Prosegue, senza esclusione di colpi, la guerra legale tra Suno, Udio e la Recording Industry Association of America, l’associazione di categoria che rappresenta l’industria della musica registrata statunitense. Le due startup di intelligenza artificiale generativa hanno depositato in queste ore due memorie difensive per “smontare” le accuse della RIAA, che vorrebbe offrire ai propri associati non solo l’opzione di opt-out - ovvero la possibilità di scegliere di escludere i repertori di proprietà dai processi di addestramento dei modelli - ma anche un equo compenso sul consumo di opere generate dall’AI sulla base del repertorio umano già esistente. “I generi e gli stili, i suoni riconoscibili dell'opera, del jazz o della musica rap, non sono qualcosa che qualcuno possiede”, si legge nel documento presentato da Suno: “I diritti di proprietà intellettuale possono essere associati a una particolare interpretazione registrata di una canzone in uno di quei generi o stili. Ma non al genere o allo stile in sé". "La loro causa [di RIAA, ndr] parte dal presupposto che gli stili musicali, i suoni caratteristici dell'opera, del jazz o della musica rap, siano in qualche modo proprietari", ha insistito Udio: "Decenni di precedenti giudiziari stabiliscono che nessuna azienda controlla un genere o uno stile di musica. Secondo una dottrina consolidata, ciò che ha fatto Udio, ovvero utilizzare registrazioni sonore esistenti come dati da estrarre e analizzare allo scopo di identificare modelli nei suoni di vari stili musicali, il tutto per consentire alle persone di realizzare le proprie nuove creazioni, è un 'uso corretto' per eccellenza ai sensi della legge sul copyright". Non si è fatta attendere, ovviamente, la replica della RIAA. “Gli imputati hanno finalmente ammesso il loro massiccio utilizzo senza licenza delle registrazioni degli artisti”, ha contrattaccato, in una nota, l’associazione: “E’ una grande ammissione di fatti che hanno trascorso mesi a cercare di nascondere, e che hanno ammesso solo quando costretti da una causa legale. La loro violazione su scala industriale non si qualifica come 'fair use'. Non c'è niente di corretto nel rubare il lavoro di una vita di un artista, estrarne il valore fondamentale e riconfezionarlo per competere direttamente con gli originali”. Nel dibattito si è inserita - virtualmente - Fairly Trained, entità no profit che si pone di certificare la correttezza dei processi di training dei modelli di intelligenza artificiale generativa. L’organizzazione ha diramato in queste ore un’informativa con la quale è stata annunciata una nuova certificazione dedicata ad aziende capaci di dimostrare la massima trasparenza nei confronti dei propri clienti. "Riteniamo che questa trasparenza sia fondamentale per consentire agli utenti di prendere decisioni informate su quali prodotti di intelligenza artificiale utilizzare", si legge nella nota di Fairly Trained, che - al momento - ha concesso la certificazione solo a due società, la piattaforma di AI generativa Jen e l’azienda di tool audio Kits AI.