In questi ultimi anni si parla sempre più spesso del ruolo delle donne nell'industria musicale, ma spesso si trascura un aspetto centrale: quello del gender pay gap, ovvero la differenza di retribuzione tra i sessi, che spesso si traduce anche in un differente approccio al denaro e alla negoziazione stessa del proprio compenso. A far luce sul fenomeno ci ha pensato la dottoressa Alessandra Micalizzi, che ieri ha presentato la ricerca "Mu:De: donne, musica e denaro" nell'ambito dell'iniziativa Women in Music, promossa da SAE Institute. Micalizzi ha fotografato la situazione a partire da un'ampia ricerca, sottoponendo a un campione rappresentativo di donne impiegate nella filiera musicale italiana (sia sul palco che dietro le quinte, la stragrande maggioranza libere professioniste) un questionario inerente temi economici e finanziari. Il risultato potrebbe risultare sorprendente per alcuni, e non in senso buono: il 56,4% delle intervistate dichiara di percepire un reddito annuo lordo di meno di 15.000 euro dai lavori inerenti alla musica, e solo il 9,9% dai 31.000 ai 50.000. Il 61% di loro ha la sensazione di essere pagata meno di un collega maschio di pari grado, e il percepito è particolarmente impattante. Tra le frasi più frequenti che le professioniste si sentono dire nell'ambito della contrattazione individuale, infatti, ci sarebbero "Non è previsto alcun compenso, dovresti già ringraziarmi per la visibilità che ti ho dato" (50% delle intervistate), "Quando riesco ti pago. Mi faccio sentire io" (39% delle intervistate) e "Sulla cifra ci sistemiamo in un altro momento" (39% delle intervistate). Un ritornello che purtroppo è molto conosciuto anche tra i colleghi maschi, ma che probabilmente è ancora più pervasivo tra le lavoratrici femmine, soprattutto nel nostro mercato. "Negoziare il proprio compenso, e soprattutto ottenerlo, continua a essere un problema per le donne che lavorano nella musica che hanno partecipato alla nostra indagine" commenta Alessandra Micalizzi, autrice della ricerca. "Questo per ragioni di riconoscimento (delle competenze) e di reputazione. Molto esplicito a riguardo il verbatim di una rispondente che specifica di non essere presa sul serio perché 'non vengo percepita come una professionista, ma come una bambina che gioca con gli attrezzi del papà'. Rimangono alcune caratteristiche strutturali di tutta l’industria creativa, del music business in particolare, e che non è da ritenersi connessa al genere, come ad esempio la lunga gavetta da cui dipende la tacita convinzione che non sia necessario riconoscere un compenso o una remunerazione adeguata. Tuttavia, per le donne questo limite, già fastidioso all’inizio della propria carriera, si cristallizza e lo vediamo dal reddito dichiarato prodotto dal proprio lavoro nella musica".