Non ci fosse stato il “televoto”, non sarebbe stato Povia a vincere il festival di Sanremo 2006: senza gli sms e le telefonate dei telespettatori, anzi (lo aveva rivelato il responsabile della Ipsos Nando Pagnoncelli in conferenza stampa: http://www.rockol.it/news.php?idnews=77643), l’interprete di “Vorrei avere il becco” non sarebbe neppure arrivato in finale. Ma quanti sono coloro che hanno preso in mano il telefono di casa o il cellulare, per sovvertire gli esiti delle giurie demoscopiche e partecipare alla votazione a suffragio universale introdotta nelle due ultime serate della competizione? Mistero: una nostra richiesta di informazioni inoltrata all’ufficio stampa del programma, Federica Fresa di Eventi-Made in Italy, non ha sortito effetto. <br> Se Rai e Telecom sono così gelose dei loro dati, delle due l’una. O, come insinua qualcuno, il traffico telefonico è stato così sostenuto che risulterebbe imbarazzante, per i gestori dell’operazione, farsi fare i conti in tasca da chi con il festival ci ha guadagnato poco o nulla. Oppure, al contrario, potrebbe essere che l’affluenza virtuale alle “urne” del popolo canzonettaro non sia stata propriamente travolgente. Se non le dicono, quelle cifre, può anche darsi che sia perché sono talmente esigue che a parlarne ci si esporrebbe al ridicolo minando la credibilità del meccanismo, stile reality show, introdotto con l’edizione 2005. Chissà, in mancanza di prove concrete un’ipotesi vale l’altra.<br> Ma c’è un altro aspetto curioso, in questa piccola e nebulosa vicenda: l’atteggiamento abulico e pilatesco dell’ “industria”, associazioni ed etichette discografiche che a Rockol hanno raccontato di non essersi affatto preoccupate di verificare i numeri del televoto. E dunque di non essere interessate a conoscere l’entità della “mobilitazione popolare”, e il gradimento e il coinvolgimento del pubblico: nei confronti non solo di Sanremo in quanto tale, ma anche delle canzoni e degli artisti presentati in gara. Sembrerebbe una curiosità naturale, da soddisfare, per chi opera nel settore. Sarebbe un dato non irrilevante per gli uffici marketing; un termometro utile a misurare la temperatura del mercato in un momento in cui si fatica come non mai a interpretarne gli umori volatili. Invece l’ufficio stampa dell’AFI fa sapere che nessuna richiesta di informazioni è stata avanzata alla Rai; la FIMI, per bocca del suo presidente Enzo Mazza, sostiene che alla federazione e ai suoi associati interessa molto di più conoscere i dati dei download a pagamento delle canzoni; mentre Mario Limongelli, presidente di PMI, lascia intendere che con tutti gli altri problemi che c’erano, a Sanremo…<br> La musica non cambia se si chiede conto alle etichette e case distributrici i cui artisti si sono classificati ai primi posti della competizione. In altre faccende affaccendati, tutti mostrano un disinteresse assoluto per la questione (piccola, d’accordo, ma non trascurabile): come se quei numeri riguardassero un concorso di Miss Italia o l’Isola dei Famosi invece che i loro prodotti e i loro artisti, e come non sapessero (o non lo sanno?) che l’informazione, anche minima, è potere. Avevano fatto la voce grossa per giocarsi la partita alla pari sul tavolo da gioco di Sanremo, e invece dal festival i discografici escono ancora una volta a testa bassa e a mani alzate, al di là dei puri dati statistici (stesso numero di presenze in classifica rispetto all’anno scorso, d’accordo: ma i volumi di vendite?). Come se avessero preso coscienza, una volta ancora, che tra guerre di share, balletti di poltrone dirigenziali, interessi degli sponsor e tutto il resto il gioco è troppo grande per una industria piccola come la loro, e allora tanto vale mettersi in coda al buffet e accontentarsi degli avanzi (per esempio, la possibilità di coinvolgere i media nei loro convegni e nelle loro iniziative). E pazienza se i padroni di casa continuano a considerarti un imbucato.