Per decenni la discografia si è basata sull’economia del possesso: vantare una vasta collezione di dischi (magari in più formati, e sempre nel formato più attuale) era uno status symbol per il vero appassionato di musica. Che, di conseguenza, apparteneva quasi sempre a una categoria ben precisa: maschio di mezza età con un buono stipendio e alto-spendente, o ragazzina entusiasta che dava fondo alla paghetta per il proprio idolo. L’economia dell’accesso cambia tutto: e il momento in cui questo cambiamento ha inizio è il 2010, con il debutto di Spotify prima negli Stati Uniti e poi in tutta Europa, dove guadagnerà una fetta di mercato sempre più larga. Ora che consumare musica in maniera pressoché gratuita non è più illegale e esistono sempre più possibilità per farlo, l’interesse degli utenti si fa sempre più chiaro: ne è un indizio anche il successo di Vevo, che nello stesso anno diventa il canale musicale più seguito su YouTube e supera in numero di subscribers anche piattaforme di video generaliste, come Hulu. Il mercato digitale si adatta in breve, abbracciando la rivoluzione dello streaming: nel 2011 Google lancia Google Music con un’offerta ibrida cloud + store, mentre Facebook integra all’interno del suo ecosistema i player di Spotify e Deezer, inaugurando l’era della condivisione della propria musica preferita da parte degli utenti. Streaming vuol dire anche un cambio di paradigma dal punto di vista dei prodotti e dei progetti: con le playlist i singoli assumono un’importanza preponderante rispetto agli album. Il formato long playing, però, è tutt’altro che superato: sempre nel 2011 l’album dell’allora emergente Adele, “21”, diventerà l’album più venduto del XXI secolo in Gran Bretagna, battendo ogni record. E a proposito di record, dopo essere passati in secondo piano in seguito al cambio di linea editoriale di MTV, i videoclip tornano protagonisti grazie a YouTube e soprattutto grazie ai social, che permettono di condividerli in maniera sempre più orizzontale e capillare. Nel 2012, per la prima volta comincia ad affacciarsi il concetto di viralità quando un videoclip supera il miliardo di visualizzazioni su YouTube: si tratta di “Gangnam Style” del coreano Psy. Nel mentre, anche la scena underground e le etichette indipendenti si attrezzano per digitalizzare e smaterializzare i loro cataloghi: SoundCloud, la piattaforma da loro prediletta, introduce sempre nel 2012 l’app mobile e il player embeddabile. Tra i cambiamenti portati dalla access economy c’è anche un fattore che negli anni successivi risulterà determinante: il capitale più prezioso che i fan possono spendere in musica non è più costituito dai loro soldi, ma dal loro tempo. Risulta evidente nel 2013, quando Billboard decide di includere anche gli streaming nel calcolo delle sue classifiche: ora ad arrivare in vetta non sono i dischi degli artisti che hanno i fan più alto-spendenti, ma quelli che hanno i fan con più tempo libero a disposizione per ascoltarli, ovvero i giovanissimi. Nomi che prima non sarebbero mai entrati nelle charts si ritrovano all’improvviso ai vertici, collezionando certificazioni su certificazioni. Così ci si inventa di tutto per rimanere rilevanti nel music business: come Beyoncé, che nello stesso anno pubblica l’album “Beyoncé” su iTunes senza averlo precedentemente annunciato e inaugurando così la tradizione degli album a sorpresa. Inizia anche a farsi strada il concetto di superfan, con la nascita di Patreon, che permette al pubblico di finanziare direttamente i propri artisti preferiti. Tutto è bene quel che finisce bene, quindi? Non proprio: lo streaming è una manna dal cielo per la discografia, ma non tutti gli artisti sembrano d’accordo con questo nuovo paradigma, che fa sì che (almeno nella loro percezione delle cose) la loro musica venga spesso svalutata in termini economici. Ne è un esempio Taylor Swift, che in aperta polemica con il nuovo status quo decide di ritirare il suo catalogo da Spotify. Nonostante ciò, però, è chiaro che la fruizione musicale tramite DSP sta diventando il modello preponderante, anche con l’acquisizione di Beats Electronics da parte di Apple (che debutta così nel mercato dei servizi di streaming). Bene anche sul fronte delle sincronizzazioni e dei contenuti cross mediali: l’album che accompagna il lungometraggio d’animazione Disney “Frozen”, infatti, nel 2014 diventa la colonna sonora più venduta del decennio. Leggi anche: 2010–2014: verso la access economy