Sono stati anni di frenetiche acquisizioni di cataloghi. Qualcosa che continua a succedere, magari con protagonismo un po’ calante da parte di attori finanziari e con, invece, un progressivo ritorno degli editori al centro della scena. Nel frattempo, però, il mondo dentro e attorno al music publishing muta. I suoi protagonisti esplorano, ponderano e suggeriscono rotte alternative. Nella scorsa settimana Sony Music Publishing, Sacem e Kobalt hanno raccontato al mercato tre storie diverse. Che, però, appartengono allo stesso quadro di riferimento. Sony Music Publishing Japan ha parlato all’industria di qualcosa di desueto come gli NFT, che ha annunciato di avere lanciato per il gruppo nipponico Sandal Telephone (in via di scioglimento).La divisione editoriale della major guidata da Robert Stringer sta utilizzando la blockchain Soneium per lanciare NFT dedicati al gruppo J-Pop “pieni di ricordi delle attività dei membri del gruppo”, che saranno distribuiti durante gli eventi: i fan potranno ricevere NFT dalla collezione digitale acquistando merchandise per almeno 5.000 yen (circa 32 euro). Soneium è stata sviluppata nell’ottobre 2023 da Sony Block Solution Labs, una joint venture tra Sony (90%) e Startale Labs (10%), fondata con un capitale di 1 milione di dollari di Singapore (circa $ 740.000). Al lancio, Sony Block Solution Labs aveva dichiarato di avere sviluppato la tecnologia per superare le limitazioni del Web3, causate soprattutto dal basso utilizzo e da un’esperienza utente complessa che ha reso la sua adozione molto lenta. Il fatto che Sony Music stia ancora investendo in questa tecnologia, circa 4 anni dopo il boom degli NFT, e che l’iniziativa sia stata assunta dal suo braccio editoriale, suggerisce sia che in Asia il terreno possa essere ritenuto ancora parecchio fertile, sia e soprattutto - a parere mio - che il publishing guarda con attenzione ai processi di diversificazione. La CEO di Sacem, Cécile Rap-Veber, ha annunciato di avere firmato un accordo con Deezer per applicare il suo sistema di pagamenti artist-centric ai diritti editoriali, e ne ha spiegato la motivazione. L’analisi condotta sui dati di Deezer per comprenderne il probabile impatto avrebbe rivelato che è vero che alcuni repertori possono venire penalizzati, ma che si tratta di nicchie molto specifiche. Ha anche ammesso che l’aumento che gli autori possono aspettarsi con il passaggio a un modello artist-centric non sarà del 10% o 20%, tuttavia sarà una crescita “abbastanza significativa da giustificare l'adozione del sistema”. Ma il tema artist-centric mi è parso soprattutto l’innesco utilizzato per riposizionare gli editori al centro del dibattitto sui metodi di ripartizione delle royalties. Rap-Veber, che si è detta determinata a incoraggiare altri servizi di streaming ad applicare sistemi simili per i pagamenti delle royalty editoriali, ha enfatizzato la critica al modello di revenue-sharing delle piattaforme di streaming, affermando: “È totalmente ingiusto vedere che il margine di una DSP è del 30%, mentre coloro che hanno creato il contenuto, che hanno generato il valore della canzone, ricevono meno del 20%”. La sperequazione a discapito del publishing rispetto alla musica registrata è nota. Ma ora i publisher e gli autori stanno insistendo su un punto a monte del problema: la catena del valore dello streaming lascia insoddisfatto proprio chi ne crea le pre-condizioni e le fortune economiche. Ed è paradossale che, con l’80% degli ascolti in piattaforma riconducibili al catalogo, a soffrire siano i diritti d’autore. Kobalt ha annunciato il lancio di Kosign, una piattaforma rivolta ai musicisti che non hanno un contratto editoriale e che, di conseguenza, è molto probabile che stiano lasciando sul tavolo parte delle royalty loro spettanti. Che, secondo un’analisi di Kobalt, ammonterebbero a oltre un miliardo di dollari all’anno. La nuova piattaforma offre raccolta delle royalty, registrazione dei brani e analisi delle entrate. Inoltre, come è tradizione di un innovatore come Kobalt, essa sta anche puntando sulla flessibilità come elemento chiave dell’offerta: l’accordo è infatti ‘revolving’ (a rinnovo continuo) e, quindi, i musicisti possono cancellarlo in qualsiasi momento e trasferire il proprio catalogo altrove. Qualcosa che assomiglia alla non-pretesa di proprietà dei master che caratterizzò il lancio e l’ascesa di Kobalt e che rappresentò una spinta verso un cambiamento culturale poi fatto totalmente proprio dal mondo indie. Il modello di business? Per accedere è richiesto un costo di iscrizione una tantum di 100 dollari, con Kobalt che trattiene il 20% delle royalty raccolte. La sua particolarità? Kosign non è aperta a tutti: qualsiasi musicista può fare domanda, ma è previsto un processo di selezione. E perché questo è rilevante? Perché Kobalt sottolinea così che ci sono indipendenti e hobbisti; artisti di talento e musicisti di passaggio; autori della ‘working class’ e autentica coda lunga Il filo rosso che lega queste tre storie tenta di ricucire la trama scucita e sdrucita dell’economia dello streaming, che da due anni attraversa una fase importante caratterizzata da critiche e autocritica. L’editoria musicale è spinta verso la diversificazione dalle ormai annose deficienze del modello e si lancia verso forme di scouting e reclutamento innovative, prendendo atto che le quote di mercato del mondo indipendente aumentano, in proporzione, molto più rapidamente di quelle dei protagonisti tradizionali.