Le case discografiche hanno davvero abdicato al ruolo di A&R e di talent scout come si sente ripetere oggi quasi ossessivamente? Nel suo primo intervento pubblico di alto profilo da quando è diventato presidente A&R della EMI per il Nord America e il Regno Unito (vedi News) Nick Gatfield, relatore al Musexpo Europe di Londra, ha ammesso che il problema esiste: “E consiste in una mancanza di fiducia, nel caso in cui la persona incaricata della direzione artistica non sappia instaurare un vero dialogo con l’artista. Quando ho cominciato io, una delle prime cose che ci insegnavano era come porgere agli artisti le brutte notizie. Oggi capita spesso che chi ha la fortuna di imbattersi in un nuovo talento venga promosso a posizioni dirigenziali senza avere maturato la necessaria esperienza per ricoprire quel ruolo”. Gatfield sostiene che tutti gli operatori della filiera – casa discografica e management, promoter e agenzie di booking, e naturalmente l’artista stesso – vanno coinvolti nel processo di A&R. E oggi, ha aggiunto, non si tratta più soltanto di pensare a vendere dischi ma di immaginare nuove fonti di reddito: l’A&R della EMI cita il caso del dj francese David Guetta, il cui hit del 2006 “ Love don’t let me go (Walking away)” ha incassato più dalla pubblicità che dalla vendita del cd nei negozi. <br> Nel corso dello stesso convegno, Nick Raphael della Epic inglese ha invece pronosticato vita breve ai contratti a 360 gradi oggi tanto di moda: “Il fatto che si ingaggino artisti per un milione di sterline è ridicolo, e questi contratti esisteranno solo fino a quando le case discografiche saranno controllate da gente a cui piace sventolare i suoi libretti degli assegni. La verità è che non facciamo abbastanza buoni dischi”.