NUOVOIMAIE propone una serie di incontri con protagonisti e protagoniste del panorama musicale italiano non solo per approfondire le dinamiche artistiche che caratterizzano il lavoro di chi opera nel settore, ma anche per fare il punto su come gli attuali scenari del mercato impattino sulle opportunità professionali di chi ha scelto la creatività come professione. La parola, oggi, va ad Aua… A tre anni dalla sua ultima prova sulla lunga distanza - “Belli come te” del 2022 - Aua è tornata ad affacciarsi sul mercato discografico con un nuovo album, “Fortune”, realizzato con la collaborazione di Federico Donati, Livio Perrotta e Carlo Maria Toller. Un lavoro per mezzo del quale la cantautrice gardesana ha voluto “esplorare la fortuna nelle sue forme più inattese”, attraverso nove tracce che raccontano altrettante “storie di donne, di scelte, di strade percorse e di strade abbandonate”. Un disco dove Aua, musicalmente, ha sperimentato, “cercando di dare a ogni brano un’identità sonora capace di rispecchiare l’emozione dietro le parole”... Possiamo considerare “Fortune” un concept album? Sì. E’ un discorso sulla fortuna, o - meglio - sui diversi tipi di fortuna, e sui tanti volti - positivi o negativi - che può assumere nel corso della vita delle persone. Il filo conduttore è l’analisi delle diverse circostanze nelle quali la vita ci pone, con una sensibilità inevitabilmente femminile. Nel linguaggio corrente “fortuna” ha un’accezione esclusivamente positiva… Già, ma io ho inteso il termine in un senso più antico, vicino a fato, destino. E’ quello che illustra il disco nell’immagine di copertina, con una donna con gli occhi chiusi che piange. Perché nella vita a farci piangere non sono solo le cose negative… Hai parlato di un viaggio interiore alla genesi di questo disco: qual è stato - se c’è stato - l’elemento che ti ha convinto a intraprenderlo? Non c’è stato un episodio in particolare: ho attraversato diverse fasi nella mia vita, più spensierate quando ero più giovane e più cupe, nel corso degli anni. Poi ho avuto una famiglia e dei figli, che mi hanno cambiato del tutto la prospettiva nel guardare al complesso del mio vissuto. In quel momento ho iniziato a intravedere un filo conduttore in grado di collegare tutte le fasi della mia esistenza, che prima consideravo elementi separati. E’ una prospettiva più adulta, quella di vedere la vita come qualcosa che scorre… Tra le particolarità del disco c’è quella di una certa essenzialità, nei titoli: “Io”, “Tu”, “Fortune”, “Giovane”, “Dittatore”... E’ stata una scelta precisa. I titoli delle mie canzoni sono in genere molto lunghi, come quelli di certi film italiani anni Settanta. Però, per “Fortune”, questa soluzione non mi convinceva. Così ho deciso di tenere solo l’ultima parola di ogni titolo. Per esempio, “Giovane” in origine era “Non sei mai stato giovane”. Ho provato a mettere in fila i titoli “tagliati” seguendo l’ordine della tracklist e il risultato mi ha soddisfatto. Le persone con le quali ho condiviso questo progetto si sono dette entusiaste della scelta, e lì ho capito di essere sulla strada giusta. In “Dittatore” parli del controllo di sé stessi: immagino ci sia molto del tuo vissuto personale… Sì. Non tutte le canzoni di “Fortune” sono nate da esperienze personali, ma questo è il caso. E’ una canzone che parla di tenere molto di più a sé stessi, e di non costringerci a vivere relazioni che possono rivelarsi tossiche, nelle quali si dà tutto senza ricevere niente in cambio. Prima hai parlato di una prospettiva femminile, ma un messaggio del genere pare andare oltre il genere… Dalla prospettiva dell’ascoltatore in effetti sì, ma io - scrivendo - non posso fare a meno di immedesimarmi in personaggi femminili. In “Giovane”, per esempio, parlo di una ragazza con problemi di autolesionismo, un problema - insieme all’anoressia - purtroppo molto comune tra gli adolescenti di