Non c’è pace per Spotify in Turchia: dopo le tensioni affiorate a metà dello scorso luglio, nel paese del Bosforo il DSP svedese è tornato nell’occhio del ciclone dopo che diversi artisti di spicco della scena locale - tra i quali Aydilge, Ferhat Gocer e Oguzhan Koch - hanno chiesto più trasparenza, da parte dei gestori del servizio, riguardo la compilazione delle playlist editoriali, veicolo di fondamentale per la diffusione delle produzioni discografiche nazionali. L’accusa, nemmeno troppo velata, è che i responsabili editoriali della piattaforma abbiano concesso maggiore visibilità a determinati repertori in cambio di tangenti. Per rispondere alla preoccupazioni della comunità artistica locale Spotify ha fatto sapere di aver avviato un’indagine interna, per appurare se effettivamente si siano verificati episodi distorsivi nella creazione delle playlist e se si siano verificati episodi di corruzione che abbiano coinvolto i dipendenti della filiale locale della piattaforma. Oltre all’indagine avviata il mese scorso dall’autorità locale garante della concorrenza e del mercato - Rekabet Kurumu - Spotify negli ultimi giorni è stata criticata anche dal Viceministro turco della Cultura e del Turismo Batuhan Mumcu, che ha accusato la piattaforma di non rimuovere playlist generate dagli utenti giudicate dalle istituzioni “incompatibile con i valori culturali e morali della nostra nazione”. Secondo indiscrezioni fatte affiorare dal Times Spotify, benché ufficialmente si sia detta disponibile a collaborare con le autorità di Ankara, starebbe valutando l’idea di uscire dal mercato turco. L’eventuale chiusura della filiale locale della piattaforma rappresenterebbe un duro colpo sia per lo stesso DSP, che si vedrebbe costretto a rinunciare a uno dei mercati discografici a più alto tasso di crescita a livello globale, sia per il settore turco della musica registrata, per il quale Spotify rappresenta il veicolo principale (con una quota di mercato pari al 65%) di fruizioni per gli appassionati del paese.