Harry Kane, capitano della nazionale di calcio dell’Inghilterra e attaccante di primissima fascia che milita nel Bayern Monaco, ha reso noto di avere effettuato un investimento nella società di biglietteria&nbsp;Seat Unique.

Kane ha acquisito una partecipazione nella società nell’ambito di un nuovo round di finanziamento per complessivi 14,5 milioni di sterline che, secondo il&nbsp;Financial Times, ne ha valutato il valore a oltre&nbsp;100 milioni di sterline&nbsp;(circa&nbsp;120 milioni di euro&nbsp;al cambio attuale).

Seat Unique è specializzata nella vendita di biglietti premium e pacchetti di ospitalità per eventi sportivi, musicali e culturali, e dichiara che le sue vendite stanno crescendo di oltre il&nbsp;100% anno su anno. Sempre secondo il&nbsp;Financial Times, nel 2023 le vendite hanno superato i&nbsp;55 milioni di sterline.

La società ha l’abitudine di coinvolgere stelle dello sport sia come&nbsp;ambasciatori&nbsp;sia come&nbsp;investitori. Fondi collegati al giocatore di cricket&nbsp;Ben Stokes, all’atleta&nbsp;Dame Jessica Ennis-Hill&nbsp;e all’ex calciatore&nbsp;John Terry&nbsp;hanno già investito nella società.

Seat Unique è stata fondata nel 2019 da Robin Sherry e Phillipa Hicks ed offre ai fan l'accesso a posti esclusivi e esperienze VIP che tradizionalmente erano riservate a clienti aziendali o possessori di palchi.&nbsp;Negli ultimi anni ha stretto accordi diretti con importanti sedi, tra cui la Co-op Live Arena di Manchester, il London Stadium e la Formula E, ottenendo i diritti per vendere biglietti premium e pacchetti di ospitalità. Attualmente, Seat Unique è in procinto di espandersi in nuovi mercati, con particolare attenzione all'Europa.&nbsp;La piattaforma collabora direttamente con club, sedi, artisti e titolari di diritti&nbsp;per proporre la vendita di biglietti premium e pacchetti di ospitalità ufficiali e&nbsp;garantire che tutti offrano un accesso garantito al 100% agli eventi.

Ticketing

Harry Kane

Seat Unique

Rockol.it Logo

Rockol.com S.R.L.

Il calciatore Harry Kane investe in Seat Unique

Industria

Ticketing che evolve: pacchetti VIP, investitori VIP

L’editoria musicale indipendente continua a prosperare: secondo il rapporto dell’Independent Music Publishers Forum - ente che rappresenta a livello internazionale gli editori musicali indipendenti - relativo all’ultimo anno del quale siano disponibili i dati completi - il 2023 - il comparto ha visto il proprio volume d'affari crescere a livello globale del 5,7% su base annua a quota 2,57 miliardi di euro.

Le quote di mercato indicate nel rapporto vedono il settore publishing slegato dal circuito delle multinazionali assestarsi al 26,3% (in leggero calo rispetto al 26,7% dell’anno precedente), davanti a Sony Music Publishing (24,9%), Universal Music Publishing (23,3%) e Warner Chappell Music (12,4%), ma comunque a meno della metà del market share del settore major aggregato (pari al 60,6%, a +0,5% su base annua).

“La quota di mercato degli indipendenti si è leggermente contratta, ma gli editori musicali indie hanno visto il loro valore complessivo crescere anno dopo anno negli ultimi cinque anni”, si legge nel documento di IMPF: “Questo dimostra che stiamo godendo dei benefici di un ambiente economico molto buono per l'editoria musicale in generale. In questo contesto, le ripartizioni dai nostri partner dell'organizzazione dei diritti di esecuzione&nbsp;sono aumentate vertiginosamente dopo la pandemia e hanno raggiunto nuovi massimi nel 2023, con un chiaro sviluppo nei ricavi digitali”.

“I diritti di esecuzione nei media tradizionali sono rimasti stabili e il settore live ha goduto di un anno da record, poiché molti dei migliori artisti sono stati in tour”, prosegue il report: “Il settore della sincronizzazione, che è diventato una parte essenziale del reddito degli editori, continua a mostrare forza, grazie allo sviluppo di piattaforme di streaming video e all'elevato volume di programmi TV e film prodotti in tutto il mondo, ognuno dei quali costituisce un'opportunità per gli editori. Nel complesso, siamo ottimisti sullo stato attuale del business, sulla base dei risultati di questo rapporto”.

“Tuttavia, l'intelligenza artificiale generativa avrà un impatto sul business musicale come lo conosciamo oggi, e le nostre preoccupazioni sono reali”, osserva IMPF: “I dati recenti di Deezer dovrebbero darci spunti di riflessione: il 10% delle 100.000 canzoni caricate ogni giorno sulle piattaforme di streaming sono generate dall'intelligenza artificiale. Considerando che i modelli generativi sono una relativa novità, viene da chiedersi cosa accadrà domani. L'intelligenza artificiale influenzerà chiaramente l'intero ecosistema e il <a href="https://musicbiz.rockol.it/news-748588/ai-generativa-studio-cisac-rischio-perdite-22-miliardi-euro-creator">recente rapporto del CISAC sul rischio di perdita di fatturato nei prossimi cinque anni per i contenuti di intelligenza artificiale</a> ci ha fatto aprire gli occhi”.

“Quando abbiamo fondato IMPF, più di dieci anni fa, avevamo un'idea: dare voce agli editori musicali indipendenti nell'industria musicale globale”, ha commentato il CEO di IMPF Pierre Mossiat: “Penso che abbiamo avuto successo oltre i nostri sogni. Uno degli elementi chiave che ci ha messo sulla mappa è questo esercizio nel tentativo di valutare l'importanza economica del settore indipendente. Questo rapporto, ogni anno, ci dice quanto valiamo, ed è un quadro molto gratificante”.

Publishing, gli indipendenti ancora in crescita

Per il report IMPF del 2023 al settore slegato dalle multinazionali il 26,3% di market share

Spotify ha presentato oggi la nuova fase di Spotify Advertising: il DSP, con una nota ufficiale, ha fatto sapere di aver “modernizzato” la propria tecnologia pubblicitaria, “rafforzato le partnership e approfondito” le proprie competenze al fine di “semplificare agli inserzionisti l'acquisto, la creazione, la misurazione e il raggiungimento di risultati chiari” sulla piattaforma.

“Queste innovazioni rappresentano un importante passo avanti nell'acquisto automatizzato e nell'innovazione creativa per Spotify e per l'intero settore del digital audio, in particolare con il nuovo Spotify Ad Exchange”, hanno spiegato i gestori del servizio: “Sappiamo che gli inserzionisti scelgono Spotify perché in continuo rinnovamento culturale, tecnologico e creativo. Ora Spotify offre nuovi modi per aiutare gli inserzionisti a entrare facilmente nel playground creativo della piattaforma, come le nuove Spotify Gen AI Ads”.

Tra le novità presentato figurano la nuova offerta programmatica Spotify Ad Exchange, Spotify Ads Manager (che offre “capacità di targeting più avanzate” e “nuove soluzioni di misurazione proprietarie e di terze parti”), e Spotify Gen AI Ads (che consente ai partner di “creare script e voci fuori campo senza costi aggiuntivi” grazie all’intelligenza artificiale), che vanno ad affiancarsi ai già annunciati Spotify Creative Lab (team creativo della piattaforma che collabora con i brand partner) e Spotify AUX, il servizio di consulenza interna del DSP.

L’azienda svedese quotata a New York prevede che nel 2025 i canali automatizzati genereranno 2 miliardi di dollari in spesa pubblicitaria.

Spotify, presentata la nuova fase di Advertising

Il DSP ha ‘modernizzato’ la propria tecnologia pubblicitaria

Benché l’ultimo rapporto stilato da IFPI parli di una crescita contratta - rispetto agli anni passati - al 3,3% nel 2024, negli Stati Uniti la spesa dei consumatori nel corso dell’anno passato nel settore della musica registrata è cresciuta del 10% rispetto al 2023: a rivelarlo è una ricerca di MusicWatch.

Secondo l’indagine negli Stati Uniti sono 132 milioni i cittadini titolari di un abbonamento a pagamento a un servizio di streaming musicale. Il solidità del mercato digitale interno non è andata a scapito dei formati fisici tradizionali: nel 2024 più della metà degli americani di età compresa tra 13 e 70 anni - oltre a spendere in sottoscrizioni a DSP - ha acquistato un CD o un vinile (tra 33 e 45 giri, negli USA nel 2024 ne sono stati venduti 19 milioni di esemplari, acquistati da un americano su 14, il 7% del totale), spendendo in media 112 dollari rispetto ai 102 spesi l’anno precedente.

Ancora più positivo, se possibile, è il quadro del mercato della musica dal vivo, dove la spesa media è cresciuta su base annua del 17% a quota 281 dollari: il dato, influenzato dall’aumento dell’inflazione e dal conseguente caro-biglietti, è corroborato dall’aumento della platea di consumatori, salita in dodici mesi dal 51 al 56% del totale della popolazione.

In un quadro generalmente positivo, è da segnalare - come nota stonata - la persistenza di comportamenti non legali da parte dell’utenza: nel 2024 14 milioni di americani hanno ammesso di aver fruito contenuti musicali illecitamente. Non, ovviamente, come accadeva all’inizio del secolo: Napster - oggi pronto al rilancio come piattaforma operante sul metaverso - è conosciuto appena dal 6% del pubblico anagraficamente collocabile nella Generazione Z.

