Storie da un altro pianeta: l’emittente di stato britannica riconosce che “la musica è al centro del suo mandato di pubblico servizio” e che in futuro “assumerà un ruolo sempre più cruciale” (parole del direttore della divisione Radio e Musica Jenny Abramsky) tanto da diventare oggetto, per la prima volta, di un vero e proprio piano strategico aziendale le cui linee guida sono state annunciate in questi giorni. Tra le finalità principali del programma, hanno spiegato i dirigenti BBC ai media e agli addetti ai lavori, figura l’esigenza di coordinare l’enorme offerta di musica diffusa attraverso i canali televisivi, radiofonici e on-line dell’emittente, sperimentando nuovi sistemi di distribuzione come la telefonia mobile; ma anche la volontà di promuovere in maniera sempre più incisiva e capillare la musica prodotta localmente e, in particolari, i nuovi talenti che si affacciano sulla scena. Senza ricorrere al sistema normativo delle cosiddette “quote protette” (di cui l’industria inglese non sente probabilmente neppure bisogno), l’emittente sta monitorando i palinsesti delle sue stazioni radiofoniche in modo da assicurare che in ogni programma musicale venga garantito spazio adeguato e ben distribuito quotidianamente ai prodotti nazionali e ai nuovi artisti; lo stesso approccio verrà successivamente esteso anche alla televisione, mentre particolari opportunità promozionali e distributive verranno messe a disposizione delle band emergenti sui canali on-line. <br> “L’aspetto più positivo della vicenda è che si è tenuto conto di quello che l’industria musicale dice da anni”, ha commentato con soddisfazione il presidente della EMI inglese Tony Wadsworth, membro di un comitato consultivo che ha partecipato alla stesura del programma. Potrebbe succedere anche in Italia? Difficile persino immaginarlo. La Rai “non è la BBC”, come diceva la vecchia canzone che l’allegra banda Arbore-Boncompagni intonava nel leggendario Alto Gradimento: erano i primi anni ’70, ma la situazione da allora non è cambiata, se non in peggio.