La domanda “Ma sono anche dazi nostri?” serpeggia in cento e una declinazioni, tutte divertenti e basate su un’assonanza irresistibile che, però, non riesce a nascondere né i triliardi di euro bruciati nell’economia mondiale in 48 ore né le fondate preoccupazioni su cosa potrà accadere nelle prossime 48 settimane, e oltre. E tocca provare a rispondere: come i dazi influenzeranno l’industria musicale? I dazi: cosa e perché Serve chiarire subito cosa sono i dazi e perché, in generale, vengono introdotti. I dazi doganali (o tariffe) sono tasse imposte su beni importati da un Paese straniero. Vengono calcolati come percentuale sul valore del bene o come importo fisso per unità. Sono una misura di politica commerciale adottata dagli Stati per regolare il commercio internazionale. La loro introduzione ha vari obiettivi, tra cui proteggere l’industria nazionale (rende i prodotti esteri più costosi, spingendo i consumatori a scegliere quelli fabbricati internamente), ridurre il deficit commerciale (se un Paese importa molto più di quanto esporti, può usare i dazi per frenare le importazioni e migliorare il saldo della bilancia commerciale), aumentare le entrate statali (dazi come fonte di gettito fiscale), esercitare pressione politica o negoziale (i dazi come leva nelle trattative internazionali per spingere altri Paesi a rivedere accordi commerciali, standard normativi o pratiche ritenute sleali). In questa situazione in particolare, quali dovrebbero essere i vantaggi per gli U.S.A.? In breve: rilancio della produzione interna (imprese locali meno esposte alla concorrenza estera), stimolo all’occupazione in settori protetti (manifattura, agricoltura, tecnologia), maggiore potere negoziale (gli Stati Uniti potrebbero ottenere concessioni su altri tavoli). E quali i possibili contraccolpi? Sempre in breve: aumento dei prezzi per i consumatori, contromisure da parte dei Paesi colpiti, danni alle filiere globali, rischio per l’export americano, instabilità finanziaria. Dazi e industria musicale A prima vista l’introduzione dei dazi potrebbe apparire qualcosa di distante dall’industria musicale. In realtà, diverse implicazioni dirette e indirette meritano attenzione e, tra loro, molte dipendono da un paio di tipologie dei potenziali contraccolpi elencate sopra, e cioè i danni alle filiere globali e l’instabilità finanziaria. Entrambe possono riverberarsi con intensità diversa a seconda dei comparti dell’industria, anche considerando che le percentuali dei dazi sono diverse in base alle classi merceologiche e alle geografie (e che ci sono tutti i presupposti perché possano cambiare sia in meglio che in peggio). Alcune ipotesi concrete riguardano l’incremento dei costi per strumenti musicali, apparecchiature, hardware e software musicale. Se i dazi colpiscono prodotti tecnologici ed elettronici, il risultato sarà un aumento dei prezzi per produttori e studi di registrazione, sale prove e locali live. Ad esempio: un’interfaccia audio o una chitarra americana potrebbe costare di più in Europa (e viceversa), impattando direttamente sui budget degli addetti ai lavori. Preoccupano poi parecchio i potenziali ostacoli alla circuitazione live internazionale, perché con le tensioni commerciali e le possibili contromisure potrebbero emergere nuove barriere doganali o costi aggiuntivi per trasporti e logistica delle tournée, maggiore burocrazia nei visti o nelle autorizzazioni temporanee (work permit) e conseguente riduzione della presenza di artisti europei negli U.S.A. (e viceversa) per motivi economici. Questo potenziale impatto su festival, promoter e scambi culturali si acuirebbe sulla linea di business che riguarda il merchandising, che rappresenta una quota importante del business artistico. I dazi su tessili, materiali plastici o stampa potrebbero aumentare i costi di produzione e distribuzione, rendere più difficile gestire i magazzini internazionali, penalizzare gli e-commerce transatlantici di artisti e label indipendenti. Un clima geopolitico più teso, inoltre, comporterebbe la riduzione degli investimenti transatlantici: major, fondi, DSP potrebbero ridurre o ristrutturare operazioni nei mercati colpiti da instabilità o barriere fiscali: stop a nuove sedi, progetti culturali o partnership crossborder, forse con maggiore focus su mercati interni o emergenti. Impatto dei dazi U.S.A. sul business della musica dal vivo L’industria della musica dal vivo – fortemente dipendente da catene logistiche globali e circuitazione internazionale – è tra i settori potenzialmente più colpiti dall’introduzione di nuovi dazi statunitensi su prodotti europei e dalle possibili contromisure UE, che stanno creando un clima di incertezza economica e operativa. Gli impatti principali sul live business possono riguardare: l’aumento dei costi di produzione per strumentazione, impianti audio/luci, materiali scenografici e componenti elettroniche soggetti a dazi (nonché maggiori oneri per noleggi e acquisti da fornitori internazionali); incremento di costi di logistica e trasporti: le tariffe colpiscono il trasporto transatlantico di attrezzature e le pratiche doganali diventeranno più complesse; è maggiore anche il rischio di ritardi e di aumento dei costi assicurativi; il peggioramento della burocrazia: visti artistici, carnet ATA, import/export temporanei diventano più complessi e costosi da gestire. Effetti negativi, quindi, potrebbero manifestarsi nel medio termine sul booking internazionale, con festival