Non si rassegna, l’associazione delle indies europee Impala, a lasciare via libera alla fusione tra Sony e BMG, effettiva dal 2004 e in procinto, forse, di cambiare profondamente assetto societario con l’abbandono della joint venture da parte di Bertelsmann (vedi News). Di qui l’appello che l’organizzazione di categoria ha inoltrato alla Corte di primo grado della UE con sede in Lussemburgo, nel tentativo di invalidare l’autorizzazione incondizionata che la Commissione Europea ha garantito al “merger”: un errore, secondo Impala, che contraddice il giudizio emesso in suo favore nel 2006 (vedi News) mettendo in grave pericolo le opportunità concorrenziali e di accesso al mercato delle piccole etichette in un settore industriale sempre più fortemente concentrato. In Europa l’80 % della produzione musicale proviene da aziende indipendenti che impiegano circa metà degli addetti del settore: un patrimonio creativo ed economico la cui “diversità” culturale e specificità economica, secondo Impala, è messa fortemente a rischio dal rafforzarsi degli oligopoli che dominano il mercato. Le indies europee puntano il dito soprattutto sulle recenti evoluzioni del mercato on-line, che in seguito agli accordi commerciali stretti tra le major e operatori come MySpace e la nuova versione legale di KaZaA avrebbe ridotto, e di molto, la libertà di manovra delle indipendenti. <br> “Una fusione senza contromisure compensative come quella tra Sony e BMG si ripercuote su migliaia di artisti e di piccole aziende in tutta Europa”, sostiene il ceo di !K7 Records e co-presidente di Impala Horst Weidenmueller. “La nostra principale preoccupazione è la disfunzione del mercato musicale. Quel che succede nel settore on-line ne è l’esempio migliore e la Commissione Europea dovrebbe guardare con più attenzione al modo in cui le major stanno controllando l’evoluzione di questo mercato”. “Come l’Irlanda avevamo due opzioni, dire di sì o dire di no”, ha aggiunto Michel Lambot, capo del gruppo PIAS e lui stesso co-presidente dell’associazione. “Dal 2000 diciamo di no a un mercato morente e senza regole, all’assenza di tutele, alle barriere all’entrata che frenano l’arrivo di nuovi imprenditori nel settore culturale. Diciamo di sì, invece, all’accordo di Lisbona (che indica nell’industria culturale un motore della crescita economica, dell’occupazione e dell’innovazione nella Comunità, ndr) e alla ratifica del trattato dell’Unesco, all’esistenza di un settore indipendente vivace e a un mondo musicale europeo dinamico e vitale”.