti, ex direttore partnerships Europa di DICE, di condividere la visione che caratterizza il suo ruolo attuale, quello di coach umanista, e di calarla nella realtà musicale. Il termine artista deriva dal latino ars, ovvero un'abilità acquisita tramite lo studio o la pratica. Nell’arco dei secoli, e ancora oggi, ci sono diverse interpretazioni di chi e che cosa sia un’artista, ma una cosa è sicura: l’artista è colui, o colei, che nel suo mestiere di riferimento sa fare qualcosa meglio degli altri, che ha sviluppato un’eccellenza specifica, un talento. Quando siamo in presenza di un talento ce ne accorgiamo perché, anche se non siamo esperti di quell’ambito, riusciamo ad apprezzare il gesto e lo riconosciamo. Il talento musicale per esempio ci rapisce, i suoi ritmi ci prendono, le sue melodie ci trasportano in un altro mondo, i nostri corpi non riescono a stare fermi. Quante volte ci è capitato di chiudere gli occhi e per un attimo dimenticare di essere lì, trascendere noi stessi. Le persone di talento sono persone che hanno dedicato la propria vita allo studio della loro arte (essa sia la pittura, la danza, lo sport o la musica) e poi hanno messo in campo una propria interpretazione della stessa, influenzando e, nei casi più significativi, arrivando a creare nuove correnti, generi e modi di pensare quell’arte. L’artista però è prima di tutto un essere umano e come tale ha delle potenzialità. Mentre il potenziale può essere positivo o negativo, benefico o distruttivo, una potenzialità è sempre l’espressione di sentimenti positivi e gratificanti. Sono parte della nostra identità nella relazione con la vita e con gli altri. Le potenzialità, quando allenate, diventano poteri e risorse ma negli ultimi secoli il contesto sociale ci ha allenato a concentrarci di più sui nostri difetti che sui nostri punti di forza. “Ford creò un modello industriale ottimo in termini produttivi, lo scientific management. L’idea era che un manager doveva essere in grado di progettare la produzione, aumentare la produttività, minimizzare gli sprechi e massimizzare il profitto. In termini culturali questo significa introdurre un modello ideale di riferimento e minimizzare quanto più possibile lo scostamento da questo modello. Nel 1700 l’ortopedia nasce per correggere le deformità fisiche dei bambini e si afferma come disciplina medica per riparare le patologie dell’apparato locomotorio. Nella nostra tensione a migliorare, la teoria Fordista di scarto dal modello ci indica il difetto, la terapia ortopedica ci fornisce delle protesi per ripararlo. Da qui le tecniche di abbrutimento per modificare la psiche, la chirurgia per violentare il proprio corpo, le diete anoressizzanti, gli allenamenti fisici estremi, i farmaci e le nuove droghe. Obiettivo: "essere sempre più diversi da chi si è in realtà". (Stanchieri, Scopri le tue potenzialità) Ma le cose stanno cambiando. Stiamo vivendo un momento storico di grandi cambiamenti culturali. Il patriarcato è stato messo in discussione, così come la leadership e il valore dei beni materiali. E il paradosso è che a fronte di una minaccia concreta di un impoverimento culturale ci sono tante persone che si pongono quesiti pieni di senso e significato: come educare i nostri figli, come amare ed essere amati, come salvaguardare il pianeta, come coltivare la propria spiritualità, come realizzarsi ed essere felici. In un contesto culturale sciatto, l’atto ribelle diventa quello di chi, con consapevolezza, modifica i paradigmi non più funzionali, e con curiosità immagina un futuro diverso. Ma è molto complesso farlo da soli, servono alleanze forti, soprattutto se, come nel caso degli artisti, a fianco del progetto di vita c’è un progetto professionale molto impegnativo. In senso ampio, il mio ruolo come coach è quello di guidare le persone in questo processo di crescita personale, partendo dai punti di forza, allenando le loro potenzialità, identificando le competenze necessarie per raggiungere gli obiettivi prefissati. Il lavoro con il coach consente di sviluppare una coscienza sentimentale delle proprie scelte che siano armoniche con il proprio sé più autentico. Nello specifico, quando mi capita di lavorare con un'artista, io alleno un talento musicale che è sopra ogni altra cosa umanistico; questo significa che una volta che l’artista ha raggiunto il successo ha la responsabilità di proporre modelli culturali positivi. Una delle sfide più complesse penso sia capire come debba cambiare il paradigma che vuole che l’artista, per essere ispirato, debba essere dannato e tormentato. Cosa succede alla creatività quando l’artista riscopre l’amore per la vita e si concentra sui suoi punti di forza? L’obiettivo come coach è riuscire a mantenere la performance dell’artista ad altissimo livello, contribuendo al suo successo, co-costruendo modelli culturali positivi ed aiutandolo ad essere felice. Non vedo altra sfida più intrigante, bella ed importante che questa.