USA, cresce la spesa per musica registrata e live

Una ricerca MusicWatch: +10% su tutti i formati e +17% sui biglietti dei concerti

Andrea Marco Ricci (nella foto, a sinistra) è una vecchia conoscenza degli addetti ai lavori dell’industria musicale italiana: attivo nell’ambiente da fine anni Novanta, avvocato esperto del settore musicale, formatore, fondatore e per anni presidente dell’associazione Note Legali, Consigliere di Amministrazione di NuovoIMAIE, Ricci - a partire dal maggio 2022 - ha deciso di imprimere una profonda svolta alla propria vita professionale - avviando l’etichetta La Gloria, fondata ufficialmente nel maggio del 2023 insieme al frontman dei The Sun Francesco Lorenzi (nella foto, a destra) e oggi etichetta di riferimento della christian music italiana.

“La svolta è stata il Sanremo del 2021, quello ‘a porte chiuse’ a causa della pandemia”, racconta: “In me si è rotto qualcosa. Ho capito che se dovevo dedicare tante energie a qualcosa in cui credevo, dovevo farlo per qualcosa a cui credevo veramente. Così sono tornato alle origini della mia vita, che era fatta da chiesa e scout, iniziando a guardare quel mondo con gli occhi di chi ha 25 anni di esperienza nel settore. E scoprendo una grande ricchezza completamente ignorata: di tutta quella che era la musica che cantavo e suonavo da ragazzo, online non c’era praticamente nulla.

Così hai deciso di aprire La Gloria…

All'epoca ero l'avvocato della Rugginenti Editore, storica etichetta milanese, forse la più importante del nord Italia per quello che riguardava la musica cristiana. Il suo fondatore, Gianni Rugginenti, il padre di Maurizio, stava lasciando l’attività a causa della svolta digitale, che aveva azzerato la vendita di dischi fisici. Maurizio - molto concentrato sul pop, tanto da vincere Sanremo Giovani, nel 2013, con Antonio Maggio - non era interessato a proseguire l'attività del padre nella musica religiosa, così ho acquistato il catalogo di Rugginenti, e da lì sono partito per cercare di costruire qualcosa.

Per essere un’etichetta molto giovane, La Gloria ha un roster molto ben nutrito: come avete avviato il processo di scouting?

Col passaparola: la voce si è sparsa molto velocemente, e altrettanto velocemente abbiamo assemblato un roster di artisti cattolici, i più conosciuti sulla scena. Poi, a seguire, sono arrivati artisti evangelici, con la Hopeful Music di Angelo Maugeri e a seguire PDG Worship. E dopo ancora abbiamo acquistato e restaurato il catalogo storico della Pro Civitate Cristiana, etichetta di Assisi pioniera del genere, tra la fine degli anni Sessanta e la metà degli anni Ottanta: per capirci, è stata la label che nelle chiese - all’epoca ferme ai canti gregoriani in latino - ha portato la Messa Beat…

Perché una nicchia così vivace e florida è stata lasciata senza alcun presidio, per così tanti anni, da parte dell’industria?

I fattori sono tanti. In primis gli operatori culturali, in questa nicchia, sono stati storicamente legati a movimenti religiosi come i Salesiani, il Rinnovamento dello Spirito, il Movimento dei focolari, le attivissime “paoline”, i francescani (si pensi all’Antoniano): pochi laici hanno fatto investimenti con successo, in questo senso. In secondo luogo, il passaggio dal fisico al digitale ha fatto entrare in crisi le poche realtà che operavano nel segmento. Come in ogni altro ambiente, poi, gli artisti oggi sono abituati a fare da soli: la mancanza di un contratto discografico non è un buon motivo per mettere la parola fine a una carriera. E, in ultimo, c’è il pregiudizio - da parte dell’industria - che identifica la musica cristiana come le canzoni suonate negli oratori con le chitarre scordate. Per me, che ho avuto la fortuna di lavorare col compianto Matteo Romagnoli di Garrincha Dischi negli anni in cui ha fatto esplodere l'indie pop italiano, una nicchia va vista nel suo insieme. Per fare emergere tutti i numeri sommersi occorre fare un certo lavoro di aggregazione: l’idea di partenza de La Gloria è un po' questa.

Il fatto che ci sia un comune denominatore spirituale rende più difficile scegliere gli artisti da mettere sotto contratto?

No, non direi più difficile. Così come le etichette cercano artisti che hanno un pubblico, che propongono prodotti di qualità e con i quali sia stimolante rapportarsi dal punto di vista umano, anche noi abbiamo impostato la nostra attività su questi tre binari. La cosa più importante, tuttavia, è che la musica sia di qualità, perché non si può mettere qualcosa di così bello come la fede in un contenitore brutto: il rischio è di far sembrare brutto anche il contenuto. E la fede dei nostri artisti deve essere autentica: non ci interessa la cantante con una voce pazzesca che canta l'“Ave Maria” di Schubert, ci interessano artisti che hanno un incontro e una fede da raccontare, una testimonianza da portare. Deve essere un vissuto reale, perché fingere vorrebbe dire prendere in giro il pubblico. In ultimo, cerchiamo artisti che abbiano una progettualità: più che la singola pubblicazione, ci interessa un percorso di medio - lungo periodo.

Pare di capire che il genere musicale non sia molto importante, per entrare nel roster de La Gloria…

No, non lo è, anche se - personalmente - non posso negare di avere più di una difficoltà con urban e metal, che pure hanno derivazioni cristiane. Ma sono gusti personali: spero anzi che il mercato rimanga vario, con tante realtà vecchie e nuove. La varietà è una cosa buona. La Gloria ha cercato di imbarcare artisti abbastanza eterogenei proprio per diversificare la propria offerta musicale.

Il fatto di esservi approcciati praticamente da soli a una nicchia in forte crescita vi porterà ad ampliare le vostre attività, come etichetta?

All’inizio eravamo solo una società di edizioni, poi siamo passati a essere anche una label che pubblicava su licenza - cioè occupandoci solo di diritti connessi a compenso e distribuzione - per diventare - oggi - una label che fa contratti in cast con un roster di artisti che, complessivamente, fa tra i 250 e i 300 concerti all’anno. Ad aprile, quindi, debutterà la divisione live de La Gloria, che si occuperà di booking e produzione di eventi: il primo è stato quello dello scorso novembre a Cerea per il quindicesimo anniversario dei Reale, che ha fatto 1500 paganti. E a fine marzo c'è stata la serata al Teatro Lyrick di Assisi sul Beato Carlo Acutis, che verrà canonizzato a fine aprile. Per noi la musica dal vivo è importante. Anzi, è necessaria, perché è proprio nell’incontro e nella relazione personale col pubblico che si è più efficaci.

Se un domani una major dovesse tentare un approccio?

Non ho nessuna preclusione in merito: frequento le major da una vita e nei loro staff conosco persone che stimo. Da tempo sostengo che la dicotomia tra major e indie sia superata, dato che - ormai - quasi tutte le indie si appoggiano alle multinazionali per i servizi di promozione e la distribuzione e viceversa le multinazionali alle indie per lo scouting e la produzione. Se dovesse succedere, valuterei serenamente l’offerta preoccupandomi solo che l’identità de La Gloria resti intatta, anche se - al momento - non è una cosa che cerco…

Quali prospettive immagini per la nicchia della musica cristiana, in Italia, da qui a qualche anno?

Credo ci siano due o tre fattori in grado di cambiare lo scenario. Innanzitutto, gli anni “della trap” hanno trasmesso un certo tipo di immagine e di valori che non rappresentano tutto il pubblico, soprattutto quello che cercava altri tipi di valori e che negli anni si è sempre rifugiato nei cantautori. Con i nomi storici che stanno andando tutti lentamente in pensione, c'è una ricerca di artisti che rappresentano dei valori tipici di un'Italia un po' più conservatrice e cristiana. In secondo luogo, l’incertezza che caratterizza il mondo di oggi ha generato una crescente richiesta di fede e spiritualità. Poi, molto importante, per un segmento come questo il fatto di “industrializzarsi” comporta anche una crescita della qualità dell’offerta capace di superare la nicchia per arrivare al pubblico mainstream. Penso, per esempio, al disco di Mara Sattei e ThaSup (“Casa Gospel”, ndr), artisti già affermati che nel manifestare la propria fede non sono stati snobbati dalla platea generalista ma - anzi - sono stati capaci di incuriosirla. La prospettiva, quindi, è di consolidarsi ulteriormente, fino al superamento del concetto di nicchia, per arrivare a proporsi al grande pubblico come una possibile e valida alternativa a quello che c’è già.

Che rapporto c’è tra il panorama della musica cristiana italiano e le istituzioni ecclesiastiche?

