Un ulteriore passo avanti è stato fatto da Vitaminic verso la ricercata leadership europea nella distribuzione di musica digitale. Dopo la francese Eurekan Multimédia S.A. (proprietaria di FranceMP3.com e MP3France.com) e l'americana Iuma.com, Vitaminic S.p.A. ha siglato l'accordo definitivo per l'acquisizione di Peoplesound.com, sito inglese leader in Europa nella promozione della musica  di alta qualità di artisti nuovi ed emergenti. Un prossimo aumento di capitale permettera l'emissione di 1.300.000 nuove azioni Vitaminic riservate agli attuali azionisti di Peoplesound.

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Vitaminic ha acquisito Peoplesound.com

Industria

Primary Wave ha acquisito dai suoi eredi il catalogo del compianto Peter Green, co-fondatore dei Fleetwood Mac scomparso nel 2020. Green aveva lasciato la band nel 1970 a causa di una forte crisi personale e professionale, ma è stato co-autore di alcune delle canzoni più famose del gruppo, come&nbsp;“Albatross”, “Black Magic Woman” e “Oh Well”.

Non è noto l'ammontare economico della transazione, ma si sa che riguarda diversi asset selezionati del suo catalogo editoriale (a nome Rattlesnake), che includono sia brani dei Fleetwood Mac che master e edizioni di alcuni dei suoi lavori solisti.

&nbsp;

Primary Wave acquisisce catalogo di Peter Green (Fleetwood Mac)

Aveva lasciato la band nel 1970, ma ne è stato co-fondatore

Nel giro di poche settimane, The Velvet Sundown è passata dall’essere il nome di una sconosciuta band indie rock a diventare uno dei fenomeni più discussi dell’industria musicale globale.&nbsp;&nbsp;Con sonorità vintage, immagini promozionali retrò e testi onirici, ha conquistato oltre 1,1 milioni di ascoltatori mensili su Spotify e scalato le playlist virali internazionali. Ma The Velvet Sundown non esiste. Tutto è stato generato da intelligenza artificiale.&nbsp;Musica, testi, artwork, video, biografie: ogni aspetto del progetto è frutto di sistemi di AI generativa avanzati. I presunti membri della band, con nomi e backstory credibili, erano completamente fittizi. Il progetto è stato orchestrato da un team anonimo che ha poi dichiarato di voler “stimolare un dibattito culturale sull’identità artistica nell’era dell’AI”.

Il primo album, “Floating on Echoes”, è uscito il 5 giugno 2025. Un secondo album è seguito dopo tre settimane. Un terzo è già uscito il 14 luglio (e un quarto è forse <a href="https://musicbiz.rockol.it/news-753164/spotify-provvedimenti-velvet-sundown-band-ai">oggetto di un takedown</a> su alcuni DSP, come Spotify). Il tutto con una velocità produttiva che prescinde dai limiti umani e mette in mostra potenzialità e rischi dell’automazione creativa.

Il successo di The Velvet Sundown è stato amplificato dalla logica algoritmica delle piattaforme di streaming. Spotify, in particolare, ha contribuito alla loro esplosione attraverso playlist automatizzate come “Viral 50”. E’ stato solo in un secondo momento, infatti, che alcuni ascoltatori e giornalisti hanno iniziato a mettere in dubbio la reale esistenza della band.&nbsp;Il&nbsp;caso ha amplificato il vuoto normativo e comunicativo di cui tutti eravamo consci – in teoria. Le piattaforme, ad oggi, non sono obbligate a indicare quando un contenuto è generato da IA. Deezer è finora l’unica ad aver implementato un sistema di etichettatura esplicita.&nbsp;Molti utenti si sono sentiti “ingannati”&nbsp;e artisti come Elton John e Dua Lipa, insieme a organizzazioni come la&nbsp;BPI, hanno chiesto regolamentazioni più stringenti.&nbsp;

Il dibattito si concentra su trasparenza, diritto d’autore e valore del lavoro umano, con critici e musicologi si dividono tra chi denuncia una “banalità estetica” nei brani AI e chi riconosce al progetto una carica provocatoria e speculativa degna dell’arte concettuale.&nbsp;Però&nbsp;la soglia che The Velvet Sundown sembrano avere varcato non riguarda più la sfera della curiosità tecnologica; segna, invece, l’inizio di una nuova fase in cui l’intelligenza artificiale non è più uno strumento al servizio della creatività umana, ma potenzialmente un soggetto autonomo nel sistema culturale. E vuole omologarsi alla realtà musicale &nbsp;in ogni suo stilema, anche quelli comunicativi.

La&nbsp;Bio&nbsp; 
Dopo l’incipit marcato da un falso portavoce e i suoi tweet scritti con ChatGPT che negavano che la band fosse generata da AI, la biografia Spotify della band è stata aggiornata con una descrizione del progetto che suona trasparente. Vi si legge, tra l'altro:

“The Velvet Sundown è un progetto musicale sintetico guidato da una direzione creativa umana, e composto, vocalizzato e visualizzato con il supporto dell’intelligenza artificiale… Questo non è un trucco – è uno specchio. Una provocazione artistica continua pensata per sfidare i confini della paternità, dell’identità e del futuro stesso della musica nell’era dell’AI… Tutti i personaggi, le storie, la musica, le voci e i testi sono creazioni originali generate con l’assistenza di strumenti di intelligenza artificiale impiegati come strumenti creativi.”&nbsp;

Metriche

Ci si chiede da più parti come The Velvet Sundown abbiamo potuto costruire così rapidamente un grosso pubblico su Spotify. E si rischia, per rispondere, anche di prendere qualche granchio. Un piuttosto noto consulente musicale, Andrew Southworth, aveva per esempio sostenuto inizialmente che erano stati usati bot, perché la band guadagnava esattamente 18.679 ascoltatori al giorno per tre settimane. Ma poi ha fatto marcia indietro, precisando: “La conclusione potrebbe essere fuorviante per via del modo in cui Chartmetric gestisce i dati mancanti: invece di segnalare assenze, calcola una media”.

Fatto sta che, al momento di scrivere, l’account ufficiale e verificato di The Velvet Sundown mostra più di 1,1 milioni di ascoltatori mensili su Spotify – in aumento rispetto ai 325.000 di due settimane e mezzo fa. Cosa significa? Che più di un milione di persone ha letto o visto contenuti mediatici e post social e ha cliccato per ascoltare una o due tracce per curiosità. È una metrica che, in estrema sintesi, già riflette la storia, ma non (ancora) la musica. La metrica degli ascoltatori è una misura della dimensione della copertura mediatica, non (ancora) di un pubblico sostenibile per questa musica. La vera misura arriverà tra qualche mese, quando chi ha ascoltato una volta sola e non è tornato sarà escluso dal conteggio. Finora, poco meno di 35.000 persone hanno effettivamente scelto di seguire il profilo: queste riceveranno le nuove uscite nelle loro playlist “Release Radar” su Spotify, e il picco da loro generato influenzerà anche gli algoritmi.

