Superata la dicotomia tradizionale tra major e indie - “su certe tematiche, come le trattative con le big tech, la discografia dovrebbe essere unita”, quale futuro si prospetta per le realtà discografiche estranee al circuito delle multinazionali? Dario Giovannini, Vicepresidente di PMI - Produttori Musicali Indipendenti e Managing Director di Carosello Records né si piega alla retorica dei Davide contro Golia né dà sfoggio di ingiustificato ottimismo: pur convinto che “oggi più che mai” una indie label possa avere un impatto fortissimo sui mercati, il discografico è conscio che temi come il sostegno di un “copyright forte ed equo” e la massimizzazione delle potenzialità economiche dell’intelligenza artificiale - ovviamente nel pieno rispetto della proprietà intellettuale - meritino di restare “sorvegliati speciali”, tanto da essere oggetto di campagne di sensibilizzazione da parte - oltre che della stessa PMI - anche di Impala, la rappresentanza europea del settore discografico indipendente ala quale PMI è affiliata. L'industria discografica - multinazionali comprese - riconosce ormai alle grandi piattaforme digitali un ruolo fondamentale nella promozione e nello sviluppo del mercato della musica registrata: tuttavia questi colossi digitali hanno dimostrato, in più occasioni, di poter far valere il loro peso, in termini commerciali, per tentare di negoziare al ribasso gli accordi di licenza. Su uno scenario del genere, quale vantaggio può avere essere un artista nel roster di una indie invece che di una major? Sicuramente la tendenza generale da anni è quella da parte dei player digitali di ridurre gli interlocutori, basti pensare che agli inizi della rivoluzione digitale noi come Carosello avevamo accordi diretti con Apple per iTunes. E’ ovvio che sarebbe impossibile per una piattaforma digitale chiudere accordi singoli con tutte le label nel mondo. Motivo per cui le etichette indipendenti cercano di unire le loro forze per ottenere condizioni migliori, penso ad esempio a Merlin, impegnata in questi mesi in una trattativa estenuante con Bytedance per TikTok. In generale, ma non riguarda solo la musica, è molto più difficile affrontare da soli trattative con questi giganti. Non è, tuttavia, questione di major o indie: basta vedere, al proposito, il braccio di ferro durato mesi tra Universal Music e TikTok, che ha utilizzato la leva del takedown per indirizzare la trattativa. Credo che la discografia dovrebbe essere unita su queste tematiche a prescindere da major e indie. Le etichette indipendenti riescono ancora ad agire come incubatori delle carriere degli artisti? Non avere la pressione dei dati finanziari trimestrali aiuta a sviluppare strategie più centrate sulla progettualità che non sul numero di uscite e le performance commerciali? Oggi mi sembra che le label indipendenti siano gli unici incubatori per le carriere degli artisti. Gli stessi vertici mondiali delle major ripetono con sempre maggior forza che sia inevitabile la trasformazione delle major in società di distribuzioni e di servizi sulle esigenze degli artisti. Del resto in questi ultimi anni sono state create tante società di consulenza artistica, nate per colmare quel vuoto “lavorativo” generato dal grande numero di artisti che impedisce alla major di svolgere mansioni prettamente discografiche - basta vedere il numero di artisti in roster e il numero di A&R che dovrebbero lavorarli - come accadeva come anni fa. Con il limite, spesso, di avere rapporti limitati nel tempo, che quindi non hanno in alcuni casi a cuore la crescita sul lungo periodo ma solo la massimizzazione nell’immediato. Il nostro focus resta invariato da oltre 60 anni, ovvero supportare gli artisti nella loro crescita e sviluppo dandogli un elemento fondamentale: il tempo. Per poter crescere e non essere giudicati se dopo tre singoli non centrano un target numeri di stream. Ecco perché ancora oggi lavoriamo con pochissimi artisti - meno di dieci, per la precisione. In un momento di grandi e repentini cambiamenti dei mercati, cosa può offrire una indie rispetto a una realtà più grande e ramificata? Mai come in questo momento l’impatto di una indie può essere fortissimo. I dati nel mondo mostrano una crescita inarrestabile delle etichette indie rispetto alle major come quote di mercato. Credo che proprio per l’enorme quantitativo di strumenti che un artista ha a disposizione per lanciare, lavorare e supportare la sua musica abbia necessità di team dedicati, composti da persone competenti che hanno come obiettivo la crescita dell’artista, e non del market share aziendale. Questo è un punto fondamentale: mi sembra di vedere, in molti casi, una gestione alla all you can eat, cioè musica che esce senza soluzione di sorta, ma che forse serve più agli interessi di chi gira intorno all’artista che alla crescita organica dello stesso. Quali sono i temi sui quali le etichette indipendenti - e le relative rappresentanze - si stanno spendendo di più, in questo periodo? Su cosa si stanno concentrando le attività di advocacy di associazioni come PMI e Impala? Associazioni come PMI sul territorio italiano e IMPALA a livello europeo rispondono proprio a questa esigenza di sostenere un copyright forte ed equo, massimizzando le entrate degli artisti, promuovere la riforma dello streaming e opporsi a proposte dannose come la cosiddetta “equa remunerazione”, oltre che massimizzare le opportunità commerciali dell’AI e garantire che la tecnologia sia sviluppata nel rispetto del diritto d’autore, e supportare i membri nella loro transizione verso zero emissioni con il calcolatore di carbonio di Impala. Tra le altre azioni ci sono anche una campagna per un migliore accesso della musica indipendente alle piattaforme online, alla radio, al dettaglio, alla TV e ad altri media, e il sostegno della trasparenza e dell’equità con gli artisti: 2/3 dei firmatari della Dichiarazione Fair Digital Deals del Worldwide Independent Network sono europei. Per quella che è la tua esperienza, qual è l'elemento più importante sul quale basare un rapporto tra artista e discografico? Parlo dal punto di vista personale, perché credo che ognuno abbia un proprio approccio. Dal mio punto di vista l’elemento fondamentale è l'onestà - sotto tutti i punti di vista: cosa, questa, non scontata - che deve essere alla base del rapporto. La carriera di un artista a mio avviso è una maratona, non una gara sui 100 metri. Occorre, quindi, avere la consapelovezza di dover lavorare sul lungo periodo, e di conseguenza di dover supportare l’artista nella creazione del repertorio, nello sviluppo della percezione, ricordando che il nostro ruolo deve essere di sostegno, e non da protagonisti, e per il quale - magari - una brutta verità serve di più di una bella bugia.