NUOVO IMAIE propone una serie di incontri con protagonisti e protagoniste del panorama musicale italiano per parlare dei loro progetti, ma anche per approfondire le dinamiche che ruotano intorno all’essere Artista Interprete Esecutore. Diplomata nel 1983 in pianoforte al Conservatorio Santa Cecilia di Roma, Maria Grazia Fontana ha, da anni, una visione privilegiata sul dietro le quinte del mondo dello spettacolo, specialmente per quanto riguarda il panorama canoro: tra le vocal coach più apprezzate dall’industria italiana dell’intrattenimento, Fontana ha collaborato non solo con grandissimi artisti - tra gli altri, Alex Baroni, Renato Zero, Umberto Tozzi, Luca Barbarossa e Giorgia - ma anche con le produzioni di programmi televisivi come Domenica In, Amici, Tale & Quale Show e Lasciami cantare!, dove le performance vocali hanno un ruolo assolutamente centrale. Accompagnare gli artisti al successo, racconta, è un lavoro bellissimo e difficile, talvolta frustrante, ma sempre fonte di grandi soddisfazioni, quando ci si rende conto di aver fornito a un talento gli elementi necessari a sbocciare. Ma il talento, è bene tenerlo presente, è da dare tutto meno che scontato… Come hai visto cambiare gli allievi da quando hai iniziato? Molto, soprattutto a seconda dei messaggi che hanno recepito dal mainstream e dai mezzi di comunicazione. Oggi tutto pare essere semplice, a portata di mano. Poi, però, quando ci si accorge che le cose non sono sempre facili, soprattutto quando si parla di arte, dove i risultati sono figli di uno specifico percorso di maturazione, ecco arrivare i problemi… Si è persa, quindi, la disponibilità alla fatica e al lavoro? Sì. E, in genere, la cognizione dell’importanza dell’impegno è prerogativa di chi ce la fa, ma solo a posteriori. E parlo di una fatica fisica: penso a chi balla o a chi suona uno strumento, che deve fare pratica diverse ore al giorno, tutti i giorni. Ci sono cose che non si possono comprare al supermercato… Credi che gli strumentisti abbiano una vocazione al sacrificio maggiore, rispetto ai cantanti? Sono due tipi di sacrificio diversi. Il musicista instaura un rapporto simbiotico col proprio strumento, che passa anche dalla pratica. Chi canta non lavora solo sulla propria voce, ma anche su un piano più profondo, utile alla costruzione di un personaggio. E’ un impegno di tipo intellettuale, se possibile ancora più duro e logorante di quello esclusivamente musicale, perché impone di essere sempre alla ricerca di nuovi stimoli. Ricordo, per esempio, Lucio Dalla, col quale ho lavorato tanti anni: anche quando la sua carriera era ampiamente affermata, aveva sempre viva, in lui, una curiosità quasi infantile, che gli ha permesso di navigare i tanti mari che ha solcato col suo progetto personale. Il fatto che oggi chi si affaccia sul panorama musicale sia tecnicamente più preparato rispetto ai debuttanti di venti o trent’anni fa è il segno di una perdita generale di quella naïveté che ha reso grandi artisti come Dalla? Il messaggio che arriva a chi oggi sceglie la carriera da artista è che le tappe si possano bruciare. Poi, in un modo o nell’altro, in genere si capisce che non è questa la via. Per esempio, partecipare a un talent non è un punto di arrivo, ma un punto di partenza, perché una volta finito il programma bisogna essere all’altezza di lanciare un messaggio comprensibile a tutti. Perché, alla fine, la fenomenologia del fandom è sempre quella: mi piaci tu, mi piace quello che dici, quindi mi identifico in te e ti sostengo. Pensi che i media abbiano una responsabilità nell’aver fatto arrivare ai giovani un’immagine distorta del percorso da fare per intraprendere una carriera da artisti? No, non direi. Più che altro, mi riferisco a quella rete di persone che circonda gli artisti, quelli che promettono produzioni importanti a chi ha appena iniziato. E ai poteri forti dell’industria musicale, che blindano gli spazi imponendo a chi inizia dinamiche precise. Per dire: una volta un emergente andava a un talent, dimostrava di valere, e veniva messo sotto contratto. Oggi un ragazzo che magari non sa nemmeno cantare viene ingaggiato solo in virtù dei numeri che fa su social e piattaforme. Poi ovviamente ci sono le eccezioni, come - per esempio - Brunori: il suo successo all’ultimo Sanremo corona una carriera lunga, fatta di tanto lavoro e tanta gavetta. Ma il mainstream, come sempre, fa vedere solo l’aspetto più scintillante del successo, non gli anni passati a suonare nei piccoli locali… Ma i nodi vengono sempre al pettine, giusto? L’esempio