Quando la questione del caro prezzi dei biglietti della reunion degli Oasis si è abbattuta sui loro fans come una champagne supernova, il dibattito è uscito dal recinto degli appassionati di musica, tracimando subito dai social media verso l’industria di settore per poi sconfinare nel più ampio campo dell’economia e dell’accademia. Al cui interno, con distacco e sarcasmo, alcuni hanno dichiarato che i fans degli Oasis avevano appena ricevuto una lezione sul funzionamento del capitalismo. Triste, ma vero. Dalla protesta alla politica Quando i primi biglietti sono stati messi in vendita, i fans hanno fatto la fila online per ore, solo per scoprire che il prezzo era salito a oltre il doppio rispetto a quello che immaginavano fosse (ossia, dalle originarie £ 148,50 di base - il prezzo nominale - a £ 355,20 al momento del pagamento). E’ accaduto grazie al "dynamic pricing", il meccanismo dei prezzi dinamici con cui le aziende possono regolare i loro prezzi in modo flessibile in base alle condizioni di mercato. Compagnie aeree, hotel e aziende come Uber e Lyft utilizzano tutte questo modello. Il dynamic pricing, noto anche come "surged pricing" (prezzi a rialzo), nel Regno Unito sarà incluso nella revisione governativa del mercato della rivendita dei biglietti, dove è stata avviata dalla Competition and Markets Authority (CMA) un'indagine sulla procedura adottata nell’occasione dalla piattaforma di ticketing che rivendeva i biglietti degli Oasis, TicketMaster. Una vicenda non inedita nel suo genere, essendosene ricevuto un assaggio nel 2022 quando i biglietti di Bruce Springsteen negli Stati Uniti arrivarono a costare $ 5.000. Ma oltreoceano le autorità entrarono in azione per verificare la correttezza di Ticketmaster solo quando la piattaforma andò in crash lo scorso anno, sopraffatta dalle richieste per i biglietti del tour di Taylor Swift (che, al contrario del Boss, lanciò di fatto un anatema che ammaccò parecchio l’immagine della piattaforma): ebbe così origine il “Boss and Swift Act”, con una commissione parlamentare incaricata di regolamentare meglio le vendite dei biglietti. In molti vedono in questo episodio l’innesco dell’ulteriore e più decisa azione avviata a maggio del 2024 del Dipartimento di Giustizia americano, partito all’attacco all’insegna dell’antitrust con l’obiettivo di scorporare Live Nation da Ticketmaster (acquisita nel 2011). Una discreta levata di scudi. E quindi, tutto ciò considerato, si arriverà a un divieto del dynamic pricing? No. Trasparenza La CMA sta esaminando se Ticketmaster abbia adottato "pratiche commerciali scorrette", e in particolare se i fans abbiano ricevuto informazioni "chiare e tempestive" sull'uso del dynamic pricing. Se, come denunciato, fosse provato che questo non sia stato il caso, sarebbe chiaro il motivo per cui - dopo aver pazientemente aspettato per ore “in fila” – ai clienti veniva richiesto di decidere in pochi secondi se acquistare i biglietti o meno a un prezzo più che raddoppiato. Una circostanza che in futuro dovrebbe cessare di accadere in modo che chiunque non sia disposto a pagare più di £ 350 per un biglietto non sprechi tempo in coda. Insomma, alle aziende che utilizzano il dynamic pricing è richiesto di essere trasparenti e non trattare i consumatori con certa nonchalance: dopo tutto la fiducia è l'elemento basilare nel rapporto tra esercente e consumatore, e la soddisfazione della clientela non può essere sacrificata interamente al profitto, soprattutto se l’oggetto della vendita è qualcosa che attiene alla fandom, come accade per l’accesso a eventi sportivi e musicali. La lezione di capitalismo Tornando al concetto del dynamic pricing e alla lezione di economia e capitalismo, il suo meccanismo si innesca quando la domanda per un prodotto o per l’accesso a un evento è superiore all'offerta disponibile. Per gli Oasis, che non suonano insieme dal 2009, la domanda di biglietti non poteva che rivelarsi enorme. Ed era chiaro che, anche aumentando poi il numero di concerti (ne sono stati aggiunti altri due come risultato della protesta della scorsa settimana), il problema non sarebbe stato risolto, poiché l’offerta supplementare di tagliandi non avrebbe mai impattato la quantità richiesta. Il meccanismo dei prezzi funziona per bilanciare domanda e offerta. È un metodo con cui, cinicamente e