E’ stata presentata ai mercati lo scorso venerdì, 5 dicembre, “A Carla”, brano composto e interpretato da Giovanni Nuti su testo di Padre Alberto Maggi e dedicato a Carla Fracci. Dopo la scomparsa di Carla Fracci, con la quale Giovanni Nuti ha collaborato nel 2019 in occasione dell’allestimento di “Poema della croce” nella chiesa di San Marco di Milano, il cantautore toscano ha musicato il testo del noto teologo e biblista di Montefano. Il testo della canzone è una poesia dedicata all’étoile che Giovanni Nuti ha letto durante il funerale di Carla Fracci “e che tratta - spiega lo staff dell’artista - di un tema toccante e universale: la vita oltre la vita”. “Nel canto di Giovanni Nuti le mie parole, che faccio dire in prima persona a Carla, si fanno respiro e carezza, con la musica che accompagna la voce come un’onda che sale verso la luce”, ha dichiarato Padre Alberto Maggi: “E il finale ‘non dite la povera Carla, ma Beata Carla!’ ribalta la prospettiva del lutto in un atto di fede gioiosa e francescana, dove il sorriso diventa sacramento d’amore”. Beppe Menegatti, il regista, marito e compagno di vita di Carla Fracci, ha messo a disposizione alcuni filmati di repertorio della stella che danza. La regia del videoclip è di Matteo Pelletti, con la supervisione di Beppe Menegatti. Per la realizzazione del video non è stata presa in considerazione l’idea di sfruttare modelli di intelligenza artificiale generativa per modificare il materiale originale. "Non ho paura dell’intelligenza artificiale", ha tenuto a precisare l'artista: "Ho paura di un mondo che la usa senza intelligenza. La tecnologia non è mai il nemico: lo diventa quando cresce senza regole, senza etica e senza rispetto per la fragilità umana da cui nasce ogni opera d’arte. L’intelligenza artificiale può essere uno strumento meraviglioso per la musica, ma senza una normativa chiara rischia di diventare una macchina di omologazione, di sfruttamento silenzioso, di cancellazione dell’identità artistica. La musica non nasce da un algoritmo: nasce da una ferita, da un abbraccio, da una memoria. Un software può imitare uno stile, ma non può vivere un dolore, né attraversare una perdita, né cantare una rinascita. Il rischio più grande non è che le macchine 'creino', ma che agli artisti venga sottratto il diritto di essere riconosciuti, tutelati, rispettati. Se l’intelligenza artificiale userà opere umane senza consenso, senza compenso e senza citazione, allora non sarà progresso: sarà saccheggio culturale. Abbiamo bisogno di leggi che difendano chi crea, non solo chi programma. Di regole che distinguano chiaramente tra ispirazione e appropriazione. Di trasparenza su ciò che è umano e ciò che è generato da una macchina. Perché senza tutela dell’artista, non esiste futuro creativo. Esiste solo un archivio freddo di forme vuote. L’intelligenza artificiale può essere una possibilità straordinaria. Ma solo se resta uno strumento nelle mani dell’uomo, non il contrario". In favore alla tutela della “matrice umana” nella produzione delle opere si era espresso - quando ancora i modelli di Gen AI non erano diffusi come oggi - il Presidente di NUOVOIMAIE Andrea Miccichè, specialmente per quanto riguarda le elaborazioni delle peculiarità personali come voce e immagine. “Il rischio che corriamo è quello di perdere il carattere umano del frutto dell’ingegno, che - al contrario - deve essere centrale e permanere in tutte le attività”, aveva spiegato Miccichè: “Credo che il tema, dal punto di vista degli artisti, interpreti ed esecutori, vada affrontato sotto diversi profili differenti. Innanzitutto nei contratti individuali che gli artisti vanno a perfezionare, nei quali - a mio avviso - sarebbe il caso di introdurre norme che vietano espressamente l’impiego della voce in questa tipologia di utilizzazione. Il secondo intervento dovrebbe essere a livello collettivo, introducendo nei contratti collettivi delle limitazione espresse che siano negoziate tra le organizzazioni sindacali e le rappresentanze dei lavoratori. Il terzo livello credo sia quello del garante della privacy", prosegue, "Perché ritengo che la voce - al pari delle sembianze - sia un dato sensibile, e quindi, proprio in quanto tale, meritevole di una tutela attenta contro utilizzi che, ancorché autorizzati [come, per esempio, quello concesso da Grimes, ndr], debbano essere circoscritti con dei limiti espressi”.