e venue che potrebbero privilegiare artisti domestici per contenere costi e una parallela diminuzione dell’accessibilità a tournée negli Stati Uniti per artisti europei e viceversa. Tra le conseguenze concrete c’è inoltre un aumento dei prezzi per il pubblico, perché se i costi ricadono sui biglietti il rischio di inflazione nei prezzi dei concerti diventa elevato. Forse peggio ancora, potrebbe ridursi la programmazione internazionale nelle venue di media capienza. Insomma, c’è il rischio di una brusca frenata nella mobilità artistica, soprattutto per crew e tour manager. Impatto dei dazi sullo streaming E come i recenti dazi imposti dagli Stati Uniti sulle importazioni europee e le possibili contromisure dell'Unione Europea potrebbero avere conseguenze sull'industria dello streaming musicale? Nel contesto attuale, emergono alcune considerazioni. L’impatto diretto si prospetta come limitato sulle piattaforme di streaming, che operano principalmente nel dominio digitale, offrendo contenuti attraverso infrastrutture online. Poiché i dazi colpiscono principalmente beni fisici, l'impatto diretto su queste aziende è relativamente contenuto. Possibili effetti indiretti attraverso l'hardware e l'ecosistema musicale potrebbero derivare dal costo superiore di dispositivi elettronici come smartphone, tablet o smart speaker, che inciderebbe in parte sul modo in cui i consumatori accedono ai servizi di streaming rallentando l'adozione o l'aggiornamento a tecnologie più avanzate e influenzando indirettamente l'utilizzo delle piattaforme di streaming. Forse ci si dovrebbe preparare a una versione rivisitata della reazione che artisti ed etichette discografiche ebbero ai tempi della pandemia, quando il crollo dei business fisici dell’industria musicale (vinili, CD e soprattutto merchandise, come conseguenza del blocco del live) spinse la filiera a focalizzarsi maggiormente sulle entrate derivanti dallo streaming. Stavolta conosciamo in anticipo le critiche alla sostenibilità del modello per una grossa parte della filiera. Ma il punto vero è che un clima di incertezza economica influenza sempre la spesa dei consumatori, soprattutto quella per beni e servizi discrezionali, inclusi gli abbonamenti a servizi di streaming musicale. Dazi e music publishing L’effetto delle tariffe sul settore dell’editoria musicale è principalmente indiretto. Riguarda soprattutto tre voci. La prima è l’aumento dei costi per strumenti e attrezzature musicali, che potrebbe influenzare la creazione di nuove opere musicali (riduzione del catalogo disponibile per l'editoria musicale). La seconda è la diminuzione delle entrate da performance dal vivo (una parte significativa delle entrate dell'editoria musicale proviene dai diritti di esecuzione pubblica e una diminuzione dei concerti potrebbe tradursi in minori royalties per gli editori). La terza, di nuovo, deriva dal clima di incertezza economica che l’introduzione dei dazi può determinare influenzando la spesa dei consumatori. La label e le tariffe Anche le case discografiche si trovano esposte a effetti economici indiretti ma sostanziali, in particolare sul versante fisico, logistico e promozionale. Le cinque aree critiche di impatto per le label sono le seguenti: Produzione e distribuzione di supporti fisici: i dazi su vinili, CD e materiali correlati possono far lievitare i costi di produzione; le esportazioni bi-direzionali Europa - U.S.A. rischiano rincari e ritardi; le label indipendenti che ancora contano molto sul fisico sono potenzialmente più vulnerabili. Merchandising: penalizzato il commercio di T-shirt, bundle, poster (aumenti di prezzo su tessili, stampa e logistica); rischio di minori margini o perdita di competitività sul mercato statunitense; impatto diretto su e-commerce e tour sales. Difficoltà logistiche per tournée promozionali: gli artisti potrebbero affrontare spese più alte per trasporti e permessi. Riorganizzazione delle filiere: alla maggiore complessità contrattuale e gestionale potrebbero corrispondere una possibile delocalizzazione della produzione per evitare dazi (stampa vinili in Asia...?) e il rischio di rallentamenti o perdita di controllo sulla qualità. Pressione sulle label indipendenti: mentre le major hanno forza negoziale e risorse per assorbire i costi, le indie potrebbero dovere ridurre le uscite fisiche e i lanci internazionali e rallentare scouting e firme di nuovi artisti. Conclusioni In sostanza, la nuova fase protezionistica rappresenta una minaccia concreta per la circolazione culturale e artistica transatlantica. Per il live, i dazi non colpiscono solo merci, ma anche modelli di business, sostenibilità dei tour e accessibilità alla musica dal vivo. La potenziale diminuzione delle performance dal vivo, inoltre, non gioverebbe alle entrate degli editori musicali. Poi, se è vero che le tariffe non colpiscono direttamente il “diritto d’autore”, la catena fisica e promozionale che sostiene gran parte dell’attività delle etichette e dei publisher ne subisce l’impatto: la prospettiva di una polarizzazione – con gli operatori più grandi che rafforzerebbero il loro dominio digitale mentre i più piccoli sarebbero chiamati a rivisitare le proprie strategie – non è improbabile. Infine, sebbene le piattaforme di streaming musicale non siano direttamente colpite dai dazi sulle merci fisiche, le variazioni nella spesa dei consumatori dovute a un clima economico incerto potrebbero farsi sentire. Sì, sono anche dazi nostri.