A distanza di sei anni dalla quotazione in Borsa di Hipgnosis Songs Fund, Merck Mercuriadis è tornato sotto i riflettori dell’industria musicale annunciando una nuova fase del progetto che ha contribuito a ridefinire il mercato globale dei cataloghi. Vediamo in cosa consiste questo nuovo capitolo, come cambia il modello di business e quali sono i profili di rischio a cui prestare attenzione. Innanzitutto la cosiddetta “Hipgnosis 2.0” abbandonerebbe i confini dell’investimento passivo e della gestione finanziaria per assumere un volto radicalmente diverso: quello di un polo creativo-operativo, guidato insieme agli artisti, e strutturato per valorizzare attivamente il repertorio musicale nel lungo periodo. Il nuovo modello, presentato questo mese in un’intervista rilasciata al Financial Times di cui abbiamo riferito nei giorni scorsi - dopo mesi di tensioni interne e l’uscita definitiva del fondo dalla Borsa di Londra - rappresenta una svolta netta rispetto alla precedente stagione. Se la prima Hipgnosis era un fondo di investimento in proprietà intellettuale, focalizzato sulla generazione di rendite stabili da cataloghi acquisiti a multipli elevati, la nuova configurazione punta su una logica integrata: non solo diritti, ma anche management, publishing, creatività e posizionamento strategico. La chiave sta nella partecipazione diretta di artisti e manager. Mercuriadis ha reso esplicita l’intenzione di coinvolgere autori e performer non come oggetto dell’investimento, ma come veri co-proprietari e partner di lungo periodo. Questo consentirebbe di costruire un rapporto più solido, meno esposto alla mera logica finanziaria, e di attivare leve di crescita dinamiche, dalla gestione della leva sync alla creazione di contenuti, dalle ristampe ai documentari. In un contesto in cui i fondi tradizionali trattano le canzoni come bond, Hipgnosis 2.0 propone invece una visione che unisca cultura, management e creatività. L’uscita dai mercati pubblici, inoltre, libera la nuova struttura da molte delle rigidità imposte agli investitori quotati: niente più trimestrali, meno pressione sui dividendi, più libertà d’azione e una maggiore tolleranza al rischio. Questo però comporta anche nuove sfide: aumentano i costi operativi, le decisioni devono essere più rapide e complesse, e la natura stessa del business, fondata sulla valorizzazione attiva, rende più difficile prevedere flussi di cassa stabili. La gestione di una base articolata di artisti e manager richiede, inoltre, competenze che non appartengono all’industria finanziaria tradizionale: occorrono sensibilità artistiche, leadership relazionale e un approccio sartoriale ai progetti. L’altra novità rilevante è la costruzione di un ecosistema proprietario. Mercuriadis parla di una Hipgnosis che non si limita a detenere asset, ma che si configura come piattaforma a 360 gradi: produzione, licenze, sincronizzazioni, A&R, publishing, strategia artistica. L’obiettivo è generare sinergie verticali e controllo operativo lungo tutta la filiera, con una struttura interna che affianchi artisti e creativi nella valorizzazione del repertorio – e che possa creare valore anche su progetti futuri. Tutto questo, però, non è privo di rischi. Gestire artisti e manager richiede competenze complesse e trasversali (non solo legali o finanziarie), una struttura interna costosa e articolata, comporta un rischio reputazionale e umano maggiore (in caso di dispute o fallimenti creativi). La dipendenza dal talento attivo, a differenza di quanto accade per le rendite passive, rende la performance economica più volatile perchè legata a fattori esterni (tendenze stilistiche e di genere, dinamiche personali, cambiamenti di mercato) e difficile da proiettare in modelli stabili a lungo termine. Inoltre, operando fuori da una borsa valori, il veicolo ha meno visibilità pubblica e valutativa e potrebbe incontrare ostacoli nel raccogliere nuovo capitale, esponendo poi gli investitori a orizzonti meno definiti e più soggettivi (exit più complesse). Infine non è da sottovalutare la complessità giuridica implicita in un polo condiviso tra artisti, manager e fondi; è una struttura che richiede accordi sofisticati su governance, revenue sharing, exit strategy; equilibrio tra creatività, finanza e struttura operativa; è rare capacità di leadership e mediazione. Eppure, proprio questa tensione tra cultura e impresa è il cuore del nuovo progetto. Hipgnosis 2.0 si propone con ogni probabilità come un investimento meno rassicurante per chi cerca asset class passive, però appare nelle intenzioni come più allineata con la natura trasformativa della musica. Dopo essersi destreggiato, non senza difficoltà e critiche feroci, In un mercato in cui i fondi competono per l’ottimizzazione fiscale e l’arbitraggio delle royalty, la nuova sfida lanciata da Merck Mercuriadis è quella di tornare a un’idea di industria in cui i cataloghi non sono solo numeri, ma storie da custodire, rilanciare e trasformare in nuovi immaginari collettivi. Porre il valore culturale e industriale della musica nuovamente al centro del dibattito oscilla tra l’utopia operativa e un nuovo paradigma.