Quali caratteristiche cerca l'industria musicale di oggi in quelli che saranno suoi professionisti di domani? Quali sono le competenze e le qualità più apprezzate nel music business? Come individuare i temi forti sui quali confrontarsi per rendere il settore creativo un ambiente il più sano possibile, da un punto di vista umano e relazionale? Sara Pedroni e Giulia Barone, rispettivamente General Manager Operations e HR Manager della filiale italiana di Believe, hanno una prospettiva privilegiata sulla complessa e affascinante trama di conoscenze, sensibilità, capacità relazionali e attitudine che ogni professionista porta in dote all'azienda per la quale lavora. E all'intero comparto, che - sebbene composto da entità più o meno direttamente concorrenti - costituisce un ecosistema più interconnesso e legato di quanto si possa pensare, soprattutto dal punto di vista umano... (a Sara Pedroni) Non hai una formazione prettamente musicale - laurea alla Bocconi, poi esperienze in società di consulenza non legate al music biz - ma hai saputo trovare la tua direzione strada facendo, arrivando a ricoprire, per vent’anni, il ruolo di ceo di Hukapan, l’etichetta di Elio e le Storie Tese: quanto è stato importante far maturare in ambiti così diversi le tue competenze? Per me avere un background vario e in diversi settori è stato fondamentale. Mi ha permesso di strutturare strategicamente la mia professionalità, imparando dinamiche e logiche lavorative diverse tra loro, per poi applicarle in un ambiente tipicamente meno strutturato come quello della musica. La difficoltà principale – che poi si è trasformata in vantaggio competitivo – è stata quella di trovare un equilibro tra la formazione strategica, approccio finanziario e il mondo artistico della musica. Quando nei progetti si riesce a creare questo equilibrio, avviene la “magia”. (a Sara Pedroni) A proposito di competenze, per quella che è la tua esperienza credi che l’industria musicale abbia bisogno di figure considerate tradizionalmente “estranee” all’ambiente - penso, per esempio, a professionisti che abbiamo maturato esperienze in ambito legale o finanziario? Personalmente credo che la contaminazione tra mondi diversi sia un valore aggiunto. Il settore musicale ha le sue specificità ovviamente, ma è comunque un settore molto complesso e necessita di una forte managerializzazione nelle funzioni di supporto. Questo approccio strutturato non è semplice da trovare nell’industria musicale, ma credo che un mix di competenze derivante da ambienti diversi sia la chiave per attivare un circolo virtuoso. (a Sara Pedroni) Cosa cerchi, in termini di competenze e qualità umane, in un componente del tuo team? A seconda del ruolo di riferimento la risposta a questa domanda varia molto. In generale, come in tutte le aziende, anche in Believe sono necessarie competenze tecniche verticali. Oltre a queste, però, soprattutto per le persone del mio team, è necessario avere competenze trasversali, che permettano di supportare il business e il processo di cambiamento, cioè essere agenti trasformativi che guidano transizioni ed evoluzioni aziendali. Si parla anche delle famose soft skill necessarie per gestire i progetti, mantenendo il focus sui vincoli di contesto. (a entrambe) Il music business è ancora un men’s club o avete visto cambiare qualcosa negli ultimi anni? Credete che il fattore anagrafico sia dirimente nell’atteggiamento dei professionisti, donne o uomini che siano, verso temi come inclusività e gender balance? Quello che purtroppo percepiamo è ancora una cultura generalmente maschilista. Spesso gli interlocutori esterni preferiscono relazionarsi con figure maschili di Believe, con la conseguenza che il nostro lavoro e quello delle nostre colleghe non viene riconosciuto appieno, nonostante la competenza e la massima dedizione ai progetti. Inoltre, non è raro che nell’industria musicale le donne ricoprano ruoli più operativi e meno manageriali e strategici. In base alla nostra esperienza, notiamo come le nuove generazioni siano sicuramente più sensibili e attente a questi temi. Per un motivo prettamente anagrafico dovremo quindi aspettare qualche anno per vederle in posizioni di leadership e decisionali, augurandoci che questa loro attenzione venga mantenuta, così da attivare un vero cambiamento culturale nell’industria della musica. (a entrambe) Vi è mai capitato di essere infastidite dalla retorica del gender equality nell’industria musicale? Avete mai avuto impressione che la sacrosanta attenzione nei confronti della parità di opportunità metta in secondo piano le qualità delle singole professioniste in favore del fattore - pur molto importante - di rappresentanza? Non solo nell’industria musicale, il rischio esiste in tutto il sistema del lavoro. Per evitare che la gender equality diventi un limite o resti solo una facciata, è necessario fare molta attenzione a non rendere tale rappresentatività fine a se stessa. Ad esempio, nella ricerca dei talenti da introdurre e far crescere in azienda, la necessità di rispettare una rappresentanza o una diversità non deve mettere in secondo piano il match candidato-azienda/ruolo sia in termini di competenze che di sistema valoriale. A rendere le cose difficili è purtroppo anche l’assenza di un