Lunedì 6 ottobre Sam Altman è salito sul palco della conferenza DevDay di OpenAI per annunciare che gli utenti di ChatGPT possono ora interagire con app "direttamente all’interno del chatbot". Un annuncio dirompente, supportato da dimostrazioni dei membri dello staff di OpenAI sul palco. Aziende come Figma, Expedia, Canva e Spotify hanno già accettato di connettere le proprie app a ChatGPT, e molte altre seguiranno. L’implicazione è che, col tempo, come dichiarato nell’occasione, "ChatGPT potrebbe diventare il principale portale per le attività digitali delle persone". Everything App Forse ieri è stato il giorno in cui la tanto e a lungo invocata “everything app”, o "super app” che dir si voglia, ha cominciato a prendere forma: un’unica applicazione che combini shopping, messaggistica, ricerca web. Il grande sogno dichiarato, tra gli altri, da Elon Musk per la sua X; per il momento, tuttavia, conduce Altman. Anche se restano molte domande aperte. Gli sviluppatori di app hanno davvero un incentivo a partecipare? Dopotutto, se ChatGPT diventasse il punto d’ingresso principale per l’uso delle app, il numero di utenti che vi accedono direttamente diminuirebbe, riducendo ad esempio la loro capacità di vendere pubblicità. È evidente, d’altra parte, che per le app esiste un vantaggio di marketing: OpenAI ha dichiarato, infatti, che ChatGPT "suggerirà le app quando sono pertinenti alla conversazione”. E per i consumatori, quanto è davvero utile questa integrazione? Spotify, per esempio, è già molto facile da usare da sola: che differenza fa accedervi tramite ChatGPT? La dimostrazione di ieri l'altro ha mostrato come usare ChatGPT per creare una playlist su Spotify - idea interessante ma non rivoluzionaria. Cosa cambia davvero Nella misura in cui ChatGPT diventa portale, sposta traffico e potere contrattuale e muove l’app in direzione del livello “assistente”. È l’effetto “app store + motore di ricerca” fusi in uno, ma in modalità conversazionale. È anche l'intermediazione 2.0, in cui l’utente parte dall’intento (“voglio una casa / una playlist / un viaggio”) e non dal marchio. Quindi la rilevanza del marchio nel ranking dell’assistente diventa vitale. Inoltre si prospettano esperienze cross-app, in cui l’assistente può orchestrare più servizi in un unico flusso (es. “crea una playlist, trovami i biglietti del tour, aggiungi il volo”). Per gli sviluppatori i pro risiedono in un CAC (costo acquisizione cliente) potenzialmente più basso in tutti i casi d’uso guidati da prompt; i contro, invece, nella cannibalizzazione del traffico diretto e nella perdita sia di dati di prima parte che di controllo sulla UX; ma anche nel rischio commoditization se l’assistente normalizza le risposte. Per i consumatori laddove il compito fosse di quelli semplici (come nella demo su Spotify) il guadagno sarebbe modesto; dove invece fosse frammentato o complesso (come per l’organizzazione di viaggi o la ricerca di una casa con caratteristiche precise e particolari) l’assistente potrebbe rendere molto. Per la qualità, in ogni caso, conta l’affidabilità delle fonti collegate e la trasparenza sull’origine delle risposte. Chatbot e musica Se concentriamo l'attenzione su "ChatGPT + musica", la portata dell’innovazione in questione è potenzialmente enorme. La musica è un’area “conversazionale” e ricorsivi per eccellenza, fatta di ascolto, scoperta, raccomandazioni, contesto, emozioni, acquisti, esperienze live. BREVE TERMINE L’integrazione di partenza (“crea una playlist su Spotify tramite ChatGPT”) è solo un punto d’ingresso. Sono peraltro già tecnicamente possibili varie estensioni naturali su questo livello, in cui ChatGPT diventa curatore, orchestra servizi esistenti e offre contesto. Ad esempio creando il connubio “streaming & discovery”, con generazione e gestione di playlist cross-piattaforma (“genera la stessa playlist anche su Apple Music o YouTube Music”); oppure con utilizzi quotidiani (“Fammi una playlist come *Nebraska* ma con artisti italiani”, “Analizza i testi di quest’artista e dimmi se la tematica prevalente è la solitudine o la speranza”). MEDIO TERMINE Nel medio termine potrebbero emergere esperienze multi-servizio, con un’integrazione più esperienziale e ChatGPT che collega ascolto, informazione, eventi e community. Tipo: “Aggiungi al calendario le date del tour di [artista] e mostrami i biglietti disponibili su TicketOne”, o “Ordina la maglietta del tour su Amazon o sul sito ufficiale”, o “Mostrami le recensioni di Rockol sul nuovo album”, o “Mostrami i post più recenti di [artista] su Threads / X / TikTok / Instagram”. Così evolvendo, ChatGPT si riposizionerebbe come “hub narrativo e operativo”, trasformando una ricerca musicale in un’esperienza completa, saltando tra contenuti editoriali, e-commerce e servizi live. LUNGO TERMINE Nel lungo termine l’evoluzione sarebbe, infine, di natura strutturale e implicherebbe un cambio di paradigma, con ChatGPT che potrebbe diventare una sorta di interfaccia unica della filiera musicale digitale, in cui le API dei vari servizi (streaming, ticketing, editoriali, PRO, licenze, fan club, CRM) diventerebbero “blocchi logici” invocabili via linguaggio naturale. A quel punto l’utente non distinguerebbe più “dove” accade l’azione, poiché tutto avviene in un contesto conversazionale. Come oggi su browser e motori di ricerca, l’assistente imparerebbe le preferenze, la cronologia, i luoghi, gli artisti rilevanti per generare esperienze iper-personalizzate (playlist, tour, suggerimenti di lettura, analisi dei gusti, persino bilanci annuali della fan base). Si potrebbe chiedere: “Analizza le ultime 100 canzoni che ho ascoltato e suggeriscimi 5 nuove etichette indipendenti da seguire e i canali di tutti i loro artisti su YouTube” o “Mostrami i trend del music business negli ultimi 3 mesi, con grafici da Rockol”. In sintesi... La traiettoria immaginata è quella di una ChatGPT che può trasformarsi da semplice AI assistant a “interfaccia musicale universale”, capace di collegare streaming, ticketing, informazione e commercio e tradurre i gusti in azioni concrete; di diventare un motore di scoperta, curatela e analisi del comportamento musicale. Il rischio della cosiddetta disintermediazione totale è quello in cui il bot diventa il front-end principale, le singole app musicali perdono identità di marca e dati diretti - non è molto diverso nel trade-off visto tra Google e i siti editoriali. E comporta un meccanismo in cui le modalità di generazione delle linee di ricavo tra le varie parti della filiera mutano parecchio. Con etichette ed editori musicali stimolati a nutrire il bot con API di metadati aperti (crediti, testi, compositori, licenze sincronizzate) per farsi “invocare” nei flussi ChatGPT. Con i media musicali aspiranti ad affermarsi come “fonti di verità” per contenuti assortiti. E con gli artisti capaci di disporre di una “AI-persona” che dialoga con i fan, alimentata dai dati del loro ecosistema ufficiale.