Tutto ciò a patto che Spotify e gli altri DSP non decidano di adottare una politica analoga a quella di Deezer, che prevede di escludere la musica generata da GenAI dalle raccomandazioni. La vicenda di The Velvet Sundown, dopo tutto, ci sta dicendo che molti altri artisti seguiranno: come i DSP e i distributori gestiranno questo fenomeno è un tema caldo del 2025 per l’industria musicale.&nbsp;

Marketing

Questo gruppo retro rock che è emerso dal nulla a giugno ha ottenuto qualcosa che molte vere band faticano a raggiungere: attirare l’attenzione mediatica globale e trasformarla in stream su Spotify e altre piattaforme.

Nella settimana conclusasi il 3 luglio, il catalogo di 26 brani di The Velvet Sundown — che copriva in quel momento solo i loro primi due album — aveva generato 2,59 milioni di stream a livello globale, secondo cifre diffuse da Luminate che corrispondono a&nbsp;un aumento del 399% rispetto alla settimana precedente. L’impennata è seguita a una gigantesca copertura online su testate musicali, quotidiani generalisti e popolari canali YouTube, tutti incuriositi dalla novità — e dalle implicazioni etiche — di una band artificiale che distoglie attenzione (e royalties) dai musicisti reali.

The Velvet Sundown riflettono una realtà del business musicale nel 2025: ottenere attenzione online, che sia positiva o negativa, aiuta un artista a emergere dal rumore di fondo e a trovare ascoltatori. La notorietà — essere conosciuti per qualcosa di negativo — non è necessariamente uno svantaggio. Con le piattaforme di streaming invase da contenuti generati dall’AI — Deezer stima che il 18% dei suoi caricamenti giornalieri abbia quell'origine — il successo di The Velvet Sundown spicca. Gli album della band, completi di artwork evocativi e surreali, fanno un ottimo lavoro nel catturare l’aspetto e l’atmosfera di una band psichedelica folk-rock. E i brani rivelano un livello di perizia e qualità ben sopra la media della musica generata con l’AI, lasciando supporre che l’abilità e il tempo messi al servizio del progetto non siano stati poca cosa.

Qualche domanda

Il caso Velvet Sundown solleva alcune questioni cruciali per l’industria:

<ul>
	<li>
	velocità vs qualità: la musica AI può saturare il mercato con una produzione iper-rapida, e lo sta già facendo;
	</li>
	<li>
	opacità algoritmica: chi decide cosa entra nelle playlist più popolari?
	</li>
	<li>
	ridefinizione dell’artista: cosa significa oggi essere un “musicista”?
	</li>
	<li>
	diritto d’autore e monetizzazione: a chi spettano i compensi di una canzone generata da AI?
	</li>
</ul>

Già sentito? In parte sì, eppure ci sono domande e domande. Tra&nbsp;quelle non proprio inedite, alcune hanno risposte potenzialmente chiare e prevedibili. Ad esempio: 
– la musica generata con AI dovrebbe essere etichettata come tale? Beh, sì; 
– se viene usata per frodi di streaming, va rimossa? Decisamente sì.

Altre, invece, sono più complesse: 
– dove finisce la musica creata con AI e dove inizia quella interamente generata? 
– dovrebbe stare fuori dagli algoritmi e dalle playlist personalizzate? 
– andrebbe vietata o regolamentata a parte?

Il fatidico momento in cui la musica generata da AI avrebbe raggiunto milioni di ascoltatori era nell’aria: era solo una questione di quando, e non di se, e come volevasi dimostrare il momento è arrivato prima del previsto. Ma, se finora l’industria si è concentrata sugli input (addestramento dei modelli, licenze, cause legali), ora deve affrontare gli output. Non importa che la storia di The Velvet Sundown venga derubricata solo a mera provocazione; la riflessione e l’esame di coscienza che ha innescato sono reali.

The Velvet Sundown: una brevissima storia ha già un lungo futuro

Come la vicenda della band AI-generated cambierà certe caratteristiche della musica digitale


Quando attorno alle 19.00 di mercoledì sera un enorme incendio ha distrutto il palco principale del Tomorrowland in Belgio, le immagini sono rimbalzate in tutto il mondo. D'altronde si tratta di uno dei festival più importanti e conosciuti a livello globale, con 400.000 presenze registrate nel 2024 e <a href="https://musicbiz.rockol.it/news-752935/tomorrowland-sbarca-in-cina-con-evento-indoor">vari spin-off</a> in altri continenti. Al momento dell'incidente, però, l'area concerti era chiusa al pubblico: l'evento avrà inizio venerdì, ragion per cui erano presenti sul posto solo gli addetti ai lavori&nbsp;impegnati nei preparativi. Fortunatamente, a quanto pare non si è&nbsp;registrato nessun ferito e per le ore 20.00 della stessa serata le fiamme sembrerebbero&nbsp;essere&nbsp;state&nbsp;domate&nbsp;del tutto, anche se non è stata ancora accertata&nbsp;la causa del rogo.

Nel frattempo, però, si rincorrono le voci sui social di un presunto annullamento: vari utenti dichiarano di aver ricevuto mail ufficiali che parlano di una cancellazione del festival. Interpellati da EuroNews (il canale di informazione di EBU) gli organizzatori di Tomorrowland dichiarano che si tratta di "fake news". Il riferimento, ad ogni modo, è all'invio di suddette mail: al momento non esiste acora una comunicazione ufficiale circa lo svolgimento o meno dell'evento.

Tomorrowland: l'annullamento per l'incendio sarebbe una fake news

Gli organizzatori assicurano che (per ora) non è prevista la cancellazione del festival

Secondo indiscrezioni di stampa dell'agenzia Reuters, la Commissione Europea sarebbe in procinto di aprire un'indagine sulla discussa proposta di acquisizione di Downtown Music da parte di Universal Music Group (il cui valore economico è quantificato in 775 milioni di dollari). La notizia di una possibile indagine era già nell'aria da aprile, ma la Commissione si è riservata di esaminare il caso prima di decidere se investigare formalmente. La scadenza per aprire un fascicolo di cosiddetta "fase 2"&nbsp;è il 22 luglio, e stando a Reuters una decisione in tal senso&nbsp;sarebbe quindi stata presa, anche se ancora non annunciata ufficialmente.

La "fase 1", della durata di 25 giorni, consisteva in una revisione della proposta di acquisizione: in caso di perplessità, la Commissione Europea aveva facoltà di proseguire con un'indagine "di fase 2", della durata di 90 giorni e più approfondita: le indiscrezioni si riferiscono proprio all'apertura di questa seconda parentesi investigativa. Resta da capire se l'indiscrezione di agenzia sarà confermata.

Downtown-UMG, la Commissione Europea aprirà un'indagine?

La proposta di acquisizione è nell'occhio del ciclone ormai da mesi

E’ cominciata la prima fase di votazione per i Primetime Emmy, in programma il prossimo 14 settembre (negli Stati Uniti live su CBS e disponibili in streaming live e on demand su Paramount+), presentati dal comico Nate Bargatze al debutto.