Ho ottimi rapporti con il Presidente della CEI, ma la Chiesa è fatta di persone: così come ci è capitato di trovare interlocutori sensibili alle nostre istanze, altre volte ci è capitato di trovarci davanti a porte chiuse. E’ normale. Parlando dei vertici ecclesiali, il Papa - in occasione del Giubileo degli operatori culturali, lo scorso 17 febbraio - ha ricordato quanto sia importante il lavoro degli artisti nella società di oggi, sia come portatori di bellezza, in grado di educare alla speranza, che come responsabilità, invito all’azione, richiamo, grido: il fatto che lo stesso Pontefice paia considerare la musica un ottimo strumento di comunicazione (in questo senso incredibile il suo intervento durante il Festival di Sanremo), a qualsiasi livello, fa riflettere. Per il resto, noi siamo indipendenti da ogni sovrastruttura: La Gloria è una società benefit, laica e fondata da privati, quindi in nessun modo controllata da qualsiasi tipo di istituzione religiosa.

<a href="https://musicbiz.rockol.it/news-750752/discografia-nel-mondo-e-in-italia-andamento-mercati-nel-2024">I dati comunicati da FIMI nel report annuale riferito al 2024</a> danno l’export musicale italiano in crescita: è possibile che la nicchia nazionale della christian music sfrutti le proprie interconnessioni a livello globale per cercare di cavalcare questo trend?

In ambito anglofono il mondo della christian music è prevalentemente protestante, ma anche la scena cattolica sta crescendo in paesi come gli <a href="https://musicbiz.rockol.it/news-750717/musica-cristiana-non-e-una-nicchia-usa">Stati Uniti, dove la musica cristiana non è una nicchia, ma fa parte del mainstream</a>: noi, come La Gloria, cerchiamo di collaborare con realtà straniere sia con duetti sia diffondendo, attraverso le traduzioni, repertori esteri nel nostro Paese, come - per esempio - quello degli australiani Hillsong, evangelici pentecostali considerati tra i massimi esponenti della christian music a livello mondiale, dei quali abbiamo curato l’edizione italiana dei loro maggiori successi. C’è poi il Brasile: è un mercato enorme, caratterizzato da un panorama christian molto diversificato. Gli approcci delle varie realtà possono essere molto diversi tra loro. Ci definiamo etichetta cristiana, non cattolica, perché, in fin dei conti, vediamo nella musica un elemento capace di unire, e creare ponti, non di alimentare rivalità.

Musica cristiana in Italia, il caso La Gloria

Parla il co-fondatore Andrea Marco Ricci: 'Ci interessano artisti che hanno una fede da raccontare'

<a href="http://musicbiz.rockol.it/tutto-su/nuovoimaie-453984">NUOVO IMAIE</a> propone una serie di incontri con protagonisti e protagoniste del panorama musicale italiano per parlare dei loro progetti, ma anche per approfondire le dinamiche che ruotano intorno all’essere Artista Interprete Esecutore.

Tornati sulla scena discografica all’inizio dello scorso febbraio con l’EP “Circo Medusa”, ideale evoluzione del secondo album “Medusa” alla realizzazione del quale hanno contribuito ospiti speciali come - tra gli altri - Dj Aladyn, Saturnino e Willie Peyote, i Queen of Saba sono impegnati in questi giorni in un tour partito lo scorso 21 marzo da Torino che nella serata di oggi, 3 marzo, farà tappa al Circolo Magnolia di Milano. Uno show che lo stesso duo definisce “una sorta di spettacolo nello spettacolo”, che - in occasione della data nel capoluogo lombardo - celebrerà “tutte le connessioni e le amicizie che sono nate in questi anni di musica e collaborazione”...

Come nasce Queen of Saba?

Io e Lorenzo ci siamo conosciuti per caso a Venezia nel 2016 e abbiamo deciso da subito di collaborare. Fino al 2019 abbiamo lavorato soprattutto alla produzione di brani nostri, per poi debuttare anche dal vivo. Da quando ci conosciamo siamo cresciuti tanto, e in questo processo di crescita la nostra coscienza militante ha assunto un ruolo importante. Hanno giocato un ruolo importante anche le nostre esperienze di vita; soprattutto la mia, perché vivo a Torino, una città molto attiva e resistente. Ho sempre voluto canalizzare questa mia esigenza, e metterla nelle canzoni è venuto molto naturale, perché sono temi che fanno parte della mia quotidianità.

In questo periodo state portando in tour “Circo Medusa”, l’EP di remix del vostro precedente progetto “Medusa”, e proprio stasera farete tappa al Magnolia di Milano…

Si tratta di una sorta di spettacolo nello spettacolo, con performance di vario tipo che si avvicendano sul palco: la data di Milano sarà anche un momento per celebrare tutte le connessioni e le amicizie che sono nate in questi anni di musica e collaborazione. Tanti ospiti, quindi, alcuni dei quali si esibiranno con noi per la prima volta. Non è una serata improntata semplicemente all’ascolto, ma alla partecipazione attiva: l’idea è che alla fine del concerto lo spettatore dovrebbe sentirsi parte attiva dello show a cui ha assistito.

La vostra musica è un clash pazzesco: canzoni iper pop, orecchiabilissime e ballabilissime, che affrontano argomenti spesso tostissimi e alla fine riescono a mettere d’accordo tutti anche su temi in teoria complessi e divisivi…

Noi siamo grandi fan della musica pop: è un genere sempre un po’ bistrattato, il cui scopo principale è considerato quello di fare soldi, ma in realtà penso che sia uno strumento estremamente prezioso per comunicare con le persone. Nell’ambiente dellə attivistə ci chiediamo spesso come fare a uscire dalla nostra bolla, per non rischiare di parlare e darci ragione tra di noi: creare degli eventi coinvolgenti, in cui la gente viene per cantare, ballare e stare insieme, ci aiuta ad aprire un dialogo anche con mondi lontani. So per certo che ci sono persone che hanno cambiato idea su alcuni temi, dopo essere statə a un nostro concerto. La musica leggera crea immediatamente un senso di comunità, e credo che un terreno comune ci sia sempre, al di là della poetica identitaria e delle ideologie. A nessuno piace la repressione, l’autoritarismo, la negazione del dissenso, e l’unico modo per combattere tutto questo è fare fronte comune, perché la nostra vita è sempre più difficile e alienante e c’è bisogno di un cambio di paradigma per stare tuttə bene ed essere liberə di avere una vita dignitosa.

Si dice spesso che oggi per un musicista esporsi è doppiamente difficile, essendo molto concreto il rischio di perdere follower o contratti importanti...

Portando avanti in modo molto chiaro i nostri ideali c’è stata una sorta di selezione a monte da parte dei nostri fan e delle persone con cui lavoriamo: raramente ci è capitato che ci censurassero o che ci facessero un’opposizione attiva. La cosa che ci viene detta più spesso è che, se continuiamo così, il nostro è destinato a essere un pubblico di nicchia, o che se siamo così radicali prima o poi arriverà una qualche controversia. Ma per quanto ci riguarda, là fuori c’è un numero immenso di persone che non aspetta altro che sentire qualcuno che dica quello che diciamo noi. Io vorrei davvero invitare chiunque abbia una piattaforma e una voce a provare a esporsi, ogni tanto, anche solo per vedere che tipo di risposta può ottenere: potrebbero rimanere sorpresə. C’è chi teme un danno economico, e siamo tutti d’accordo che è bello potersi guadagnare da vivere con la musica, ma parlando per Queen of Saba posso assicurare a chiunque che, pur mettendoci in prima linea su tanti argomenti discussi, riusciamo comunque a campare della nostra arte in modo abbastanza tranquillo. E il fatto di non dover scendere a compromessi e non dover rinunciare a ciò in cui credo non ha prezzo.

Ma nella pratica come si fa a portare in musica la propria lotta, nel 2025?

Purtroppo in questo momento è pieno di artistə che traggono immenso beneficio dal consumo della loro musica da parte comunità LGBTQIA+, ma poi fanno fatica a esporsi su temi veramente radicali, in termini di diritti e rappresentazione; ad esempio faticano a esporsi sui diritti delle persone trans. La musica deve essere un mezzo per raggiungere più persone possibile e un collante sociale, ma noi la facciamo tanto più volentieri proprio perché ci permette di esporci e batterci per ciò in cui crediamo. Io sono una persona molto intransigente, e penso che alcuni temi siano una cartina tornasole, come la questione palestinese: in quel caso, secondo me prendere posizione e dire “Stop al genocidio” significa semplicemente avere empatia e schierarsi dalla parte dell’umanità.

A proposito di comunità LGBTQIA+ e altre categorie sottorappresentate, in questo momento il gender gap resta uno dei problemi più grandi dell’industria musicale italiana, come ha evidenziato anche <a href="https://musicbiz.rockol.it/news-742423/report-nuovoimaie-fimi-gender-gap-industria-musicale-italiana-2023">un’indagine di NuovoIMAIE</a>...

È un bene che questo tema venga portato alla ribalta con dati oggettivi, perché a volte la risposta generica a questo tipo di problematiche è “Le donne non sono abbastanza brave”, oppure “Le donne non si espongono abbastanza”, o ancora “Voi gay non potete lamentarvi perché siete dappertutto”. Quando si analizzano i numeri nero su bianco, però, è evidente che non è così. La parola chiave, oltre che rappresentanza, è rappresentazione: personalmente, crescendo ho sempre voluto fare della musica il mio lavoro, ma ho sempre fatto fatica a trovare modelli che mi assomigliassero. C’è evidentemente un problema alla base, e non solo tra i performer, ma anche dietro le quinte: se ci sono pochissime persone socializzate donne che fanno il mestiere di tecnica audio o tecnica luci è anche per questo, perché se sembra che nessun’altra lo faccia finisci per convincerti che non sia possibile farlo, che per te non ci sia spazio. Si possono fare tanti gesti significativi partendo dal basso, ma bisogna che anche chi ricopre posizioni decisionali prenda atto della necessità di un cambiamento.

