Il “buco” accumulato dalla casa discografica inglese nell’ultimo esercizio finanziario (chiusura al 31 marzo) ha le dimensioni di una voragine, 757 milioni di sterline (936 milioni di euro) contro i 287 dell’anno precedente. Colpa di una serie di fattori contingenti legati alla contabilità aziendale ma anche di un risultato operativo che per tutto l’anno è rimasto a livelli insoddisfacenti, come ha ammesso Lord Brit, presidente della società di investimenti, Maltby Capital, attraverso cui Guy Hands e Terra Firma hanno acquistato la EMI. Nei dodici mesi solo tre album e due compilation della serie “Now” hanno superato il milione di copie vendute; l’anno precedente lo stesso risultato era stato raggiunto o superato da ben 18 titoli. <br> L’ultimo bilancio della EMI, che riassesta al 5 % il calo nel margine operativo lordo (Ebitda), registra forti perdite legate a spese di ristrutturazione (123 milioni di sterline), rivalutazione di passività patrimoniali (192 milioni di sterline), deprezzamenti/ammortamenti (109 milioni) e costi di finanziamento (520 milioni). Nel suo commento al rapporto 2008 della società, Brit cerca tuttavia di rinfrancare gli azionisti: “Anche se sui prossimi bilanci continueranno a gravare gli interessi e per il prossimo anno fiscale incideranno ancora i costi di ristrutturazione, non ci aspettiamo che le altre voci di spesa assumano in futuro un peso paragonabile”. Gli aspetti positivi della situazione, secondo Brit, riguardano il fatto che “il risultato operativo è migliorato in maniera significativa durante i sette mesi e mezzo di proprietà Maltby”, tanto che la società prospetto un miglioramento per il semestre chiuso al 30 settembre 2008 rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Nel frattempo, sostiene Brit, “abbiamo tenuto i costi sotto controllo e introdotto misure compensative in linea con le procedure correnti sul mercato” (in relazione alla riduzione di organico di 1.500 unità, tuttora in corso a livello internazionale). “I numeri che vi presentiamo oggi”, spiega Brit, “raccontano chiaramente che questo è il primo anno di una trasformazione radicale nella cultura aziendale, nel modello di business e forse anche nello stesso mercato. Non sarà un aggiustamento rapido”.