Questa fase, che va dal 18 al 27 agosto, è partita con l’annuncio dell’elenco completo dei candidati nelle sette categorie musicali, nel quale spiccano i nomi di Kendrick Lamar e “Questlove” – entrambi in lizza per la miglior direzione musicale. Lamar è candidato per “The Apple Music Super Bowl LIX Halftime Show con Kendrick Lamar”, insieme al co-candidato Tony Russell. Questlove è candidato per “SNL50: The Homecoming Concert”, insieme al co-candidato James Poyser. Lamar quest’anno ha conquistato 5 Grammy Awards, inclusi quelli per Disco dell’Anno e Canzone dell’anno; Questlove in carriera ha conquistato un Oscar e 6 Grammys. Questo l’elenco completo:

Miglior direzione musicale

<ul>
	<li>The Apple Music Super Bowl LIX Halftime Show con Kendrick Lamar • FOX • Roc Nation, DPS, Jesse Collins Entertainment e pgLang; Kendrick Lamar, Tony Russell, direttori musicali</li>
	<li>The Kennedy Center Honors • CBS • Done + Dusted in collaborazione con Rok Productions; Rickey Minor, direttore musicale</li>
	<li>The Oscars • ABC • Academy of Motion Picture Arts and Sciences; Michael Bearden, direttore musicale</li>
	<li>SNL50: The Anniversary Special • NBC • SNL Studios in collaborazione con Universal Television e Broadway Video; Lenny Pickett, Leon Pendarvis, Eli Brueggemann, direttori musicali</li>
	<li>SNL50: The Homecoming Concert • Peacock • SNL Studios in collaborazione con Universal Television e Broadway Video; James Poyser, direttore musicale, Ahmir “Questlove” Thompson, direttore musicale</li>
</ul>

Miglior composizione musicale per una serie (colonna sonora originale drammatica)

<ul>
	<li>Andor • “Who Are You?” • Disney+ • Lucasfilm Ltd.; Brandon Roberts, compositore</li>
	<li>Based on a True Story • “Relapse” • Peacock • UCP, Aggregate Films e Parasox; Sherri Chung, compositrice</li>
	<li>Cobra Kai • “Blood In Blood Out” • Netflix • Sony Pictures Television per Netflix; Leo Birenberg, Zach Robinson, compositori</li>
	<li>Severance • “Cold Harbor” • Apple TV+ • Fifth Season in collaborazione con Apple; Theodore Shapiro, compositore</li>
	<li>The Studio • “The Missing Reel” • Apple TV+ • Lionsgate Television in collaborazione con Apple; Antonio Sánchez, compositore</li>
	<li>The White Lotus • “Amor Fati” • HBO | Max • HBO in collaborazione con Rip Cord e MC Pictures; Cristobal Tapia de Veer, compositore</li>
</ul>

Miglior composizione musicale per una miniserie, serie antologica, film o speciale (colonna sonora originale drammatica)

<ul>
	<li>Black Mirror • “Hotel Reverie” • Netflix • Broke &amp; Bones per Netflix; Ariel Marx, compositore</li>
	<li>Black Mirror • “USS Callister: Into Infinity” • Netflix • Broke &amp; Bones per Netflix; Daniel Pemberton, compositore</li>
	<li>Dying For Sex • “It’s Not That Serious” • FX on Hulu • 20th Television; Ariel Marx, compositore</li>
	<li>Monsters: The Lyle and Erik Menendez Story • “Spree” • Netflix • Ryan Murphy Productions per Netflix; Thomas Newman, Julia Newman, compositori</li>
	<li>The Penguin • “After Hours” • HBO | Max • HBO in collaborazione con Acid and Tender Productions, 6th &amp; Idaho Motion Picture Company, Dylan Clark Productions, Chapel Place Productions, Zobot Projects, DC Studios e Warner Bros. Television; Mick Giacchino, compositore</li>
	<li>The Supremes at Earl’s All-You-Can-Eat • Hulu • Searchlight Pictures presenta una produzione Temple Hill; Kathryn Bostic, compositrice</li>
</ul>

Miglior composizione musicale per una serie o speciale documentario (colonna sonora originale drammatica)

<ul>
	<li>The Americas • “Andes” • NBC • BBC Studios Natural History Unit in collaborazione con Universal Television Alternative Studio; Hans Zimmer, Anže Rozman, Kara Talve, compositori</li>
	<li>Chef’s Table • “José Andrés” • Netflix • Boardwalk Pictures e David Gelb Planetarium per Netflix; Duncan Thum, David Bertok, compositori</li>
	<li>Leonardo Da Vinci • PBS • Florentine Films &amp; WETA; Caroline Shaw, compositrice</li>
	<li>Planet Earth: Asia • “Beneath the Waves” • BBC America • Una produzione BBC Studios Natural History Unit coprodotta con BBC America e ZDF per BBC; Jacob Shea, Laurentia Editha, compositori</li>
	<li>Super/Man: The Christopher Reeve Story • HBO | Max • DC Studios presenta in collaborazione con HBO Documentary Films e CNN Films, in collaborazione con Words+Pictures, una produzione Passion Pictures e Misfits Entertainment in collaborazione con Jenco Films; Ilan Eshkeri, compositore</li>
</ul>

Miglior canzone originale e testi

<ul>
	<li>Agatha All Along • “Circle Sewn With Fate” / “Unlock Thy Hidden Gate” / Titolo canzone: “The Ballad of the Witches’ Road” • Disney+ • Marvel Television; Kristen Anderson-Lopez, Robert Lopez, musica e testi</li>
	<li>Andor • “Who Are You?” / Titolo canzone: “We are the Ghor (Planetary Anthem)” • Disney+ • Lucasfilm Ltd.; Nicholas Britell, Tony Gilroy, musica e testi</li>
	<li>The Boys • “We’ll Keep the Red Flag Flying Here” / Titolo canzone: “Let’s Put the Christ Back in Christmas” • Prime Video • Amazon MGM Studios, Sony Pictures Television con Kripke Enterprises, Original Film e Point Grey Pictures; Christopher Lennertz, musica e testi</li>
	<li>SNL50: The Anniversary Special • Titolo canzone: “Adam Sandler’s Song: 50 Years” • NBC • SNL Studios in collaborazione con Universal Television e Broadway Video; Adam Sandler, Dan Bulla, musica e testi</li>
	<li>Will &amp; Harper • Titolo canzone: “Harper and Will Go West” • Netflix • Un documentario Netflix / Un film Wayfarer Studios / Una produzione Delirio Films / Una produzione Gloria Sanchez; Sean Douglas, Kristen Wiig, musica e testi; Josh Greenbaum, testi</li>
</ul>