oggi. In realtà potrebbe essere anche un ragazzo, ma è come al cinema: per stabilire una connessione emotiva con il personaggio, non posso fare a meno di immaginarmelo donna. La lente che uso è senza dubbio quella della soggettività, sempre. Musicalmente parlando, “Fortune” è un disco abbastanza eterogeneo, ma con il minimo comune denominatore dell’essenzialità. Nella title track il tuo modo di cantare è molto contemporaneo… Mi è sempre stato detto di avere uno stile vocale molto riconoscibile, nel bene e nel male. Oggi più che in passato, il fatto di avere un approccio meno classico e meno legato al bel canto è più facile, soprattutto in Italia. In genere, quando scrivo, uso solo voce e chitarra, se non addirittura solo la voce, poi tendo a riempire di tracce in fase di arrangiamento, lasciando molto spazio ai miei collaboratori. Prima di chiudere le versioni finali, quindi, lavoro per sottrazione. In tutte le canzoni di “Fortune” abbiamo tolto molto. Poi ad accompagnarmi durante le session sono stati due produttori molto diversi tra loro, Livio Perrotta, che viene dall’hip hop e ha curato tutte le parti elettroniche, e Carlo Maria Toller, sostenitore dell’analogico e della musica suonata. La sfida è stata quella di trovare un equilibrio… Dal punto di vista vocale hai usato molto gli overdub… Mi piace farlo. Mi piace sovraincidere e sentire gli effetti sulla mia voce. Come riferimento ho tenuto band come London Grammar e Chvrches, esempi che affondassero le proprie radici nel vocalismo. Poi - pensando alla versione fisica del disco, in vinile - ho scelto di tenere trame vocali più fitte nella prima parte dell’album, sul lato A, svuotando in un certo senso le parti vocali sul lato B, dove le canzoni sono un po’ più lineari. A che punto della tua carriera si colloca “Fortune”? E’ un nuovo inizio: per la prima volta nella mia carriera mi rivedo totalmente in una progetto. Quando l’ho sentito mixato ho pensato che fosse bellissimo. Lo considero il primo mattone per costruire qualcosa di nuovo, che sarà ancora più bello… Come avvocato esperta di diritto d’autore, come giudichi la situazione dei diritti degli artisti di oggi? E’ migliorata o peggiorata, rispetto al passato? Sicuramente è migliorata la consapevolezza di avere dei diritti, soprattutto da parte degli artisti più giovani. Quando ho iniziato si pensava a suonare, ma tutti gli aspetti collaterali all’attività artistica venivano tralasciati, quasi sempre per ignoranza. Oggi da parte degli emergenti vedo tanto voglia di capire le dinamiche dell’industria, di conoscere, e non solo da parte degli artisti, ma anche da parte di figure meno esposte al pubblico come producer e autori: una volta l’approccio era senz’altro più grezzo. D’altra parte tanta consapevolezza fa correre il rischio di limitare la creatività: il fatto di avere a disposizioni tanti canali per informarsi - come i social, per esempio, dove tutti guardano tutti - può portare a un accesso di paragone con gli altri che rischia di sfociare in omologazione. “Fortune” è stato realizzato con il contributo di NUOVOIMAIE… Sì, con il bando Nuove Produzioni Discografiche 2022 - 2023. Iniziative come queste sono un volano importante per gli artisti indipendenti. E non solo per gli artisti, ma anche - più in generale - per l’intero settore non legato alle multinazionali o alle grandi aziende. La cosa positiva è che richiedere questo tipo di sostegno costringe le piccole realtà a professionalizzarsi, lavorando su piani precisi con strategie e modalità ben definite. Penso, per esempio, alla stampa di un vinile: è necessario che l’etichetta trasmetta all’Istituto tutti i contratti e la documentazione del processo di lavorazione. Cose che le etichette più grandi e strutturate possono considerare ordinaria amministrazione, ma che per le piccole realtà non sono affatto scontate. E’ un’esperienza che fa crescere, e questo è molto bello.