<p style="text-align:left"><span><span><span><span>Un commento e una lettura a proposito dell’<a href="https://musicbiz.rockol.it/news-756052/youtube-dal-16-gennaio-basta-dati-a-bllboard-per-le-classifiche">annuncio di Lyor Cohen di ritirare i dati di YouTube dalle classifiche di Billboard</a> si impongono, perché sono coinvolti la maggiore piattaforma di streaming al mondo e il simbolo delle chart per antonomasia: insieme contribuiscono a caratterizzare la narrazione mainstream, poiché il <em>ranking</em> è forse il più potente strumento di marketing a disposizione dell’industria musicale.</span></span></span></span></p> <p style="text-align:left"><span><span><span><span><strong>Chart: un metodo fragile</strong></span></span></span></span></p> <p style="text-align:left"><span><span><span><span>Il cuore del sistema classifiche di Billboard è ancora questo: tradurre comportamenti digitali eterogenei in una “unità album”. Questa eredità del mondo fisico implica ragionare su copie vendute, atto intenzionale e prezzo esplicito. Ma lo streaming è l’opposto: consumo continuo, comportamenti ripetitivi, assenza di “atto di acquisto”.</span></span></span></span></p> <p style="text-align:left"><span><span><span><span>Forzare gli stream dentro l’equivalente di un’unità album è metodologicamente fragile, indipendentemente dal rapporto 1:3 o 1:2,5. Di fatto la discussione “paid vs ad-supported” è una battaglia di superficie. Cohen dice: “Ogni fan conta allo stesso modo”, ma in realtà sta difendendo la centralità di YouTube come <em>consumption layer</em>, a prescindere dalla coerenza del modello di classifica. </span></span></span></span></p> <p style="text-align:left"><span><span><span><span>Billboard, dal canto suo non può abbandonare l’unità album perché è il pilastro di classifiche, comparabilità storica, narrazione popolare. Quindi è così che la ratio diventa il terreno su cui combattere, perché il metodo non è negoziabile.</span></span></span></span></p> <p style="text-align:left"><span><span><span><span>Ma il metodo è intrinsecamente distorto perché il sistema attuale mescola intenzione (<em>paid</em>) e frizione zero (<em>free</em>) e, presumendo che 1.000 / 1.250 stream siano <em>equivalenti</em> a un atto di acquisto, ignora completamente fattori chiave come ripetizione, contesto, passività, algoritmo. In pratica misura il volume con parametri soggettivi e trascura il valore e l’impatto culturale. E questo è un problema strutturale, non di taratura.</span></span></span></span></p> <p style="text-align:left"><span><span><span><span><strong>La battaglia politica</strong></span></span></span></span></p> <p style="text-align:left"><span><span><span>Quando Cohen sostiene che “ogni ascolto dovrebbe contare allo stesso modo”, il vecchio volpone mente sapendo di mentire, perché un ascolto passivo non equivale a uno attivo, il modello di business è diverso, l’intenzionalità conta. Ma, anche se non lo esprime esplicitamente, non ha torto quando tra le righe </span></span><span>“</span><span><span>dice" che il sistema di conversione in </span></span><span><span><span><em>album unit</em></span></span></span><span><span> è superato.</span></span></span></p> <p style="text-align:left"><span><span><span><span>La soluzione non può essere cambiare ratio o spostare decimali, ma sarebbe separare definitivamente le metriche. Idealmente si dovrebbe disporre di chart di consumo, di engagement e di valore economico. Ma ciò romperebbe 70 anni di narrazione, con l’aggravio di rendere i confronti storici impossibili e indebolire l’idea di “numero 1 assoluto”. Quindi non è probabile che accada.</span></span></span></span></p> <p style="text-align:left"><span><span><span><span>Il problema delle classifiche non è quanto pesano gli stream, ma il fatto che si continui a fingere che possano equivalere a un’unità album, un concetto che non descrive più il comportamento musicale contemporaneo. La battaglia di Cohen è politica e industriale, non metodologica.</span></span></span></span></p> <p style="text-align:left"><span><span><span><span><strong>Radio, retail e streaming</strong></span></span></span></span></p> <p style="text-align:left"><span><span><span><span>Lo streaming è una tecnologia, non un modello di business. E questa tecnologia è ciò che ha reso lo streaming il luogo virtuale dove la radio ha incontrato il <em>music retail</em> e dove l'ascolto e le intenzioni di acquisto si sono fusi in un'esperienza diversa. Lo streaming non è “retail travestito” né “radio travestita”, ma il punto storico in cui i due mondi si sono fusi in qualcosa di nuovo. Se non si parte da qui, si sbaglia diagnosi.</span></span></span></span></p> <p style="text-align:left"><span><span><span><span>Nel mondo pre-streaming due esperienze separate e complementari vedevano la radio come un’esperienza di ascolto passivo e di consumo senza atto economico diretto, con una funzione culturale e promozionale; e il retail (dischi / download) come un atto intenzionale, una decisione economica, una funzione di supporto all’artista. Fruizioni e metriche separate, con ruoli chiari. Con lo streaming succede una cosa inedita: l’ascolto è già una forma di consumo economico, ma senza passare da una decisione esplicita di acquisto. Questo è il vero cortocircuito.</span></span></span></span></p> <p style="text-align:left"><span><span><span><span>Con lo streaming non esiste più un confine netto tra ascolto e acquisto. Lo streaming eredita dalla radio ripetizione, esposizione, passività ed eredita dal retail monetizzazione, tracciabilità, allocazione di valore. Ma non è riducibile a nessuno dei due.</span></span></span></span></p> <p style="text-align:left"><span><span><span><span>Quindi quando Billboard prova a “ricondurlo” al retail (<em>album unit</em>), sta ignorando metà della sua natura. E il suo metodo scricchiola per ragioni strutturali.</span></span></span></span></p> <p style="text-align:left"><span><span><span><span>Nell’era dello streaming, l’intenzione non è più un evento binario (compro / non compro), ma un comportamento distribuito nel tempo. L’intenzione oggi si manifesta con ritorno, frequenza, profondità, contesto - non con un gesto unico. Mentre il metodo Billboard cerca ancora un atto equivalente, dovrebbe invece leggere un pattern equivalente.</span></span></span></span></p> <p style="text-align:left"><span><span><span><span>Se lo streaming è il luogo in cui radio e retail si sono fusi ed è evidente che forzare questa fusione dentro l’“album unit” è metodologicamente fragile, il problema non è trovare la ratio giusta, ma accettare che l’unità di misura ereditata dal retail non è più adatta a descrivere un’esperienza ibrida come lo streaming.</span></span></span></span></p> <p style="text-align:left"><span><span><span><span>Finché le chart continueranno a fingere che lo streaming “simuli” l’acquisto, questo conflitto tornerà ciclicamente. Questa lettura industriale della vicenda sposta la discussione da “chi pesa di più” a “che cosa stiamo davvero misurando”. Eppure, intanto, aspettiamo fiduciosi che altri <em>player</em> si manifestino.</span></span></span></span></p>