Miglior tema musicale originale per titoli di testa

<ul>
	<li>Dept. Q • Netflix • Una serie Netflix / Una produzione Left Bank Pictures; Carlos Rafael Rivera, Scott Frank, compositori</li>
	<li>Dune: Prophecy • HBO | Max • HBO presenta una produzione Legendary Television in collaborazione con Flying Life Productions, Herbert Properties LLC e Wandering Jew Productions; Volker Bertelmann, compositore</li>
	<li>Lazarus • Adult Swim • Sola Entertainment e Studio MAPPA; Kamasi Washington, compositore</li>
	<li>The Residence • Netflix • Una serie originale Netflix in collaborazione con shondalandmedia; Mark Mothersbaugh, compositore</li>
	<li>The White Lotus • HBO | Max • HBO in collaborazione con Rip Cord e MC Pictures; Cristobal Tapia de Veer, compositore</li>
	<li>Your Friends &amp; Neighbors • Apple TV+ • Apple Studios / Tropper Ink; Dominic Lewis, Hamilton Leithauser, compositori</li>
</ul>

Miglior supervisione musicale

<ul>
	<li>Hacks • “I Love LA” • HBO | Max • Universal Television in collaborazione con Paulilu, First Thought Productions, Fremulon Productions, 3 Arts Entertainment; Matt Biffa, supervisore musicale</li>
	<li>The Last of Us • “The Price” • HBO | Max • HBO in collaborazione con Sony Pictures Television, PlayStation Productions, Word Games, The Mighty Mint e Naughty Dog; Evyen Klean, Ian Broucek, supervisori musicali</li>
	<li>The Righteous Gemstones • “You Hurled Me Into the Depths, Into the Very Heart of the Seas” • HBO | Max • HBO in collaborazione con Rough House Pictures; DeVoe Yates, Gabe Hilfer, supervisori musicali</li>
	<li>Severance • “Cold Harbor” • Apple TV+ • Fifth Season in collaborazione con Apple; George Drakoulias, supervisore musicale</li>
	<li>The Studio • “The Promotion” • Apple TV+ • Lionsgate Television in collaborazione con Apple; Gabe Hilfer, supervisore musicale</li>
	<li>The White Lotus • “Same Spirits, New Forms” • HBO | Max • HBO in collaborazione con Rip Cord e MC Pictures; Gabe Hilfer, supervisore musicale</li>
</ul>

Primetime Emmy 2025: ecco i candidati nelle categorie musicali 

Kendrick Lamar e Questlove competono per la miglior direzione musicale

Oltre 3,3 milioni di eventi (+16,15% YoY), 253,5 milioni di spettatori (+2,25% YoY)&nbsp;e una spesa superiore a 4 miliardi di euro (+1,94% YoY): lo spettacolo dal vivo sembra in ottima salute e parrebbe aver superato la flessione post-pandemia, a giudicare dai dati contenuti nel rapporto SIAE 2024 presentato stamattina.&nbsp;

Naturalmente è necessario filtrare e leggere i dati alla luce dei comparti: l'81% degli spettacoli in questione, infatti, è relativo al settore cinematografico, che però raccoglie&nbsp;solo il 29% del pubblico e il 13% della spesa (al contrario dello sport, ad esempio, che rappresenta il&nbsp;2% degli eventi, ma attrae il 15% degli spettatori e genera il 21% della spesa). La musica dal vivo, in tutto ciò, resta grande protagonista e traino dell'intero mercato: anche se i concerti sono solo il 2% del totale degli eventi censiti,&nbsp;coinvolgono 29 milioni di spettatori (11% del totale) e producono il 25% della spesa, primo settore in assoluto (dal computo di ques'anno sono però esclusi i cosiddetti "concertini", ovvero il settore denominato Intrattenimento Musicale).

Nello specifico, il pop-rock costituisce il 59% dell'offerta e&nbsp;raccoglie&nbsp;l’83% del pubblico, ma in particolare il&nbsp;jazz ha ottenuto un exploit particolarmente positivo&nbsp;(11% dell'offerta, ma +18,6% di spettatori rispetto all'anno scorso).&nbsp;I concerti hanno registrato 65.515 spettacoli (+6,3% rispetto al 2023), 29 milioni di spettatori (+2,9% YoY) e una spesa complessiva di 989,3 milioni di euro (+1,4% YoY). Cala leggermente la spesa media per spettatore (-1,5%), pari a 34,13 euro.

La Lombardia è in testa alla classifica per numero di concerti e spettatori, con 7.158 eventi (18%) e 824 spettatori medi per spettacolo. Segue per numero di eventi&nbsp;il Lazio, ma la regione è prima&nbsp;per spesa media per spettatore (50,14 euro) e per partecipazione media (855 spettatori a concerto).&nbsp;Il 2024 segna anche un importante decentramento dell’offerta musicale, con incrementi in regioni come Valle d’Aosta (+22% YoY) e Umbria (+13% YoY).

“I dati del 2024 restituiscono un’immagine complessa dello spettacolo dal vivo in Italia" commenta Matteo Fedeli, direttore generale SIAE. "Gli incrementi registrati nell’ultimo anno sono segnali positivi, ma ancora parziali. Ci troviamo davanti ad una fase di transizione, in cui il settore sta cercando nuovi equilibri, ridefinendo linguaggi, formati e abitudini. Ed è proprio nei momenti di trasformazione profonda che diventa essenziale leggere con lucidità i segnali deboli, senza forzare interpretazioni rassicuranti. In uno scenario sempre più articolato e competitivo, la tutela del diritto d’autore richiede strumenti all’altezza delle sfide. Per questo, SIAE ha avviato un percorso profondo di trasformazione, che mette al centro l’innovazione tecnologica come leva strategica, non come fine”.

“Da oltre centoquarant’anni, SIAE è impegnata nella tutela e promozione del diritto d’autore, a salvaguardia degli interessi dei creatori" chiosa&nbsp;Salvatore Nastasi, Presidente SIAE. "Nel 2024 celebriamo un anniversario importante: cento anni dalle prime rilevazioni sistematiche sullo spettacolo in Italia. Un secolo di dati che fotografano l’evoluzione del panorama culturale na- zionale, ma anche il ruolo della società nell’attività di documentazione, volta ad offrire informazioni di contesto ad uso di cittadini, operatori e decisori politici”.

&nbsp;

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Rapporto SIAE 2024: lo stato di salute dello spettacolo in Italia

I concerti fanno da traino all'economia e il jazz registra un boom di spettatori: tutti i dati