di Brunori lascia intuire che pubblico sia in grado di riconoscere e premiare l’impegno e la qualità… Sì, anche se una parte di pubblico mi pare per certi versi anestetizzata dal mainstream. Che la platea sia in grado di riconoscere la qualità è vero, ma poi c’è il giudice supremo, il tempo, che determina successi e insuccessi. Perché per un artista il discorso non è solo raggiungere la fama, ma - soprattutto - mantenerla… Pare un discorso più strutturale, che va oltre la sola industria musicale… E’ così: è qualcosa che riguarda molto da vicino la società. Quando ho iniziato io, negli anni Settanta, era tutto molto più spontaneo. Io e Rita Marcotulli, pur avendo preso strade differenti, abbiamo avuto un sacco di opportunità: ma allora eravamo di meno. Oggi le donne che suonano il piano sono tantissime: magari non tutte eccellono in preparazione, ma tutte - probabilmente - si aspettano una collocazione come artiste. E questo è un problema. Il fatto è che abbiamo pochi idraulici e troppi musicisti, molti dei quali non abbastanza talentuosi per intraprendere la carriera artistica… E’ come se, per il solo fatto di avere la passione per la musica, molti considerino il successo come un diritto… Chi di noi il successo l’ha ottenuto ha sudato sangue per ottenerlo. L’arte non ti chiede niente, ti si dona sempre. Ma per raggiungere alti livelli esige di essere amata allo stesso modo. Essere artisti significa avere addosso gli sguardi di tutti, sempre. Quindi più di tanto non si può mentire: la mancanza di idee e di talento si può nascondere, ma fino a un certo punto. E’ una cosa che i ragazzi dovrebbero tenere molto ben presente, prima di credere che sia tutto facile. Faccio un esempio: facevo la vocal coach nella produzione di un musical, diretto da Luca Tommassini con Lorella Cuccarini come protagonista. Ricordo una data in Emilia, in un teatro sperduto, in pieno inverno, dove non funzionava il riscaldamento. Ho visto Lorella stare 15 ore al giorno con le scarpe di scena, con un tacco altissimo, senza mai lamentarsi di nulla… Spesso hai parlato di ridare dignità al mestiere dell’artista… Sì, e mi riferisco soprattutto ai giovani. Spesso vedo ragazze e ragazzi molto preparati, che studiano anni, impegnandosi anche economicamente e acquisendo bagagli formativi pazzeschi, finire nelle grinfie di “localari”, che li fanno esibire a batterie da 15 - 20 per serata senza né soundcheck né cachet. Buttati sul palco giusto per fare serata: è umiliante. Il fatto è che i giovani per farcela, ormai, accettano di tutto: per me è profondamente doloroso vedere il talento svilito in questo modo, perché - come docente - devo essere anche una motivatrice. Ma a tratti è frustrante… In tema di diritti, NUOVO IMAIE ha fatto molto per formare gli artisti a inizio carriera… Da questo punto di vista sono eccezionali: si sono messi in gioco con tante iniziative per raccontare ai ragazzi le dinamiche che regolano questo settore e i loro diritti, insegnandogli a tutelarsi… Sempre in tema di emergenti, anche tu hai avviato una tua iniziativa… Sì, si chiama Genere Fluido. E’ un format live che per il momento teniamo una volta al mese in un locale qui, a Roma: la serata prevede l’esibizione di tre artisti già affermati, a livello sia locale che nazionale, preceduta da una sezione di open mic, durante la quale chi si iscrive può salire sul palco e cantare un proprio brano originale. Le cover sono severamente bandite. Nel corso della serata una pittrice dipinge tre quadri, ognuno abbinato al set degli artisti principali. A fine serata le opere vengono messe all’asta: del ricavato, la maggior parte va all’autrice dei quadri, il 15/20% all’artista al quale l’opera è stata abbinata e il 5% per coprire le spese di organizzazione. I proventi dagli ingressi - fissati a 6 euro - vanno agli artisti che si esibiscono. Io non faccio politica, ma la mia mission è quella: restituire dignità agli artisti. A partire dal prossimo mese di settembre, Maria Grazia Fontana tornerà a essere occupata come vocal coach per la nuova stagione di “Tale & Quale Show”. Sempre a settembre ripartiranno a Roma gli eventi di Genere Fluido, mentre a fine agosto riprenderà la residenza creativa di Fontana battezzata “Playing Memories”, che vede 15 giovani artisti selezionati dalle istituzioni coinvolte nel progetto per la realizzazione di una spettacolo della durata di 40 minuti che prevede esibizioni vocali e di danza: l’iniziativa è promossa dal St. Louis College of Music, dove la stessa Fontana fa parte del corpo docente.