Ad esempio?

Prendi i festival: a decidere chi suona (e quante donne suonano) non è un’entità astratta, sono delle persone. Basterebbe che lo facessero con più consapevolezza. C’è un bellissimo progetto su Instagram, <a href="https://www.instagram.com/bookmorewomen/">Book More Women</a>, che mostra come sarebbero le locandine delle varie rassegne se contenessero solo i nomi delle persone socializzate donne che si esibiscono: sono praticamente locandine vuote, e sono davvero immagini emblematiche del bias che c’è nell’industria musicale. Poi ti dicono “Le artiste donne fanno meno ascolti su Spotify”: beh, chiediamoci perché.

Tra le misure possibili per colmare il gender gap tra gli artisti e i performer, c’è un’altra iniziativa di NuovoIMAIE: il <a href="https://www.nuovoimaie.it/mission/bandi-e-contributi/bandi-musica/bando-genitorialita-2025/">Bando Genitorialità 2025</a>, che offre sostegno economico non solo alle artiste madri, ma anche agli artisti padri…

Questa iniziativa tocca un tema a noi molto caro e vicino: in questi ultimi anni Lorenzo è diventato papà, e tra noi ci siamo ritrovati più volte ad affrontare l’argomento della cura parentale. Un flusso che va in due direzioni, perché se da una parte lui ha senz’altro una serie di privilegi in più in quanto uomo, dall’altro è molto pesante per un padre non venire quasi considerato un genitore, come se l’unico vero genitore meritevole di diritti e tutele è quello che rimane a casa col bambino. È giusto e sacrosanto, quindi, che finalmente esistano strumenti del genere.

Se dovessi proporre altri strumenti utili a creare una situazione più equa all’interno del music business, quali sarebbero?

Beh, innanzitutto più corsi di formazione sui temi sensibili: di recente a Torino ne è stato organizzato uno sul tema del gender gap, ad esempio, per creare anche un momento di confronto tra artiste socializzate donne e altre minoranze di genere. A volte basterebbe davvero fornire gli spazi e i luoghi dove ritrovarsi, e ci si organizza da sé. E poi borse di studio, incentivi per giovani artistə… Tutte iniziative che possono nascere anche dal basso, ma che sarebbero le benvenute da parte di istituzioni che si occupano proprio di tutela alla categoria.

Queen of Saba

Ballare, pensando: il pop secondo i Queen of Saba

Il duo sta portando in tour l'ultimo EP 'Circo Medusa': 'Ai nostri show partecipazione attiva'

Si terrà a Torino tra i prossimi 10 e 11 luglio presso Spazio211, in via Cigna 211, la prima edizione di Monitor Festival, manifestazione ideata e diretta artisticamente da Gianluca Gozzi, fondatore di ToDays Festival, storica rassegna ospitata dal capoluogo piemontese <a href="https://musicbiz.rockol.it/news-743882/todays-2024-si-cambia-organizzazione-alla-fondazione-reverse">passata di mano lo scorso anno (alla Fondazione Reverse)</a> e <a href="https://musicbiz.rockol.it/news-750801/todays-festival-salta-l-edizione-2025">cancellata per l’estate del 2025</a>.

Il programma prevede le esibizioni di Cherry Pies, Rich(ard) Dawson, Luvcat e Shame (il 10 luglio) e Maria Chiara Argirò, Gia Ford, Yin Yin e Arooj Aftab (l’11): i biglietti sono disponibili su DICE al prezzo di 36 euro (per le singole giornate) e 60 euro (per l’abbonamento alla due giorni).

Monitor Festival vede Gozzi come ideatore e direttore artistico, con la co-direzione di Gabriele Sinatra e la creatività di Senza Futuro Studio: la manifestazione è un progetto di Spazio211, con il sostegno della Città di Torino.

Torino, nasce Monitor Festival

Da un’idea di Gianluca Gozzi, già ‘padre’ di ToDays Festival

L’offerta che non ti aspetti. A fari spenti, e ormai a pochi giorni dalla scadenza che ad aprile sancirà le sorti americane di TikTok &nbsp;(separata dal suo proprietario cinese o bandita negli Stati Uniti), secondo il New York Times un’offerta di acquisto per l’app cinese oltre oceano sarebbe stata presentata da Amazon, e anche in modo non consueto. Ossia: tramite una lettera indirizzata al vicepresidente JD Vance e a Howard Lutnick, il segretario al commercio.

Il presidente Trump, che ha ripetutamente promesso di salvare l’app nonostante le preoccupazioni per la sicurezza nazionale, ha rinviato l’applicazione di quella legge approvata in modo bi-partisan fino a sabato, anche dopo che era stata confermata all’unanimità dalla Corte Suprema.

Se dovesse essere una buona pista, come la comunità finanziaria prenderebbe l’iniziativa della conglomerata fondata da Jeff Bezos? Bene, considerando che a pochi minuti dal pezzo pubblicato dal NYT le azioni di Amazon, che quest’anno sono sotto del 15% ed erano in territorio negativo anche oggi, sono salite del 15%.

Il gigante dell’e-commerce è solo l’ultimo dei pretendenti di lusso a quella che - almeno a oggi - può essere considerata una delle acquisizioni più importanti sul panorama globale dei media digitali: oltre a Oracle e Microsoft, dati nelle scorse settimane tra i favoriti a rilevare le attività del social controllato da Bytedance, e accanto alle cordate di investitori illustri - tra le altre, quelle guidate dall'ex proprietario dei Los Angeles Dodgers Frank McCourt e dal fondatore di Employer.com Jesse Tinsley con il supporto CEO di Roblox David Baszucki - negli ultimi giorni aveva preso quota l’ipotesi che ad avere la meglio possa essere un consorzio guidato da Susquehanna International Group e General Atlantic con il sostegno del gigante dei servizi finanziari Blackstone.

Mentre agli occhi del pubblico il distaccamento americano del social ha dato, negli ultimi giorni, segnali di una possibile smobilitazione - con l’uscita dall’organico di due figure apicali come l’Head of Music Business Development <a href="https://musicbiz.rockol.it/news-750181/ole-obermann-a-capo-del-settore-musica-di-tiktok-si-dimette">Ole Obermann</a> (prima) e il Global Business Solutions Head <a href="https://musicbiz.rockol.it/news-750901/tiktok-negli-usa-via-un-altro-dirigente-blake-chandlee">Blake Chandlee</a> (poi) - il destino di TikTok negli USA potrebbe chiarirsi già nelle prossime ore. Nella giornata di oggi dovrebbe aver avuto luogo <a href="https://musicbiz.rockol.it/news-751043/tiktok-negli-usa-oggi-e-il-giorno-della-verita">un incontro tra Donald Trump</a> (accompagnato, per l’occasione, dal vicepresidente JD Vance, dal segretario al Commercio Howard Lutnick, dal consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca Mike Waltz e dalla direttrice dell'intelligence nazionale Tulsi Gabbard) <a href="https://musicbiz.rockol.it/news-751043/tiktok-negli-usa-oggi-e-il-giorno-della-verita">e i potenziali (e definitivi) investitori</a>: nei giorni scorsi Trump ha fatto sapere di voler annunciare i termini dell'accordo "prima della scadenza" fissata dai termini di legge.

Sarà Amazon ad acquistare TikTok?

L’indiscrezione del New York Times

È obiettivamente difficile aprire l’app Musica preinstallata sul proprio iPhone senza ricevere un’offerta promozionale per abbonarsi ad Apple Music.

Un’azione che negli Stati Uniti, grazie alle caratteristiche gestionali dell'App Store, è molto più semplice che non abbonarsi al servizio offerto dal suo principale concorrente, Spotify - la quale, per evitare di cedere ad Apple una commissione sulle proprie entrate da abbonamenti, già da tempo richiede&nbsp;agli utenti d’oltre oceano di iscriversi al servizio tramite computer anziché direttamente dal telefono (mentre in Europa normative più rigide la proteggono e le permettono di offrire l’iscrizione direttamente dalla propria app).

Eppure, nel confronto con Spotify, Apple Music è indietro e continua a perdere quota. <a href="https://musicbiz.rockol.it/tutto-su/apple-music-417535">Apple Music</a> ha recentemente dichiarato di avere raggiunto i 100 milioni di abbonati, inclusi quelli in prova gratuita, laddove il DSP svedese al 31 dicembre contava 263 milioni di abbonati paganti e, ormai da alcuni trimestri consecutivi, è anche solidamente redditizio, con un margine lordo del 32% nel quarto trimestre 2024. Apple Music, che comunque non rende pubblico il proprio conto economico (è una divisione e non una società del gruppo), secondo The Information&nbsp;starebbe viaggiando&nbsp;con un margine lordo contenuto entro una cifra percentuale. Infine, sempre lo&nbsp;scorso anno, <a href="https://musicbiz.rockol.it/news-750771/spotify-nel-2024-pagamenti-in-crescita-a-doppia-cifra-negli-usa">il mercato statunitense</a> ha rappresentato il 39% dei ricavi di Spotify, che dunque spadroneggia proprio sul territorio "di casa" di Apple.