“Io volevo solo fare l’artista, non avere mille burnout / E chi pensava che ci vuole un terapista, pure per curare i soldout”, canta Riccardo Zanotti in "Burnout", canzone di&nbsp;“Hello world”, uscito a fine 2024. Nel frattempo la band ha fatto <a href="https://www.rockol.it/news-752482/pinguini-tattici-nucleari-concerto-milano-scaletta-recensione">un altro tour negli stadi</a>&nbsp;e la musica live&nbsp;è diventata&nbsp;un tema di discussione che va oltre gli addetti ai lavori: è&nbsp;stata Selvaggia Lucarelli a portare all'attenzione generale&nbsp;la questione,&nbsp;<a href="https://selvaggialucarelli.substack.com/p/vi-spiego-perche-i-pinguini-tattici" target="_blank">delegando poi la spiegazione del fenomeno dei Pinguini Tattici Nucleari&nbsp;al collega Michele Monina</a>. 
I&nbsp;PTN sono gli “underdog” del sistema italiano? Il loro tour del 2023 fu effettivamente una sorpresa per molti: inizialmente era previsto un solo San Siro, le richieste li portarono a fare&nbsp;11 date tra stadi e arene.&nbsp;Ma lo stesso non si può più dire oggi, anche se i loro numeri continuano ad attirare meno l’attenzione di quelli di altri colleghi. 
Non è solo una questione di numeri – ma di cifra (stilistica): questo ci spiega Riccardo Zanotti, con cui abbiamo fatto una lunga conversazione per farci raccontare come funzionano i PTN, , come si organizzano per prendere le loro scelte, come si relazionano con i colleghi: “Io penso che quella dei concerti non sia una guerra in cui si fa la gara al coriandolo più grosso”, dice r<a href="https://www.rockol.it/news-752569/cesare-cremonini-sansiro-concerto-scaletta-video-recensione">ispondendo a una battuta&nbsp;di Cesare Cremonini</a> – spiegando anche come mai hanno scelto di non fare più date, pur avendone la possibilità e la richiesta.

Partiamo dai numeri recenti dei Pinguini: 420 mila biglietti venduti, presenze multiple di singoli e album nelle classifiche di metà anno. Cosa è cambiato dal vostro tour del 2023 ad oggi e da “Fake News” a “Hello World”? 
In termini qualitativi, più vai avanti più è difficile: è la regola aurea in generale di qualsiasi musicista. Devi riscoprire le sonorità, i modi di arrangiare, le sequenze armoniche perché a un certo punto risultano un po’ stucchevoli: le hai già utilizzate, devi sempre trovare delle nuove formule ma allo stesso tempo senza perdere la tua cifra stilistica. Gli ascoltatori sono abituati a una cosa e devi giocare sempre a destabilizzarli ma anche sull’essere comprensibile e “relatable”.

In termini quantitativi, invece? 
Noi viviamo in una sorta di limbo che ci siamo autodisegnati attorno, un po’ come quello che nella pubblicità si disegnava la banca intorno a lui con un cerchio sulla terra. Abbiamo un confine entro il quale i numeri non entrano, ci sono solo le persone. Poi chiaramente sono importantissimi anche i numeri, ma poi sono come gli ospiti e come il pesce: dopo qualche giorno puzzano sempre. Si rivoltano contro di te. Cerchiamo di vivere in maniera tranquilla e pacifica senza pensare troppo alla quantità ma più pensando alla qualità.

Fare un secondo tour negli stadi vi ha messi in una condizione diversa di esperienza, progettazione e idee? 
All’apertura del secondo tour eravamo comunque lì a chiederci se aveva senso fare questa cosa, come sarebbe andata: la storia dei nostri stadi è ancora giovane, è fatta di due tour, non è quella di Vasco o Ligabue. Sei sempre un po’ insicuro. 
Però appena aperte le vendite abbiamo avuto già da subito il sentore che sarebbe andata bene. Ci siamo detti: potremmo fare altre date. Ma abbiamo preferito essere un po’ più conservativi. 
Bisogna anche stare attenti a non saturarsi e a non saturare: è un periodo in cui è finita la spinta del post-Covid, la gente ha ancora voglia di uscire a vedere dei concerti però seleziona con molta cura tra chi fa live di qualità. E ce ne sono in Italia, grazie al cielo: penso a Cremonini, penso a Ultimo, a Vasco ovviamente. Non abbiamo strafatto.

Qual è il processo decisionale e come vi organizzate, come band e come struttura rispetto a queste decisioni? 
Ci sono più nuclei, perché si parla sempre di un gruppo di noi sei, che siamo una parte del tutto. Poi c’è un team dietro. Il nostro manager Gianrico Cuppari che si occupa di numeri, cifre e prospetti. Con lui ci confrontiamo su queste parti e con il booking, che avendo a disposizione una mole di dati gigantesca, ha il sentore di quello che è il mercato. Cerchiamo di creare un clima molto rilassato e molto tranquillo in cui tutti possono dire la propria, dall’ultima persona che si è unita a noi quest’anno: secondo me questa cosa ci salva e ci preserva da un sacco di problematiche.

Avete lo stesso management dagli esordi, lavorate con Sony per la parte discografica da tempo. L’unico cambiamento recente è stato il passaggio con Magellano due anni fa per i concerti. Quanto conta creare una catena di fiducia? 
La fiducia secondo me non è per forza di cose la qualità universale. Attenzione, è fondamentale, ma prima ci vuole la bravura, che poi determina la fiducia. Poi certo nel nostro percorso ci sono stati dei casi in cui abbiamo sbagliato il giudizio, come nel percorso di tutti. Il primo stadio - all’inizio pensavamo ad un solo San Siro - e poi il conseguente tour: lì ci è voluto un bel coraggio, dovevamo trovare qualcuno che avesse fiducia in noi, una compagnia di persone che erano disposte a commettere in quel momento un qualcosa di molto fuori dagli schemi, e questo è stato Magellano. Negli ultimi due-tre anni si sono visti più concerti in questa dimensione, ma quando è uscita la notizia dei Pinguini negli stadi, tanti hanno anche storto il naso chiedendosi come fosse possibile.

Sul tema dei concerti avevi già scritto una canzone, “Burnout”. Cosa ne pensi, ora che se ne parla non più solo tra addetti ai lavori? 
Nel 2022 ho scritto “Non sono cool” che si chiudeva dicendo “Ma San Pietro non apre a un San Siro sold out”. Non è che i grandi numeri ti possono consentire poi di raggiungere un fantomatico paradiso dei musicisti… 
È facile dirlo quando i numeri sono dalla tua, ma bisogna avere anche il coraggio di dire delle banalità: ragazzi, queste cose contano fino a un certo punto. Lo dico soprattutto parlando ad altri artisti, perché poi al pubblico queste cose arrivano fino a un certo punto. 
Noi abbiamo uno studio qui a Milano sud e tutti i giorni andiamo in questo bar dove c’è un ragazzo che vuole fare il cantante ma sta lavorando lì per sostentarsi. Io l’ho fatto per anni, io so benissimo cosa vuol dire quella roba lì… Ecco, è soprattutto a lui che dico: fottetene un po’ di più di questi numeri di Spotify. Prima dei numeri è ancora più importante trovare la propria cifra.

Qual è la vostra cifra, allora? 
Quella canzone è un manifesto in cui dichiaravo che non stavamo cercando la coolness, non cercavamo l’ascolto facile, non volevamo far parte di una sottocultura come l’indie pop, ma seguivamo idee diverse, quelle di una band. Non penso che siamo mai stati visti come un progetto estremamente trasgressivo, ci siamo trovati la nostra strada…

Però poi i numeri si raccontano, eccome. Cesare Cremonini, presentando il suo tour, ha fatto una battuta indiretta su di voi dicendo che raccontare i numeri dei chili di coriandoli si può anche evitare… 
Con Cesare ci sentiamo, non c’è nessuna polemica, era più uno spunto che mi ha fatto ridere. Io sono super fan di queste battute fra artisti: è un po’ ironia, mette un po’ di pepe nel rapporto… 
È una persona che ha da insegnare tantissimo: ha raccontato il suo percorso ricordando che a un certo punto, a inizio 2000, non andava a vederlo nessuno, ma poi si è ritirato su. La cosa più assurda per me è che lo ha fatto anche con delle canzoni che appartengono a quel periodo: le aveva già prima che le orecchie della gente fossero pronte ad ascoltarle.

