Sui rapporti tesi sussistenti con la società di Steve Jobs, dominatrice incontrastata del mercato della musica digitale, l’amministratore delegato di Vivendi Jean-Bernard Levy la pensa esattamente come i vertici della controllata Universal Music. “La ripartizione dei proventi tra Apple e i produttori musicali è indecente”, ha detto lunedì scorso (24 settembre) alla stampa specializzata francese facendo riferimento al fatto che l’etichetta del suo gruppo incassa 70 centesimi di euro sui 99 che il consumatore finale paga per un download. Non solo: come il “boss” di Universal, Doug Morris, anche Levy vorrebbe strappare a Jobs un prezzo flessibile che permetta di incassare dalle novità discografiche più che dalle registrazioni di catalogo; sottoscrive in pieno, inoltre, la decisione della major di rinegoziare mensilmente i suoi contratti di distribuzione con iTunes, con la possibilità tra l’altro di recedere con un preavviso di un mese. <br> Evitando di far sapere se, sull’esempio del produttore televisivo NBC Universal, anche Universal Music abbia intenzione di abbandonare iTunes per rivolgersi alla concorrenza, Levy si è tuttavia soffermato sugli indirizzi strategici della casa discografica di “famiglia”: “Dobbiamo monetizzare meglio l’immagine dei nostri artisti, ad esempio con abbigliamento firmato e con show televisivi. In questo modo speriamo di rivitalizzare il nostro business. La gente indulge nella pirateria ma spende ancora molto denaro su una varietà di prodotti che hanno a che fare con gli artisti”.