Dopo Thailandia, Malaysia e Pakistan, la Cina è il maggior esportatore di cd e dvd pirata in Europa (almeno stando alla provenienza del materiale sequestrato: 8 %). Ciò nonostante la UE ha deciso di non affiancarsi agli Stati Uniti nella guerra legale alla violazione dei diritti di proprietà intellettuale che l’amministrazione Bush ha deciso di innescare di fronte ai tribunali del WTO, l’organismo internazionale del commercio di cui il paese asiatico fa parte dal 2001. “Per noi non sarebbe il momento giusto per farlo” ha spiegato il commissario europeo per la Information Society e i Media Viviane Reding, che la settimana scorsa ha incontrato i ministri cinesi per l’Industria, la Scienza, l’IT e i Media invitandoli ad affrontare il problema con la massima urgenza. <br> Secondo stime fornite dal governo americano, la pirateria cinese (che in patria controlla il 90 % del mercato videomusicale e software) è costata alla sua industria 2,6 miliardi di dollari di perdite in uno solo anno. Ma mentre Bush e il suo staff hanno preso di petto la situazione bloccando l’accesso alle frontiere cinesi di film, musica e software americani, l’Europa ha scelto la linea morbida e diplomatica puntando sulla capacità di persuasione delle alte sfere della politica. Data anche la endemica lentezza della burocrazia locale e la difficoltà di far applicare le sentenze nelle province più remote del paese, sostengono i funzionari UE, è preferibile cercare di convincere le autorità locali ad agire di spontanea volontà evitando di danneggiare i rapporti diplomatici ed economici bilaterali come invece sta già accadendo con gli Stati Uniti.