Non c’è competizione tra artisti, quindi? 
Io penso che quella dei concerti non sia una guerra in cui si fa la gara al coriandolo più grosso, ma debba essere un momento di gioia, di condivisione. Noi abbiamo un’idea diversa di quello che deve essere un concerto rispetto a Cremonini, rispetto anche a Vasco, rispetto a tanti altri che adesso hanno dei tour negli stadi.

In cosa è diversa la vostra idea&nbsp;di un concerto negli stadi? 
Guarda, per una ragione molto semplice ed intrinseca: siamo una band. Questi altri grandi artisti sono dei solisti: quando vai a vedere Cesare vuoi vedere Cesare, perché è un frontman, quel palco lo regge da solo. 
Io dico con grandissima tranquillità: noi da soli non lo reggeremmo il palco, siamo forti perché ci diamo manforte l’uno con l’altro. Le band sono una specie in via d’estinzione, Vasco è diversissimo da Cesare, così come Ligabue è diversissimo da loro due, e quindi ognuno ha la sua particolarità.

Tu da spettatore andavi ai concerti negli stadi o ai concerti molto grossi? Ti piacciono ancora? 
Sì, li vado a vedere, mi piacciono molto e io non so neanche dirti a quanti concerti sono andato nella mia vita perché ho perso totalmente il conto. A un certo punto tenevo i biglietti come talismano in una sorta di piccola cassettina e poi ho smesso perché non li conteneva più. 
Però mi piace tanto andare in posti piccoli. Mi piacciono quelli grossi, ma vado più spesso a concerti di band piccole o artisti piccoli, mi piace anche scoprire roba nuova. E lì magari oggi è più difficile perché ti fermano, ti chiedono le foto, talvolta può essere anche imbarazzante perché ti ritrovi in mezzo a una confusione grossa, non riesci a goderti lo spettacolo. Però devo dire che i miei localini in cui sono completamente inosservato ce li ho e ci vado molto spesso…

Tre anni fa tu, Gianrico&nbsp;Cuppari e Nina Selvini avete aperto Nigiri, con cui producete artisti ed artiste giovani: come sta andando questo progetto? 
Per me è divertentissimo ed è soprattutto giusto: un sacco di nuove tendenze, di nuovi suoni, di nuove influenze, le intercetto anche grazie a questa gente giovane: hanno 20 anni, io inizio ad averne 30 e quindi inizio di fatto ad essere escluso da certe tendenze. Banalmente perché non sono sempre aggiornato su tutto…

A livello creativo quindi è una fonte di ispirazione, ma a livello imprenditoriale funziona? 
Funziona nella misura in cui lavori su nuovi artisti senza avere dietro grandi budget. Non bisogna pensare che ci si guadagnino cifre spropositate, non è quello l’intento con cui lo facciamo. Poi se un giorno qualcuno avrà un enorme successo, glielo auguriamo e ci mancherebbe. Però anche solo riuscire a farne un mestiere è già un risultato. I Pinguini si auguravano quello fino al 2018, poi le cose sono andate via via sempre migliorando. Io penso che l’obiettivo massimo sia quello di vivere di musica.

Vi sentite ancora degli “underdog”? 
Dipende da cosa prendi in considerazione. Se consideri solo il presente, quello è sempre un po’ sfigato nella musica. Nella musica e nella discografia si guarda al passato, al catalogo, e al futuro, alle nuove tendenze. 
Noi nel presente abbiamo un posto in qualche modo importante. Ma per quanto riguarda il passato è troppo presto: abbiamo iniziato insieme nel 2010, ma di fatto questa formazione è arrivata nel 2013-14. Per il futuro bisogna stare a vedere: non abbiamo ancora dimostrato di essere delle persone che possono stare nella storia della musica italiana, ne siamo ancora molto lontani. 
Le canzoni devono sopravvivere ai decenni, non alle classifiche semestrali della FIMI, come hanno fatto quelle di artisti come Max Pezzali, Vasco e tutti quelli che ho citato prima. Il nostro obiettivo in questo momento è dimostrare di riuscire a restare in piedi: tutti hanno avuto alti e bassi.

Cosa succede ora ai Pinguini? 
Per le prossime mosse, non ci abbiamo ancora pensato. Sicuramente vogliamo fare qualcosa che sia un prossimo passo, un next step, qualcosa di diverso e c’è da studiarlo&nbsp;bene. 
Però c’è una parola che è entrata di prepotenza ultimamente nei nostri camerini, ed è “viaggio”. Quello fatto in Islanda ci ha portato bene: viaggiare insieme ci può dare tanto. Elio ora è in Madagascar: ogni tanto ti fermano, a volte degli italiani, e ti chiedono dove sono gli altri, come se dovessimo essere inscindibili l’uno dall’altro – cosa che ci fa sempre ridere. Però adesso vogliamo provare davvero a fare dei viaggi in giro per il mondo e vedere che cosa ci danno.

Pinguini Tattici Nucleari

PTN: “Più che pensare ai numeri serve trovare la propria cifra”

“I concerti non sono una gara al coriandolo più grosso": Zanotti racconta come funziona la band.

Il ​2025, a giudicare dai dati emersi nel primo semestre, promette di affermarsi come uno degli anni più rilevanti in termini di investimenti nel comparto music tech: sono infatti oltre 1,1 miliardi di dollari quelli affluiti in capitali raccolti e operazioni di M&amp;A nel periodo in questione.

Tra i segnali forti, si rileva come i fondi specializzati siano tornati sulla scena: tra i fondi settoriali specifici annunciati nella prima metà del 2025 si segnalano Black Lily Capital di Live Nation,&nbsp;<a href="https://musicbiz.rockol.it/news-751772/yamaha-un-fondo-da-50-milioni-di-dollari-per-le-startup">Yamaha Music Innovations</a> e Mindset MusicTech.

Scendendo nel dettaglio riguardante la direzione che questi nuovi investimenti stanno prendendo, come prevedibile l’intelligenza artificiale generativa applicata alla musica recita la parte del leone: finora ha attirato circa 300 milioni di dollari di finanziamenti grazie a diversi accordi di alto profilo che, per la maggior parte,&nbsp;si sono concentrati su gestione dei diritti e relativa attribuzione (è il caso di startup come Musical AI, Vermillio, BRIA AI) e collaborazioni di tipo B2B (come per Music AI e ElevenLabs). Se l’incertezza giuridica latente è un fatto noto, evidentemente gli investitori stanno puntando sulla possibilità che gli accordi tra aziende tecnologiche e industria musicale prevalgano sulle ipotesi di rottura.