Va peggio, sempre secondo la testata tecnologica americana, ad Apple TV+, che sarebbe l’unico servizio in abbonamento di Apple a non essere redditizio: le sue fonti dichiarano che perderebbe oltre 1 miliardo di dollari l’anno, nonostante gli abbonamenti siano cresciuti fino a circa 45 milioni lo scorso anno, e che Apple avrebbe speso oltre 5 miliardi di dollari l’anno in contenuti da quando Apple TV+ è stata lanciata nel 2019 - l’anno scorso, tuttavia, l’azienda avrebbe ridotto quel budget di circa 500 milioni di dollari (anche Bloomberg aveva già riferito qualcosa di simile, scrivendo che Apple aveva investito oltre 20 miliardi nei primi cinque anni di vita del servizio).&nbsp;Secondo la società di rilevazione Nielsen, inoltre, la quota di spettatori di Apple TV+ ammonta a meno dell’1% della visione totale mensile su TV connesse negli Stati Uniti, laddove Netflix e Amazon Prime Video vantano quote rispettivamente dell’8,2% e del 3,5%.&nbsp;

Musica e TV in Apple sono parte del suo comparto Servizi, che nel complesso <a href="https://musicbiz.rockol.it/news-749769/apple-a-inizio-2025-fatturato-record-a-124-3-miliardi-di-dollari">va tutt’altro che male</a>: attualmente rappresenta la seconda voce di ricavo più importante dopo l’iPhone, con il 21% del fatturato totale nell’ultimo trimestre, e vanta profitti molto superiori a quelli dell’hardware. Grazie a performance brillanti di prodotti come&nbsp;iCloud+, App Store&nbsp;e raccolta pubblicitaria, i ricavi dei servizi sono cresciuti del 13%, superando i 96 miliardi di dollari nell’ultimo anno fiscale, con margini lordi superiori al 75% (contro meno del 40% dell’hardware).

Sia il netto contrasto tra queste ottime performance rispetto a quelle dello streaming musicale e (soprattutto) televisivo che le prestazioni della concorrenza intorno ad Apple inducono a chiedersi le ragioni di questa situazione.&nbsp;

Guardando alla tipologia degli operatori profittevoli e di successo, l’evidenza principale è che&nbsp;Netflix (nel video) e Spotify (nell’audio) sono entrambi ‘pure player’ anziché divisioni di gruppi più vasti e diversificati (come accade invece per Prime in Amazon, per Apple Music e Apple TV in Apple e per YouTube in Google). I loro due modelli di business si sono sviluppati in modo diverso salvo, poi, incrociarsi e in parte convergere strada facendo. Netflix, ad esempio, ha introdotto un layer gratuito sovvenzionato dalla pubblicità nell’ultimo paio d’anni, ammiccando al tradizionale&nbsp;freemium degli svedesi; Spotify, dal canto suo, aveva investito in produzioni proprietarie (anche se non nella musica), prendendo spunto dalla costruzione di asset che il gruppo fondato da Reed Hastings ha sempre posto al centro della propria strategia per limitare la dipendenza da licenze di terzi. Entrambe, poi, presentano altri due tratti in comune. Il primo è il focus assoluto sulla propria proposta di valore, molto precisa e verticale. Il secondo è la traiettoria che stanno seguendo sulla politica di pricing, agendo sui prezzi degli abbonamenti. Netflix li incrementa da anni con modesti ma costanti ritocchi e Spotify ha cominciato recentemente ad imitarla, anche grazie alla pressione esercitata dalle major musicali. Entrambe le piattaforme hanno aumentato il prezzo dell’abbonamento mensile senza perdere abbonati, anzi.&nbsp;

Se nel recente passato il mercato dello streaming era dominato da un’impostazione improntata alla scalabilità, per la quale la crescita - e non i profitti - rappresentava il parametro di successo principale, oggi un buon servizio di streaming si qualifica come&nbsp;tale quando è estremamente focalizzato su una tipologia di offerta e quando dimostra di disporre di un buon margine di manovra nell'aumento dei prezzi, pur continuando a crescere. Un lusso, quello del prezzo, che chi invece focalizzato non è e utilizza lo streaming e la musica per rafforzare l’impalcatura intorno ad altre ‘cash cows' (per Apple: l’iPhone) non potrà permettersi fino a che non riposizionerà la musica come 'core business'.

In alternativa, potrà sicuramente concedersi altri lussi. Per esempio, Apple realizza profitti complessivi&nbsp;talmente elevati — 93,7 miliardi di dollari di utile netto nell’ultimo anno fiscale — da potere facilmente assorbire le perdite del servizio di streaming televisivo, che pesa poco più dell’1% dei suoi guadagni, e “stare serena” sulla musica. Tuttavia, allo stato attuale, le quote di mercato ridotte sia&nbsp;nel video che nell'audio testimoniano come l’azienda non abbia ancora trovato la chiave per essere una protagonista assoluta nel mondo dell’intrattenimento. La sua&nbsp;strategia più ampia punta a diversificare le entrate al di là del suo business principale, l’iPhone, la cui crescita è stagnante negli ultimi anni. Però finora continua a prevedere che musica e TV contribuiscano ad aumentare la&nbsp;fedeltà&nbsp;degli utenti dell'iPhone, incentivandoli a restare nel mondo Apple offrendo prove gratuite per musica e TV all’acquisto di nuovi dispositivi e includendoli nei bundle di altri servizi Apple.

Così insegnò Steve Jobs, dopo tutto, no? iTunes come strumento per rendere migliore l’iPhone, dopo che aveva già aiutato l’iPod e rimettere Apple sulla vetta dell’hardware informatico. Però erano tempi in cui i download a pagamento sembravano una mini-manna dal cielo per un’industria in crisi nera. Nello streaming, invece, la crescita di&nbsp;Apple Music&nbsp;può definirsi stagnante.&nbsp;Oliver Schusser, che la guida ed ha assunto anche la supervisione di Apple TV+, ha il difficile compito di portarne le prestazioni al livello di quelle dei servizi che generano molta cassa, rendendo felici non solo gli azionisti della Mela ma anche l’industria musicale che, nel ‘Global North’ (Stati Uniti ed Europa) avrebbe bisogno di maggiore concorrenza prima che lo streaming 2.0 o super-premium che dir si voglia riesca a fare la differenza.

Spotify scappa, Apple Music insegue

Due traiettorie di business a confronto

Da aprile sarà disponibile online l’evoluzione digitale di Radio m2o: grazie a un nuovo progetto editoriale realizzato in collaborazione con l’agenzia di influencer marketing Stardust, prenderà il via “m2o plus - The space to be”, un content creation hub per realizzare un palinsesto di oltre 200 contenuti digitali originali al mese tra YouTube, TikTok e Instagram, tra i contenuti social della radio e i format speciali “Plus”.

In uno studio dedicato presso Moysa, a Milano, vengono realizzati format inediti su temi come lifestyle, fitness, sport, food e attualità: i contenuti sono divisi fra formati long e short, ognuno in uscita a cadenza regolare, e distribuiti sui canali social della radio.

La direzione artistica di m2o plus è di Albertino, ideatore del progetto insieme ad Alessandro Furgione, AD di A. Manzoni &amp; C. e di Stardust. E’ la stessa Stardust a firmare invece la strategia digitale e, in sinergia con la radio, il coordinamento generale e la comunicazione. I contenuti saranno amplificati da creator e influencer di Stardust che condivideranno i contenuti sui propri canali, oltre che distribuiti sui canali social di m2o e dei talent coinvolti.

“L’idea di m2o plus, una case history inedita nel panorama radiofonico italiano, è nata nei mesi scorsi con Alessandro Furgione e risponde alle esigenze di entrambi: quella di Stardust di avere sempre nuovi contenuti social e quella di Radio m2o di evolversi sul fronte digitale”, ha dichiarato Albertino, Direttore Artistico di Radio m2o. “Con questo progetto, possiamo spaziare anche su temi e contenuti che in radio non tocchiamo direttamente ma vicini comunque al nostro universo, con al centro sempre la musica. Il modo di affrontarli fa parte invece del nostro linguaggio, veloce, giovane, dinamico, attento al presente e proiettato al futuro. Con entusiasmo, noi di m2o ci occupiamo della parte editoriale, per realizzare decine di nuovi contenuti ogni settimana, tutti originali, fra formati long e short, ognuno rivolto a target differenti. I contenuti saranno realizzati in uno studio dedicato e futuristico presso il Moysa, e verranno poi amplificati dagli influencer di Stardust”.

“m2o plus rappresenta un progetto editoriale di visione, nato dalla volontà comune di portare la radio in una nuova dimensione digitale e multicanale”, ha aggiunto Alessandro Furgione, AD di Stardust: “Insieme ad Albertino abbiamo immaginato contenuti editoriali che andassero oltre la programmazione tradizionale, capaci di coinvolgere nuove generazioni attraverso linguaggi, formati e piattaforme in costante evoluzione. Con m2o plus consolidiamo il percorso di crescita di Stardust nello sviluppo di progetti editoriali nativi digitali. La nostra esperienza nella produzione e distribuzione di contenuti ci consente di accompagnare la radio in una trasformazione concreta, rafforzando al tempo stesso la nostra evoluzione come realtà editoriale contemporanea”.