contesto e una cultura che permettano, in qualsiasi condizione, di creare una parità assoluta. La genitorialità ne è un chiaro esempio: non ci sono mezzi statali o di altri enti che aiutino le aziende a creare una rete di protezione e garantire a tutti di avanzare alle stesse condizioni e alla stessa velocità. (a Giulia Barone) Qual è il profilo medio degli e delle aspiranti a entrare nell’industria musicale come professionisti, oggi? Quali sono i percorsi formativi più frequenti, nei CV che esamini? Molto più che - azzarderei - in tutti gli altri settori, quasi l’intera totalità delle figure professionali che si candidano per ruoli in Believe, e più in generale in aziende musicali, sono profili che hanno fatto della musica un elemento caratterizzante della loro vita professionale e personale. Sono profili sinceramente interessati e molto attivi nella scena musicale, come ad esempio essendo musicisti loro stessi, o partecipanti alla vita associazionistica di venue musicali. Oggi è molto comune analizzare profili junior provenienti da master o scuole di specializzazione specifiche del mondo della musica, esperienze che garantiscono una estrema consapevolezza delle dinamiche e dei ruoli del mondo del lavoro tipici della music industry. Per questo, rispetto ad altri settori, noto una grande coscienza nell’orientarsi in azienda al primo ingresso. Questo ovviamente lato Believe è molto utile perché si riescono ad inserire profili che si sanno già posizionare quasi in autonomia all’interno di un’area di competenza e ad entrare subito nel vivo dei progetti e delle attività. (a Giulia Barone) Se potessi dare un consiglio a chi aspira a lavorare a Believe - e, più in generale, nell’industria musicale - cosa diresti? Come consiglieresti di preparare un primo colloquio? Ovviamente cambia molto in base alla seniority della figura. Volendo trovare una risposta che sia applicabile per tutti i profili, in un’ottica di primo colloquio conoscitivo, mi piacerebbe vedere emergere prima di tutto le esperienze lavorative e formative più rilevanti e perché queste sono considerate importanti, oltre ai principali percorsi di miglioramento professionale e personale. Questo è utile per capire i ragionamenti e le priorità, e da qui identificare una possibilità di inserimento all’interno di Believe. In un primo colloquio ci piacerebbe inoltre conoscere l’opinione del candidato su Believe e sui progetti artistici che seguiamo e più nello specifico di come viene percepita all’esterno l’immagine dell’azienda. Infine, è molto importante conoscere i macro-obiettivi del candidato, cosa si aspetta di trovare in Believe e le aspettative di evoluzione professionale. Questo perché il rapporto di lavoro è una co-responsabilità, uno scambio tra azienda e persone, ed è fondamentale per noi assicurarci che Believe - in cambio delle risorse e delle competenze del candidato - possa effettivamente lasciare una traccia formativa e professionalizzante. (a Giulia Barone) Come definiresti l’ambiente lavorativo ideale, in termini di rapporto tra colleghi e composizione degli staff? Quanto valore dai alle situazioni di conflitto e alla capacità di gestirle? In Believe riteniamo che, per costruire un ambiente di lavoro per noi quanto più ideale possibile, sia necessario favorire una composizione che garantisca la diversità. Questo perché crediamo molto nella contaminazione tra personalità e professionalità diverse. La diversificazione del team permette di generare circoli virtuosi di scambio e di confronto, con proposte diverse, sempre ovviamente nel rispetto di tutte le idee e persone. In questo scambio e questa diversità è fisiologico che si creino confronti culturali e di opinioni non sempre facili da gestire. All’interno delle organizzazioni è una dinamica comune. Bisogna essere bravi nel cogliere il valore trasformativo dello scontro, cercando di stabilizzare alcuni aspetti ed evolverne altri. Un adagio molto noto dice che dalla frizione scaturisce energia ed è questo sprigionamento di energia che il nostro gruppo cerca nelle persone. Aggiungo che per quanto non sia semplice gestire team molto eterogenei, è ben peggiore il rischio che corrono gruppi di lavoro creati ad immagine e somiglianza (bias compresi) dei leader, circondati da persone che non si sfidano mai tra di loro su idee e visioni. (a Giulia Barone) Nella vostra categoria, siete state una delle prime aziende - tra quelle iscritte a Confcommercio - a lanciare un programma di welfare interno: in che termini questo provvedimento si è riverberato sull’ambiente di lavoro a Believe Italia? Sì, questo è uno dei progetti del 2024 di cui siamo più orgogliosi. A maggio abbiamo lanciato un programma di welfare aziendale con una piattaforma dedicata dalla quale tutti i dipendenti Believe possono utilizzare un credito come integrazione al reddito, per andare a coprire diverse categorie di spesa. L’obiettivo di base è quello di fornire una risposta concreta ai bisogni delle persone e del nucleo familiare. Per creare un progetto che potesse effettivamente avere un riscontro concreto in azienda, prima del lancio abbiamo svolto a inizio anno un focus group interno per spiegare lo strumento e raccogliere aspettative e necessità, con l’obiettivo di soddisfarle il più possibile.