M​a, come a certificare la bontà dell’interesse che l’industria mostra da un paio d’anni nei confronti del fenomeno-superfans, anche la categoria dell’engagement con i fans ha tenuto il passo dell’AI, grazie soprattutto all’investimento di 92 milioni di dollari che SM Entertainment ha varato in Dear U. Dunque, mentre l’intelligenza artificiale generativa inonda il web e il mercato di contenuti, comunità e engagement si candidano a diventare il fattore differenziante per artisti e brand.

Per quanto riguarda​ discografia e&nbsp;distribuzione, infine, anche in questa zona della filiera l’ondata di M&amp;A si è rivelata potente, grazie in gran parte a due grandi operazioni, ossia l’acquisizione di Stem da parte di Concord e <a href="https://musicbiz.rockol.it/ricerca?query=downtown">la discussa acquisizione (ancora in sospeso) di Downtown Music da parte di Virgin Music Group</a>. Sul versante più maturo e tradizionale del mercato, quindi, già si nota l’avvio di una fase di concentrazione, la stessa che in parte riguarda la già citata gestione dei diritti che, dopo aver dominato il panorama degli investimenti nel 2024, sta &nbsp;entrando in una nuova fase di aggregazione strategica come mostrano i casi riguardanti Epidemic Sound per Song Sleuth, Soundstripe per The Rights e Vobile per Pex.

Investimenti in music tech: sarà boom?

L’anno in corso ha registrato un semestre in forte crescita

"Minieroi della foresta", la serie animata di Movimenti Production dedicata ai bambini in età prescolare e trasmessa da Rai YoYo e in altri 15 paesi nel mondo, debutta anche a livello discografico con una serie da 13 canzoni originali. La nuova produzione, realizzata da Universal Music Italia, ha debuttato ieri sulle piattaforme di streaming con i primi tre brani e la sigla della serie.

“Siamo entusiasti di collaborare con Movimenti a un progetto come Minieroi della foresta, una serie che unisce intrattenimento di qualità a valori formativi come l’amicizia, il credere in sé stessi e il rispetto per la natura. Crediamo fortemente nel potere educativo della musica, soprattutto per le nuove generazioni, e questa partnership ci permette di contribuire con contenuti audio/video coinvolgenti e stimolanti pensati appositamente per i più piccoli”, ha dichiarato Eleonora Bianchi, Digital Services &amp; Consumption Director. “Attraverso questi brani, vogliamo accompagnare i bambini in un viaggio ricco di emozioni e insegnamenti, promuovendo allo stesso tempo creatività e ascolto attivo”.

Kids, 13 nuovi brani ispirati a "Minieroi della foresta"

Universal Music Italia e Movimenti Production lanciano una collezione di canzoni legate alla serie

Qualche giorno fa vi <a href="https://musicbiz.rockol.it/news-752984/live-il-record-di-marko-perkovi-thompson-a-zagabria">davamo notizia</a> del cambio ai vertici della classifica dei concerti a maggior affluenza di sempre: il Modena Park di Vasco Rossi del 2017 (oltre 225.000 biglietti venduti) era stato infatti spodestato da quello del croato Marko Perković Thompson a Zagabria (intorno ai 450.000 spettatori). Ora la classifica va di nuovo cambiata, e per via di una gradita new entry tutta italiana: quella di Ultimo.

L'annuncio arriva sui social dell'artista: con oltre 250.000 biglietti venduti nelle prime tre ore di prevendita, infatti, il suo mega-evento a Tor Vergata "La favola per sempre" (previsto per il 4 luglio 2026 e prodotto da Vivo Concerti in collaborazione con l'amministrazione di Roma Capitale) non solo è già sold-out, ma è anche entrato negli annali come il secondo concerto più partecipato di sempre, posizionandosi sul secondo gradino del podio&nbsp;tra quello di&nbsp;Perković Thompson e quello di Vasco. E' una enorme soddisfazione per un artista indipendente non ancora trentenne&nbsp;che ha già fatto 42 concerti in uno stadio, per un&nbsp;totale&nbsp;di oltre 1.750.000 di biglietti venduti in carriera.

Ultimo: venduti 250.000 biglietti per "La favola per sempre"

Ultimo supera il record del Modena Park di Vasco, ora è Marko Perković Thompson l'uomo da battere

Come precedentemente riferito, Spotify sta collaborando con un’indagine antitrust in Turchia ma, al contempo, secondo il Times starebbe anche valutando di lasciare il mercato del paese sul Bosforo. L’indagine in questione è stata avviata in seguito a critiche che alcuni ministri locali hanno rivolto a&nbsp;Spotify per playlist create dagli utenti che prendevano in giro la coppia presidenziale del paese, ed è sfociata in&nbsp;un’indagine antitrust lanciata contro il DSP da parte dell’autorità turca della concorrenza Rekabet Kurumu.

Dopo avere dichiarato nei giorni scorsi di “collaborare con l’indagine, di impegnarsi attivamente per comprenderla e di lavorare per una risoluzione rapida e costruttiva” con l’autorità, secondo l’autorevole quotidiano britannico Spotify ora prenderebbe in considerazione l’idea di annunciare o ventilare l'abbandono della Turchia: la minaccia vorrebbe preludere a una risoluzione rapida della controversia,&nbsp;considerando che il mercato della musica registrata in Turchia è in forte crescita e un ritiro sarebbe una cattiva notizia per l’economia locale, dopo che ricavi sono quasi raddoppiati nel 2024, arrivando a circa $ 88 milioni (con lo streaming che pesa più dell’86% del totale), spingendo il paese dal 32º al 27º posto nella classifica globale dell’IFPI.&nbsp;

Spotify - ma anche altri DSP - possono fare leva su una relativa posizione di forza anche grazie alla crescita della musica locale sulla sua piattaforma, sia a livello nazionale che internazionale, la cui quota di stream è passata dall’11% (2013)&nbsp;al 65% (2024), con 93 dei suoi 100 artisti più ascoltati dell’anno scorso che erano locali. Un beneficio apportato all’industria locale che si scontra, per l’appunto, con la preoccupazione per una crescente spinta verso la censura che arriva non solo dalle autorità, ma anche dagli utenti e dalle opinioni espresse da alcuni artisti turchi. L’organizzazione attivista IFOD ha recentemente additato il gruppo folk di sinistra Grup Yorum che, come conseguenza, si è visto bloccare l’accesso ai propri album su Spotify e Apple Music e a 450 dei suoi video su YouTube, su richiesta del governo turco pervenuta dopo la segnalazione dal basso. Il gruppo ha a sua volta invitato al boicottaggio di Spotify e YouTube, rendendo il proprio catalogo disponibile come download gratuito tramite un account Google Drive.

Spotify fuori dalla Turchia?