Radio, nasce m2o Plus

Un nuovo progetto editoriale dell’emittente in collaborazione con Stardust

Gli storici studi di Abbey Road a Londra hanno riaperto, dopo una chiusura di sei mesi per lavori di ristrutturazione, la storica sala di ripresa Studio One: per l’occasione è stato organizzato un evento celebrativo che ha visto il coreografo del Royal Ballet Joseph Toonga creare coreografie originali per uno spettacolo di danza sulle colonne sonore scritte da Daniel Pemberton, e remixate per l’occasione dal resident artist Jordan Rakei. Nel corso della stessa serata un’orchestra di 64 elementi diretta da James Brett ha eseguito brani tratti da alcune delle colonne sonore più importanti mai registrati presso la sala, che annoverano - tra le altre - quelle delle saghe di “Harry Potter” e “Il signore degli anelli”.

"La riapertura dello Studio One vede Abbey Road abbracciare un'energia rinnovata che non solo onora la nostra eredità, ma guarda anche al futuro", ha dichiarato Sally Davies, CEO di Abbey Road: "Questa celebrazione multidisciplinare è stata il modo perfetto per inaugurare questa nuova era, con una serata che ha sostenuto l'innovazione e la creatività a ogni svolta".

La Studio One è una delle sale di ripresa più grandi attive al mondo: estesa su quasi 5000 metri quadri, è stata inaugurata nel 1931, e nel corso degli anni ha ospitato le session di - tra gli altri - Harry Styles, Noel Gallagher e U2.

Londra, riaperto lo Studio One di Abbey Road

Dopo sei mesi di stop per ristrutturazioni

Come ogni anno, una delegazione della Recording Academy si recherà a Washington per sensibilizzare i governanti degli Stati Uniti sui temi che stanno più a cuore all'industria musicale. Grammys on the Hill, questo il nome dell'iniziativa, nel 2025 avrà luogo dall'8 al 10 aprile e si ripete da oltre vent'anni. Nel 2024, spiega il comunicato ufficiale, l'intervento dell'Academy&nbsp;ha portato a 5 leggi statali contro l'uso improprio dell'AI e le procedure illecite&nbsp;nell'ambito del ticketing, ha supportato oltre 20 proposte di legge tra statali e federali e ha visto partecipare oltre 3.500 delegati e membri dell'associazione in opere di lobbying a vario titolo.

Tra i risultati più apprezzati ottenuti l'anno scorso c'è l'introduzione al senato del disegno di legge NO FAKES Act,&nbsp;che protegge gli artisti dall'utilizzo indiscriminato della propria opera e persona da parte dell'intelligenza artificiale, e naturalmente il TICKET Act, contro la speculazione selvaggia sulla vendita dei biglietti dei concerti,&nbsp;ma non solo. A livello dei singoli stati, si registra anche l'approvazione di&nbsp;un disegno di legge in California&nbsp;che impone di avere il consenso esplicito da parte degli eredi per utilizzare digitalmente l'immagine e i tratti distintivi di artisti ormai deceduti, e l'approvazione dell'ELVIS Act in Tennessee. Sempre su pressione della Recording Academy, nel 2024 lo&nbsp;U.S. Copyright Office ha stabilito una regola che protegge il diritto di rescissione dal contratto da parte degli autori che vogliano separare la propria strada dai propri editori.&nbsp;&nbsp;

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Grammys on the Hill: la Recording Academy incontra il governo USA

L'appuntamento è in programma tra qualche giorno, come ogni anno da vent'anni a questa parte

In occasione della Giornata Internazionale della donna, l'8 marzo scorso, avevamo chiesto un contributo sul tema&nbsp;a Equaly, la principale associazione di categoria che si batte per la parità di genere nel music business. In linea con i suoi principi e con le battaglie che porta avanti, tuttavia, Equaly aderisce allo sciopero che tradizionalmente quel giorno vede coinvolte le lavoratrici donne di ogni settore, e si astiene dal partecipare a dibattiti e altre iniziative. Ospitiamo quindi volentieri oggi l'articolo che Franca Barone, co-fondatrice e presidente dell'associazione, ha voluto gentilmente scrivere per Rockol MusicBiz, in quanto di parità è necessario parlare tutto l'anno e non solo in ricorrenze programmate.&nbsp;

PARITÀ DI GENERE E MUSIC BUSINESS ITALIANO: A CHE PUNTO SIAMO?

Partiamo da un presupposto: stiamo vivendo tempi incerti, difficili, e i diritti civili ne stanno senz’altro risentendo. Come in altri momenti simili, c’è apparentemente poco spazio per il progresso dell’umanità in questi termini, al grido di “ci sono cose più importanti di cui occuparsi”. A dir la verità, ci sfugge cosa possa esserci di più importante che lavorare su disuguaglianze strutturali e libertà personali e collettive cui sono legate tutte le dinamiche che sottendono a qualsiasi tipo di settore: da chi gestisce il potere a come lo fa, dalle decisioni che vengono prese e nell’interesse di chi, a chi vengono chiesti i sacrifici maggiori, alla visione in nome della quale queste decisioni vengono portate avanti.

Il rendiconto di genere 2024 dell’INPS lo dice chiaramente: “Sono ancora rilevanti le condizioni di svantaggio delle donne nel nostro Paese, nell’ambito lavorativo, familiare e sociale”. Touchè. Lo stesso rendiconto ci ricorda che le donne rappresentano il 51,1% della popolazione, non esattamente una minoranza di cui non ha senso occuparsi. Il music business italiano non è impermeabile a queste dinamiche, ovviamente, e noi di Equaly che ce ne occupiamo quotidianamente da anni, lo sappiamo bene.

Nonostante lo scenario non rassicurante, assistiamo ad un dibattito pubblico sulle istanze femministe sempre crescente e costante; anche le realtà che se ne occupano all’interno del settore musicale italiano (e non solo) stanno aumentando: per citarne alcune, Indie Pride, POCHE, Canta fino a 10, PIXIE Milano, La Cantautrice, Fluidae, Disability On Stage (oltre a singole attiviste che fanno della lotta alla disparità di genere nella musica la loro missione quotidiana). Forse è proprio la crescente consapevolezza su questi temi che porta ad atteggiamenti reazionari e di chiusura da parte del potere, per ricordarci che lo status quo non può e non deve essere cambiato: l’immutabilità del sistema patriarcale che ancora oggi, nel 2025, è la logica che guida i ragionamenti di chiunque, donne e uomini, consciamente o inconsciamente, deve essere mantenuta. Cerchiamo quindi di fare un quadro sintetico sullo stato dell’arte sia da un punto di vista aziendale che artistico.

LA PARITÀ A SANREMO 2025

Le artiste sul palco dell’edizione 2025 hanno rappresentato il 40% circa del totale. Un numero eccezionale rispetto alla quasi totalità delle passate edizioni. Nonostante questo, sappiamo bene che nella top 5 della classifica finale non era presente nessun’artista. Si è gridato allo scandalo (specialmente con riferimento all’assenza di Giorgia), ma di scandalo non c’è traccia; è certamente vero che un maggior numero di partecipanti donne aumenta la probabilità di avere sul podio un’artista, ma la relazione non è affatto diretta. Ad inquinare la proporzione è, come diciamo sempre, il modo in cui le artiste sono viste, quello in cui sono trattate. Il focus della stampa (e quindi del pubblico) è quasi sempre su vestiti, presunte rivalità femminili (il famoso detto “le donne sono le peggiori nemiche delle donne” non è stato di certo inventato da una donna), altri stereotipi sessisti e fastidiosissimi doppi standard. Anche la conduzione Conti ha portato avanti questo approccio secondo cui il patriarcato può dormire sonni tranquilli. Non siamo stupite.

LA PARITÀ NELLA SCRITTURA E NELLA COMPOSIZIONE

Parlando sempre di Sanremo 2025, per quanto riguarda la parte autoriale, le autrici e compositrici che hanno scritto per altri (e non per loro stesse come interpreti) sono state 7, ovvero il 6,4% del totale. Un altro riscontro di questa situazione incredibilmente sbilanciata ci è stato confermato dai SIAE Music Awards 2024, per i quali le nominate erano soltanto l’8,2%, e le tre vincitrici (di cui curiosamente nessuna iscritta in SIAE ma in altre collecting society) il 6,2%. Partendo dall’assunto che non è statisticamente possibile che le autrici/compositrici siano così poche perchè “non sono capaci”, sembra proprio che la maggior parte degli artisti convivano senza farsi troppe domande con le migliaia di pregiudizi e di stereotipi esistenti nei confronti delle donne che fanno musica musica. Non c’è niente di naturale o di logico nel pensare che una donna sia meno brava di un uomo “di default”, a suonare, cantare, comporre o produrre. Eppure questo è quello che ci raccontano non solo i dati, ma anche moltissime donne della musica che vivono sulla loro pelle quasi quotidianamente discriminazioni, stereotipi e doppi standard.

LA PARITÀ NELLA PRODUZIONE

Le producer sono ancora meno delle autrici e compositrici. In questo campo si aggiunge il pregiudizio che le donne non siano portate per le materie scientifiche (le cosiddette materie STEM), aggravato dall’ancora più maschiocentrico ambiente dello studio di registrazione. Come detto però, ci sono delle belle realtà, come il collettivo POCHE capitanato dalle artiste e producer ELASI e PLASTICA, e il collettivo FLUIDAE che vogliono dare un contributo positivo alla community di producer donne mettendo l’attenzione sulla loro mancanza e proponendo interessanti workshop e opportunità di collaborazioni.

