Si è tenuto nella mattina di oggi, martedì 18 novembre, presso la Palazzina Appiani di Milano, nell’ambito della nona edizione della Milano Music Week, il panel - presentato da Rockol - “La ‘Everything App’: dalla playlist all’assistente, la musica nell’era degli ‘agenti’ personali”. All’evento, moderato dal CEO di Rockol Giampiero Di Carlo, sono intervenuti Lucia Maggio (CEO di 42 Lawfirm), Luca Stante (Presidente di Audacia Innovations) e Marco Alboni. “La ‘everything app' non collega i servizi, li ingloba in un unico ambiente intelligente, in grado - attraverso l’AI - di conoscere alla perfezione l’utente”, spiega Di Carlo nell’introduzione all’incontro: “L’agente personale interpreta tutto - dati, contesto, linguaggio naturale, cercando di unificare tutte le funzioni, musicali e non solo. L’agente personale è il motore cognitivo di questo sistema, all’esterno delle quali ci sono le funzioni integrate e attori come artisti, media, creator, brand, label, finTech e altro”. La everything app “interferisce” il lavoro ordinario di una label? Possono rappresentare un super-intermediario in grado di “intromettersi” nelle operazioni delle etichette? “Non è facile dare risposte, al proposito: in verità, queste cose già ci sono”, spiega Alboni: “La natura delle label, negli ultimi anni, è di amplificatori di qualcosa che già c’è. Oggi si pubblica senza necessità di avere un contratto discografico. Il ruolo delle multinazionali, specie nei mercati emergenti, è quello di fornitori di servizi più che di sviluppo artistico. Questa situazione muterà, anzi, sta già mutando. E lo si noterà soprattutto nell’ambito - già rivoluzionato dalla crescita del digitale - delle operazioni riguardanti i dati di consumo”. Come evolverà, quindi, il ruolo dei produttori di contenuti? “La musica è un bene immateriale, facilmente attaccabile e imbrigliabile dalle innovazioni”, prosegue Alboni: “Resterà comunque difficile rinunciare all’aspetto umano”. Sul fronte legislativo, “stiamo assistendo a un cambio filosofico della figura dell’autore”, osserva Maggi: “Le composizioni musicali, oggi, sono corali, a causa dello sviluppo di collettivi creativi che lavorano su Web: è caduto lo stereotipo 'classico' dell'artista che crea in solitaria. Oggi l’autore ha nuove forme. La legge non è ancora adeguatissima, al riguardo: se interviene l’AI nel processo creativo, la legge italiana - per rendere proteggibile l’opera - impone che la stessa sia frutto dell’ingegno umano. Anche questa è una scelta filosofica. Questa linea è condivisa dall’80% dei paesi che hanno legiferato sull’AI. L’intelligenza artificiale può essere usata, ma come strumento, andando a integrare un contributo umano significativo. Quanto significativo, ce lo diranno i giudici”. L’AI potrà diventare un soggetto contrattuale? “No, perché dovrebbe avere capacità giuridiche”, aggiunge Maggi: “Oggi le responsabilità dell’AI ricadono sugli sviluppatori (per il training) e sugli utilizzatori (per l’output)”. Quali sono i dubbi dell’artista, oggi, riguardo l’AI? “La sensazione - da un punto di vista 'artistico' - è che ci sia pochissima conoscenza tecnico-giuridica da parte dei creator che vogliano usare l’AI. E’ fondamentale, quindi, un investimento in formazione”. E' in atto un cambio di paradigma nella fruizione musicale, che dalle playlist tradizionali sta conducendo ad “assistenti personali” come Celia, sviluppato da Audacia Innovations, tool basato sull'AI dedicato ad artisti ed etichette. “Il nostro obiettivo è sfruttare l'insieme dei big data a favore di artisti e label, limitandoci al marketing”, dice Stante: “Con un cocktail di vari strumenti, basandosi sui dati, riusciamo a raccogliere e analizzare gli insights generati su tutte le piattaforme, processandoli e mettendoli in comparazione con artisti presenti nello stesso segmento di mercato. Definendo i punti di forza e di debolezza degli artisti, i dati vengono analizzati elaborando strategie di marketing - aggiornate nel tempo sulla base dei risultati - sulle varie piattaforme”. Come potrebbero cambiare le strategie promozionali dell’industria musicale, alla luce di questo ecosistema chiuso dove un utente vive in un ambiente unico? Cosa faranno i marketing manager delle label? “E’ difficile immaginare una forma della everything app: come il digitale, saranno in evoluzione costante”, commenta Alboni: “Un esempio significativo è quello di Weverse di HYBE, che grazie all’integrazione con WeChat rappresenta il primo esempio di ecosistema chiuso. Probabilmente uno o più agenti entrerà in questi sistemi seguendo le indicazioni singole dell’utente. La monetizzazione delle label, in questo senso, ne potrà giovare, anche alla luce della ritrovata popolarità del formato fisico non solo per gli artisti legacy: far incrociare domanda e offerta nel minor tempo possibile è fondamentale”. Il salto di paradigma effettivo, quando si parla di “agenti personale”, è rappresentato dalla conoscenza del contesto: nell’esperienza utente della everything app l’ecosistema è chiuso. Quali sono i punti crociali che incrociano le future licenze e l’AI generativa? “Oggi si parla di far west in virtù delle moltissime cause intentate dagli aventi diritto nei confronti delle software house, che attraverso meccanismi di crawling hanno raccolto anche dati protetti, che vengono monetizzati”, spiega Maggi: “Negli USA e nei paesi anglosassoni c’è il tema del fair use, che viene invocato dalle piattaforme. In Europa, anche alla luce dell’esito della causa GEMA contro OpenAI, i processi di training devono essere trasparenti, e rispettare l’opt-out espresso dagli aventi diritto. Le norme tra USA, Europa e Giappone, al momento, sono diverse: siamo in un momento di incertezza”. “A breve vedremo nascere il Chat GPT marketing”, aggiunge, concludendo, Stante: “Queste everything app, che possono utilizzare ChatGPT, potranno operare sulle differenti piattaforme in autonomia”.