in maniera efficace, si fa fronte alla scarsità. Vale anche il contrario, peraltro. Il dynamic pricing permette alle aziende di massimizzare i loro profitti riempiendo i posti sugli aerei o aumentando l'occupazione delle stanze d'albergo quando la domanda è debole. Si capisce che tariffe aeree scontate e soggiorni in hotel più economici non sono qualcosa che può essere punito dalla politica. O, addirittura, vietato. “Ma nella musica è diverso” L’argomento forte dei sostenitori del dynamic pricing nella musica è quello dei bagarini. Il prezzo dinamico, secondo questa tesi, è un deterrente per gli scalpers e porta con sé anche un beneficio aggiuntivo: il denaro supplementare, anziché restare nelle loro tasche e in quelle di piattaforme di secondary ticketing come Viagogo e StubHub, arricchisce la filiera, con benefici ad artisti, venue, promoters. In altre parole: se con il secondary ticketing si lasciano soldi sul tavolo (che altri passano a ritirare e intascare), con il dynamic pricing si apporta ricchezza all’industria musicale. Di tutto ciò a Michael Rapino, CEO extraordinaire e artefice dell’ascesa del colosso Live Nation, la cosa interessa in maniera piuttosto relativa. Il punto è un altro: il suo gruppo non desisterà dal dynamic pricing semplicemente perché sono i promoter e gli artisti a chiederlo. Lo ha detto chiaramente in una earning call quest’anno, usando le parole “Promoters are anxious for it, artists are anxious for it”). In un grezzissimo conto della serva, il ricavo del biglietto viene ripartito per il 90% circa tra promoter e artista, con il rimanente che va a remunerare il resto della filiera. In particolare proprio Live Nation sul proprio blog quest’anno ha informato che il suo profitto medio per biglietto equivale al 2% circa del suo prezzo (che è anche un modo per contrare le tesi del DoJ, secondo il quale “raccomanda” i prezzi dei biglietti). Il dilemma degli artisti Naturalmente se l’unico parametro decisionale fosse il profitto, basterebbe vendere con il metodo dell’asta. Ma nella musica il valore emozionale insito nell’evento e il peso della fandom nella carriera dell’artista complicano la conversazione su questo tema, innestando temi strategici, etici e morali. Per gli artisti quello del dynamic pricing è un dilemma, una scelta da compiere. E che divide. Per esempio i Cure e Ed Sheeran in passato hanno rifiutato che la procedura fosse applicata ai loro eventi; gli Oasis, invece, si sono detti estranei alla decisione, che anche a volergli bene si stenta a crederlo. Neil Young lo scorso anno ha messo il dito sulla piaga, ossia: il terrore degli artisti di alienarsi il favore dei fans: “I concerti non sono più divertenti come un tempo”, ha scritto il canadese in un post; “gli artisti devono preoccuparsi dei fans derubati a causa degli aumenti di Ticketmasters e dei bagarini”. La tecnologia e il marketing? Non c’entrano La tecnologia potrebbe fare di meglio? Sicuro. Potrebbe andare oltre il biglietto nominativo (in Italia l’obbligo scatta per eventi con capienza superiore alle 5.000 unità) e intestare tutti i biglietti ai fruitori, indicandone nome e cognome sul tagliando come avviene per i biglietti aerei. Poi però sarebbe un bagno di sangue gestionale per le piattaforme in caso di rivendita tra fans: sì perché, al contrario del biglietto aereo, ci si aspetta che a causa di un imprevisto il possessore di un biglietto per un concerto debba poterlo cedere ad altri. Metodi alternativi possono pescare dal marketing, come minimo ricorrendo alla segmentazione, con i posti migliori venduti direttamente a prezzi molto più elevati, o la vendita a estrazione, che negli Stati Uniti è diffusa nello sport. Ma tutte queste soluzioni sono sfumature o, peggio, argomenti buoni per buttarla in caciara. I prezzi dinamici sono un meccanismo economico diffuso in molte industrie e capace di apportare benefici al consumatore e, anche nella musica, possono funzionare con offerte speciali e non solo con rialzi rispetto al prezzo nominale. Però nella musica il tema economico e quello etico si mescolano e tra le due questioni i confini si fanno molto sfocati. In effetti, per rimettere a fuoco il problema, come menzionato sopra il passaggio fondamentale è quello della trasparenza. Purché valga per tutti: piattaforme, di sicuro, ma anche artisti e promoter.