LA PARITÀ NELLE AZIENDE ITALIANE

Si sa, il music business italiano non è popolato da aziende molto grandi; fatta esclusione per le major (Universal, Warner, Sony e, oramai, BMG), la maggior parte sono realtà di medie, piccole o piccolissime dimensioni, motivo per cui non esistono sostanzialmente dati ufficiali sulle varie strutture aziendali, a meno di non avere informazioni da chi ci lavora dentro. Non esistono dati istituzionali di settore divisi per genere, in cui emergano anche dati sulla sottorappresentazione di genere (persone queer, non binarie etc), su persone con background migratorio o con disabilità. A grandi linee, sappiamo che la composizione di genere del personale è abbastanza equa tra uomini e donne, sfiorando una proporzione 50/50. Sappiamo anche però che man mano che si sale di ruolo, le donne cominciano sistematicamente a scarseggiare, per poi praticamente sparire quando si va a vedere chi presiede le varie società. È un dato confermato anche dal rendiconto di genere 2024 dell’INPS. Solo il 21,1% dei dirigenti è donna, e il 32,4% dei quadri. Il gap retributivo tra uomini e donne oscilla tra il 20% e il 32% a sfavore delle donne (con tutto quello che ne consegue anche in termini pensionistici) a seconda dei mercati di riferimento, nonostante le donne rappresentino quasi il 60% delle persone laureate.

LA PARITÀ NELLE CLASSIFICHE

Dall’ultimo report di FIMI sullo stato del mercato discografico italiano del 2024, emerge che il suddetto mercato vive il suo 7° anno di crescita consecutiva; a guidare è lo streaming che rappresenta il 67% dei ricavi e che negli ultimi 5 anni è cresciuto dell’84%. La glocalizzazione ha fatto sì che il repertorio locale nella classifica annuale FIMI sia passato dal 59% all’84% negli ultimi dieci anni. Il report dedica alle questioni di genere mezza pagina su un totale di 41 (davvero poco considerato il problema) affermando che il “numero di artiste donne presenti in Top 20 Album 2024, cresciuto del 300% rispetto al 2023”. Tralasciando quest’ultima informazione assolutamente parziale e che mal fotografa la situazione delle donne nella musica in Italia, ma concentrandosi soprattutto sulla crescita dei ricavi e quella del repertorio italiano in classifica, si potrebbe pensare che le artiste hanno davanti una strada lastricata verso il successo. La realtà è tutt’altra come spesso facciamo notare. Se si vuole approfondire ne abbiamo parlato, ad esempio, all’interno di uno dei nostri ultimi articoli sull’analisi proprio delle classifica FIMI degli album più venduti del 2024.

LA PARITÀ SUI PALCHI DEI FESTIVAL

Con Equaly affrontiamo anche il tema delle artiste che si esibiscono all’interno dei festival italiani. A breve pubblicheremo il report riguardo ai numeri dei festival del 2024, ma già da quello relativo ai dati 2023 la situazione sembra chiara: su 34 lineup analizzate, le artiste soliste sui palchi rappresentano il 15,6% del totale. Provando anche ad indagare sugli apparenti motivi di questi numeri bassissimi, sembra che sia, come al solito, tutta colpa delle artiste: dalla convinzione che non portino pubblico, al mancato supporto delle loro stesse agenzie di booking, al presunto costo superiore per trucco e parrucco, alle etichette che non investono, al fantomatico “non ci sono più artiste da chiamare perchè sono tutte occupate”. Speriamo di trovare dati migliori per quanto riguarda il 2024. Nonostante l’industria musicale voglia sottolineare solo e soltanto i suoi aspetti positivi, la situazione di disparità è evidente, ed Equaly continuerà a lavorare affinché cambi, nel minor tempo possibile.

Parità di genere, a che punto siamo? L'opinione di Equaly

Pubblichiamo una riflessione a cura di Franca Barone, co-fondatrice e presidente di Equaly

A poche ore dal temuto annuncio dei dazi (previsto per le 22 ora italiana di oggi, mercoledì 2 aprile) sulle importazioni, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump potrebbe chiudere una volta per tutte l’affaire TikTok, prima che la scadenza fissata dal Protecting Americans from Foreign Adversary Controlled Applications Act per il prossimo sabato, 5 aprile, bandisca la piattaforma social da territorio americano.

Come rivelato dalla CBS e ribadito dall’Associated Press nelle prossime ore Trump incontrerà alla Casa Bianca gli investitori locali interessati a rilevare le operazioni del servizio di Bytedance nel paese: al meeting dovrebbero prendere parte anche il vicepresidente JD Vance, il segretario al Commercio Howard Lutnick, il consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca Mike Waltz e la direttrice dell'intelligence nazionale Tulsi Gabbard.

Non è stata fatta trapelare l’identità dei “pretendenti” all’acquisizione del ramo statunitense di TikTok convocati dallo staff presidenziale: secondo indiscrezioni di stampa, potrebbero essere presenti a Washington sia rappresentanti di Oracle, una delle primissime società candidate all’operazione, che di Blackstone, gigante dei servizi finanziari presente in una cordata guidata da Susquehanna International Group e General Atlantic.

All’inizio di questa settimana Trump aveva promesso di <a href="https://musicbiz.rockol.it/news-750994/tiktok-negli-usa-per-trump-l-accordo-e-questione-di-giorni">annunciare i termini dell’accordo con Bytedance prima della scadenza del 5 aprile</a>: il presidente USA aveva anche reso chiara la propria disponibilità a <a href="https://musicbiz.rockol.it/news-750531/tiktok-trump-proroga-alla-proroga-dell-ultimatum-bando-usa">concedere una proroga alla deadline</a> per offrire ai negoziati ulteriori tempi supplementari al fine della chiusura di un accordo.

TikTok negli USA, oggi è il giorno della verità?

Trump, nelle prossime ore, dovrebbe incontrare gli investitori e definire l’accordo

Sangiovanni è entrato nel roster di Double Trouble, la società di management guidata da Max Brigante e Jacopo Pesce: l’artista veneto, che al termine del Festival di Sanremo 2024 aveva annunciato di voler sospendere le proprie attività professionali per ragioni personali, pubblicherà il prossimo 9 aprile il nuovo singolo “Luci allo xeno”, scritta dallo stesso interprete insieme ad Alessandro La Cava, Stefano Tognini e Davide Grigolo, e prodotto da Zef e Zazu. La pubblicazione sarà curata da Sugarmusic, etichetta che cura gli interessi discografici di Sangiovanni fin dall’eponimo EP di debutto, distribuito sui mercati a partire dal maggio del 2021.

Sangiovanni

Management, Sangiovanni entra nel roster di Double Trouble

L’artista pubblicherà per Sugarmusic il nuovo singolo ‘Luci allo xeno’ il prossimo 9 aprile

Udio, la società di intelligenza artificiale generativa <a href="https://musicbiz.rockol.it/news-746287/major-vs-udio-e-battaglia-sui-tempi-del-processo">già citata in giudizio dalle major</a>, ha introdotto una nuova funzionalità nel proprio servizio: il nuovo tool, battezzato Styles, promette di generare nuovi brani restando fedele all’identità sonora di “esempi” sottoposti al modello dagli utenti.

“Style rende il processo di creazione incredibilmente intuitivo”, ha dichiarato il compositore Jordan Rudess, uno dei testimonial coinvolti nel lancio: “Può essere alimentato con idee musicali proprie, e sentire all'istante come possono prendere forma in diverse gamme di generi. Non è solo fonte di ispirazione, ma apre la mente a nuove possibilità e ti aiuta nell’evoluzione artistica”.

"Questa funzionalità sottolinea la nostra convinzione secondo la quale gli strumenti AI dovrebbero migliorare l'espressione artistica”, ha aggiunto il co-fondatore di Udio Andrew Sanchez: “Con Styles, stiamo aiutando i creator a esplorare ed estendere la propria identità musicale".

Resta, ovviamente, il tema sul materiale utilizzato per l’addestramento del modello. "Per proteggere artisti e titolari dei diritti, la funzionalità di riferimento di stile di Udio supporta solo i caricamenti di contenuti di proprietà o sotto il controllo degli utenti", ha fatto sapere l’azienda in una nota. Non è chiaro, tuttavia, come il nuovo tool possa garantire la conformità a questa policy, nel caso gli upload riguardino non materiale i cui diritti siano direttamente collegati agli utenti del modello, ma opere di terzi coperte da diritti.

Udio, arriva la nuova funzionalità Styles

Per replicare stili e identità sonore dei brani. Ma sulle modalità di training c’è poca chiarezza…

L'applicazione BBC Sounds, che permette di ascoltare le radio e i podcast della galassia BBC, è una delle più amate dai fan della musica di tutta Europa e di tutto il mondo: in termini di approfondimento e discovery è innegabile il valore assoluto delle sue reti musicali (su tutte&nbsp;BBC Radio 1, BBC Radio 1xtra e BBC Radio 6), così come la qualità dei singoli programmi e dei podcast prodotti. Brutte notizie per gli utenti extra-UK, però: a partire da questa settimana la app sarà progressivamente resa impossibile da scaricare sui cellulari geolocalizzati fuori dai confini della Gran Bretagna, mentre il sito BBC Sounds, dove tutti i canali e i podcast erano disponibili in streaming, è già una sorta di scatola vuota, con l'accesso&nbsp;riservato ai soli utenti del Regno Unito.

