Si è già chiuso il capitolo dei “mega-merger”, delle grandi fusioni tra i colossi multinazionali della discografia e dell’intrattenimento? La “resa” ufficiale di EMI e BMG, che il 1° maggio hanno annunciato di avere definitivamente rinunciato al loro progetto di integrazione (vedi news), parrebbe segnalare una violenta inversione di marcia in quella che sembrava ormai un’ondata inarrestabile di alleanze strategiche, incorporazioni e acquisizioni: forse semplicemente perché, con una velocità superiore alle aspettative del mondo politico e istituzionale, il processo di concentrazione ha raggiunto in pochi mesi i limiti ritenuti tollerabili dalle autorità internazionali preposte a vigilare sulla tutela della concorrenza. Le agenzie di stampa riferiscono di un incontro informale a Bruxelles, nella serata del 30 aprile, tra i numeri uno di EMI e Bertelsmann, Eric Nicoli e Thomas Middelhoff, e il commissario europeo Mario Monti, nel corso del quale i tre si sarebbero resi definitivamente conto dell’impossibilità di risolvere l’equazione che da cinque mesi li ha visti impegnati alla ricerca di ogni possibile soluzione di compromesso: come conciliare, cioè, gli interessi degli azionisti delle due major e le opzioni di sviluppo strategico delle due aziende con la necessità di tutelare i diritti dei consumatori e la libertà concorrenziale sui mercati. A Middelhoff e Nicoli Monti non ha potuto garantire che il progetto di fusione da loro proposto avrebbe ottenuto, in tempi brevi, il nulla osta delle autorità antitrust, preoccupate dalla possibilità che ne potesse scaturire una realtà economica capace di condizionare in modo preponderante aspetti chiave del mercato come la determinazione dei prezzi dei CD, la concessione delle licenze d’uso ai concorrenti e la vendita dei cataloghi musicali attraverso i nuovi sistemi di distribuzione digitale. Dal canto loro, i due manager non se la sono sentita di accettare limiti e condizioni ulteriori, che avrebbero costretto EMI e BMG a rinunciare alla proprietà di etichette come Virgin e RCA, ritenute strategicamente essenziali. Tutto da rifare, dunque: che ne sarà a questo punto di EMI, da un paio d’anni almeno alla ricerca di partner o potenziali acquirenti sul mercato? I bene informati assicurano che l’ipotesi di un’alleanza strategica resta nei piani della società britannica, anche se si tratterebbe in questo caso di un progetto più defilato e meno visibile: già prima di avviare i negoziati con Bertelsmann e BMG, cinque mesi fa, la EMI aveva preso contatto con altre major per studiare la possibilità di mettere in comune strutture logistiche e distributive allo scopo di ridurre i costi vivi di gestione, e queste opzioni sarebbero tornate prepotentemente alla ribalta nelle ore immediatamente successive al ritiro dell’opzione Bertelsmann. Con il gruppo tedesco EMI continuerà comunque a collaborare sul progetto MusicNet, la piattaforma per la distribuzione di musica in formato digitale di cui sono finanziatori-promotori anche la ditta di software RealNetworks e il gruppo AOL Time Warner (vedi news). Proprio la casa discografica controllata da quest’ultima, Warner Music, potrebbe clamorosamente rientrare dalla finestra nei negoziati con EMI dopo esserne uscita, lo scorso ottobre (vedi news), dalla porta principale, sempre per l’impossibilità di venire incontro alle richieste dell’antitrust. Il nuovo numero uno del gruppo Warner Roger Ames, del resto, lo aveva già preannunciato agli azionisti lo scorso gennaio: se l’accordo con BMG non fosse risultato fattibile, la major americana avrebbe potuto farsi di nuovo avanti. Le sorprese e i colpi di scena, a quanto pare, potrebbero non essere ancora finiti.