Questa decisione dovrebbe colpire soprattutto i contenuti musicali&nbsp;perché, a quanto si legge sul sito della radiotelevisione pubblica inglese,&nbsp;molti degli altri prodotti audio a marchio BBC resteranno disponibili per l'ascolto sulle principali piattaforme di streaming e podcasting. I contenuti prettamente giornalistici, inoltre, in particolare quelli di BBC World Service e BBC Radio 4, dovrebbero rimanere disponibili. Gli utenti inglesi che si collegano dall'estero durante viaggi o vacanze, invece, potranno continuare a usare BBC Sounds per brevi periodi di tempo.

Nelle discussioni emerse sul web, molti utenti&nbsp;si chiedono se si tratti di un tema di diritti e licenze legati alle canzoni presenti in programmazione sui canali BBC, ma la <a href="https://www.bbc.co.uk/sounds/help/questions/listening-outside-the-uk/outside-uk-changes">pagina informativa di BBC Sounds</a> che informa sui cambiamenti in atto riporta un'altra spiegazione: "BBC Sounds è un servizio foraggiato dal canone: per offrire un valore aggiunto agli ascoltatori del Regno Unito, la piattaforma verrà riposizionata e resa disponibile esclusivamente al pubblico inglese" recita la nota. Che parla anche di nuovi "contenuti audio presto disponibili su BBC.com e sulla app BBC, focalizzati sugli ascoltatori internazionali" che saranno realizzati da BBC Studios, ovvero la divisione commerciale di BBC, che di fatto è una global media company al pari dei suoi competitor privati. Anche in questo caso, però, è plausibile che si tratti di contenuti giornalistici o di storytelling, e non di veri e propri contenuti musicali.

<h3>&nbsp;</h3>

Musica: la BBC renderà radio e podcast inaccessibili dall'estero

La decisione è stata presa per "offrire un valore aggiunto agli ascoltatori del Regno Unito"

Il 45% degli abbonati a Spotify ha dimostrato interesse nei confronti della sottoscrizione <a href="https://musicbiz.rockol.it/news-750655/spotify-abbonamento-super-premium-come-potrebbe-funzionare-e-perche">Super Premium, nuovo livello di servizio che la piattaforma svedese potrebbe introdurre a breve</a> con - a fronte di una tariffa di adesione più alta - esclusive e accesso privilegiato a contenuti e operazioni riservate: a rivelarlo è un sondaggio della KeyBanc Capital Markets, divisione dedicata agli investimenti del gruppo bancario KeyBank.

Benché la piattaforma non abbia ancora annunciato i piani di lancio del nuovo servizio, gli autori della ricerca ritengono che “avendo Spotify già accordi con importanti etichette come Universal Music e Warner Music”, sia lecito credere che il nuovo tier venga reso disponibile sul mercato “entro la seconda metà del 2025”.

Attualmente, l’utenza di Spotify si divide praticamente a metà tra utenti Freemium e utenti a pagamento. Alla domanda relativa alla disponibilità a pagare tra i 5 e i 6 dollari in più al mese per avere accesso a un servizio con funzionalità extra dedicate ai superfans, il 45% degli intervistati (un campione di 2045 cittadini statunitensi adulti) ha risposto di essere interessato, contro il 32%, che ha dichiarato di non essere interessato.

"Continuiamo a considerare Spotify ben posizionato per raggiungere almeno il 15% di crescita annuale dei ricavi nel medio termine, con il potenziale di raggiungere una crescita del 20% se aumentano nuove iniziative e pubblicità", ha concluso la ricerca di Keybanc.

Spotify, il tier Super Premium incuriosisce gli abbonati

Secondo un sondaggio, quasi la metà degli utenti dimostra interesse verso il nuovo livello 'top'

Secondo WABetaInfo, che ha visionato e analizzato&nbsp;l’ultima versione beta dell’app per Android, Whatsapp avrebbe introdotto &nbsp;"una funzione per condividere musica da Spotify negli aggiornamenti di stato", funzione che andrebbe ad affiancare la possibilità già esistente di inviare brani musicali nei messaggi ai singoli contatti o ai gruppi.

Nell’articolo dedicato alla nuova feature si legge, tra l’altro: “In maniera simile a quanto già avviene su Instagram, WhatsApp integrerà un pulsante 'Riproduci su Spotify' all'interno dell'aggiornamento di stato, permettendo a chi visualizza il contenuto di aprire il brano direttamente su Spotify con un solo tocco".

In una visione più ampia, questa eventuale prossima mossa di Meta nel mondo della musica si colloca in un contesto in cui il gruppo guidato da Mark Zuckerberg per certi versi imita sè stesso, prendendo spunto da un’altra app del gruppo (Instagram) e per altri rilancia pur avendo una relazione a tratti difficoltosa con l’industria, come testimonia <a href="https://musicbiz.rockol.it/tutto-su/meta-e-siae-la-crisi-sull-accordo-di-licenza-491135">l’annosa questione con SIAE</a>.

Quanto questa mossa possa rivelarsi rilevante, poi, dipenderà sia dall’effettivo impatto degli aggiornamenti di stato su WhatsApp che dall’eventuale sua&nbsp;estensione anche ad altri servizi di streaming.

WhatsApp e musica: quale futuro?

Gli aggiornamenti di stato potrebbero presto includere la possibilità di condividerla

Il presidente Donald Trump ha firmato un ordine esecutivo per combattere le speculazioni sul mercato dei biglietti per eventi dal vivo. Il testo è stato sottoscritto dal presidente degli Stati Uniti nello Studio Ovale della Casa Bianca alla presenza di Kid Rock, star di Detroit storicamente vicina al partito repubblicano.

“L'industria americana dei concerti e degli spettacoli dal vivo ci è invidiata dal mondo”, si legge nel documento, reso disponibile integralmente sui canali ufficiali governativi: “Ma è stata rovinata da intermediari senza scrupoli che si interpongono tra artisti e fan imponendo tariffe esorbitanti senza offrire valore aggiunto. I bagarini usano bot e altri mezzi sleali per acquisire grandi quantità di biglietti a valore nominale e poi rivenderli a un enorme ricarico sul mercato secondario, aumentando i prezzi dei consumatori e privando i fan dell'opportunità di vedere i loro artisti preferiti senza sostenere spese straordinarie. Secondo alcuni rapporti, i fan possono arrivare a pagare fino a 70 volte il valore nominale per comprare un biglietto (sul mercato secondario, ndr). Quando succede, gli artisti non ricevono alcun profitto. Tutti i profitti vanno esclusivamente al bagarino e all'agenzia di biglietteria (secondaria, ndr)”.

“La mia Amministrazione si impegna a rendere il più possibile accessibili le arti e l'intrattenimento che arricchiscono la vita degli americani”, prosegue il documento firmato da Trump: “I comportamenti speculativi che circondano il settore della biglietteria sono contrari a questo obiettivo. Sono dannosi per i consumatori, e sfruttano distorsioni di mercato che non devono persistere”.

Per raggiungere lo scopo “il Procuratore generale e la Federal Trade Commission garantiscano che le leggi sulla concorrenza siano opportunamente applicate nel settore dei concerti e dell'intrattenimento, anche quando le venue, le società di ticketing o entrambe operano a danno di artisti e fan”. Sempre la Federal Trade Commission, oltre a verificare che le disposizioni in merito - come, tra le altre, il Better Online Tickets Sales Act - vengano puntualmente e rigorosamente applicate, dovrà “adottare misure appropriate” per “garantire la trasparenza dei prezzi in tutte le fasi del processo di acquisto dei biglietti, incluso il mercato secondario dei biglietti”, e adottare - “se è il caso” - “per garantire la trasparenza dei prezzi in tutte le fasi del processo di acquisto dei biglietti, incluso il mercato secondario”.

“Entro 180 giorni dalla data di questo ordine, il Segretario del Tesoro, il Procuratore generale e il Presidente della FTC presenteranno congiuntamente un rapporto all'Assistente del Presidente per la politica economica e al Direttore dell'Ufficio e gestione e bilancio descrivendo le azioni intraprese per implementare questo ordine”, conclude l’ordine esecutivo: “Il rapporto indicherà anche eventuali raccomandazioni per regolamenti o leggi necessarie per proteggere i consumatori rispetto al settore dei concerti dal vivo e dell'intrattenimento”.

“Un grande ringraziamento va al Presidente Trump e a Kid Rock per aver affrontato a viso aperto il bagarinaggio, proteggendo i consumatori e gli artisti americani”, ha fatto sapere, per mezzo di una dichiarazione sui propri canali social ufficiali, il CEO di Live Nation Michael Rapino: “Bagarini e bot impediscono ai fan di acquistare i biglietti ai prezzi stabiliti dagli artisti, motivo per cui sosteniamo qualsiasi significativa riforma della rivendita, tra cui una maggiore applicazione del BOTS Act, limiti ai prezzi di rivendita e altro ancora”.

Sullo sfondo resta aperta la vertenza tra Dipartimento di Giustizia e Live Nation, che - però - non riguarda presunte irregolarità sulle modalità di vendita dei biglietti ma di un sospetto abuso di posizione dominante da parte dell’azienda con quartier generale a Los Angeles: la causa sarà discussa presso il tribunale di New York a partire - con ogni probabilità - dalla fine del primo trimestre del prossimo anno.