Il DSP valuterebbe di ritirarsi a causa della disputa sulla pressione censoria

I Velvet Sundown sono diventati un caso internazionale: allo stato attuale si tratta senz'altro della band generata dall'intelligenza artificiale (e quindi di fatto inesistente) più famosa del web. Finora la maggior parte delle piattaforme avevano tollerato la sua esistenza senza prendere particolari provvedimenti, ma è possibile che qualcosa stia cambiando: da stamattina, infatti, è scomparso dal profilo Spotify del gruppo il loro ultimo album pubblicato, "Paper Sun Rebellion II", mentre resta disponibile tutta la loro "discografia" (le virgolette sono d'obbligo) precedente.

Al momento Spotify non ha commentato questo takedown, e addirittura non è ancora chiaro se si tratti di un takedown vero e proprio (in alcuni territori, come quello USA, diversi blog riportano che l'intera discografia sarebbe scomparsa dal profilo artista della band e accessibile solo tramite ricerche dirette, così come quella di alcuni artisti ad esso correlati, come i Crimson Daydream, anche "loro" AI-generated). Ma senz'altro, nell'eterna disputa sull'intelligenza artificiale generativa,&nbsp;vale la pena segnalare il fatto in attesa di ulteriori sviluppi.

Spotify ha preso provvedimenti nel caso Velvet Sundown?

Da stamattina alcuni dei lavori della band AI-generated sembrerebbero scomparsi dal DSP

Tra i molti campi di indagine di Midia Research figura&nbsp;ora anche il songwriting: il prestigioso istituto di ricerca ha infatti raccolto le opinioni di un ampio campione di autori di canzoni da tutto il mondo (per un totale di quasi 800 intervistati). I risultati sono molto interessanti, e soprattutto dipingono uno scenario molto diverso rispetto a quello di anche solo qualche anno fa.&nbsp;

A colpire è soprattutto la diversificazione di fonti di guadagno, che non è necessariamente una scelta ma più che altro una necessità: almeno un autore&nbsp;su cinque ritiene che "affermare il proprio brand sui social" sia prioritario, così come l'utilizzo di piattaforme e marketplace per creators come Fiverr e SoundBetter. Colpisce anche la disaffezione nei confronti di fonti di guadagno più tradizionali (forse considerate ormai un retaggio del passato?): ben il 61% degli intervistati dichiara di non essere iscritto a una collecting specializzata in diritti fonomeccanici. Si può visionare il report nella sua interezza <a href="https://www.midiaresearch.com/reports/songwriter-survey-2025-reinvention">qui</a>.

Midia Research: nuovo report globale sui songwriter

L'istituto di ricerca mette sotto la lente di ingrandimento gli autori di canzoni

La strada per i Grammy Awards è lastricata di molte tappe e appuntamenti, e una di queste è l'invito a essere ospite presso il Grammy Museum di Los Angeles. E così, mentre&nbsp;come <a href="https://musicbiz.rockol.it/news-753107/la-recording-academy-da-il-benvenuto-a-3600-nuovi-membri">vi raccontavamo</a>&nbsp;gli italiani cominciano a ingrossare le fila della Recording Academy, uno degli italiani più in vista all'estero conquista anche questo grande onore: si tratta di Damiano David, che il 29 luglio sarà il protagonista di un evento speciale presso la prestigiosa istituzione.

La serata, nella cornice del Clive Davis Theater annesso al museo, è parte della rassegna "Spotlight", volta proprio a far conoscere gli artisti emergenti (quantomeno per il mercato statunitense) a pubblico e addetti ai lavori. Sarà preceduta da un approfondito talk nel quale Damiano parlerà del processo creativo che ha guidato la realizzazione del suo primo album solista "Funny Little Fears", e proseguirà quindi con una performance live. Tra gli altri ospiti della stessa rassegna figurano artisti del calibro di El Malilla, Jessie Reyez e Noah Cyrus.

Damiano David sarà ospite del Grammy Museum di Los Angeles

Nella programmazione di luglio figura una serata a lui dedicata, con un talk e uno showcase

<a href="http://musicbiz.rockol.it/tutto-su/nuovoimaie-453984">NUOVO IMAIE</a> propone una serie di incontri con protagonisti e protagoniste del panorama musicale italiano per parlare dei loro progetti, ma anche per approfondire le dinamiche che ruotano intorno all’essere Artista Interprete Esecutore.

Diplomata nel 1983 in pianoforte al Conservatorio Santa Cecilia di Roma, Maria Grazia Fontana ha, da anni, una visione privilegiata sul dietro le quinte del mondo dello spettacolo, specialmente per quanto riguarda il panorama canoro: tra le vocal coach più apprezzate dall’industria italiana dell’intrattenimento, Fontana ha collaborato non solo con grandissimi artisti - tra gli altri, Alex Baroni, Renato Zero, Umberto Tozzi, Luca Barbarossa e Giorgia - ma anche con le produzioni di programmi televisivi come Domenica In, Amici, Tale &amp; Quale Show e Lasciami cantare!, dove le performance vocali hanno un ruolo assolutamente centrale. Accompagnare gli artisti al successo, racconta, è un lavoro bellissimo e difficile, talvolta frustrante, ma sempre fonte di grandi soddisfazioni, quando ci si rende conto di aver fornito a un talento gli elementi necessari a sbocciare. Ma il talento, è bene tenerlo presente, è da dare tutto meno che scontato… 
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Come hai visto cambiare gli allievi da quando hai iniziato?

Molto, soprattutto a seconda dei messaggi che hanno recepito dal mainstream e dai mezzi di comunicazione. Oggi tutto pare essere semplice, a portata di mano. Poi, però, quando ci si accorge che le cose non sono sempre facili, soprattutto quando si parla di arte, dove i risultati sono figli di uno specifico percorso di maturazione, ecco arrivare i problemi… 
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Si è persa, quindi, la disponibilità alla fatica e al lavoro?

Sì. E, in genere, la cognizione dell’importanza dell’impegno è prerogativa di chi ce la fa, ma solo a posteriori. E parlo di una fatica fisica: penso a chi balla o a chi suona uno strumento, che deve fare pratica diverse ore al giorno, tutti i giorni. Ci sono cose che non si possono comprare al supermercato… 
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Credi che gli strumentisti abbiano una vocazione al sacrificio maggiore, rispetto ai cantanti?

Sono due tipi di sacrificio diversi. Il musicista instaura un rapporto simbiotico col proprio strumento, che passa anche dalla pratica. Chi canta non lavora solo sulla propria voce, ma anche su un piano più profondo, utile alla costruzione di un personaggio. E’ un impegno di tipo intellettuale, se possibile ancora più duro e logorante di quello esclusivamente musicale, perché impone di essere sempre alla ricerca di nuovi stimoli. Ricordo, per esempio, Lucio Dalla, col quale ho lavorato tanti anni: anche quando la sua carriera era ampiamente affermata, aveva sempre viva, in lui, una curiosità quasi infantile, che gli ha permesso di navigare i tanti mari che ha solcato col suo progetto personale. 
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Il fatto che oggi chi si affaccia sul panorama musicale sia tecnicamente più preparato rispetto ai debuttanti di venti o trent’anni fa è il segno di una perdita generale di quella naïveté che ha reso grandi artisti come Dalla?

Il messaggio che arriva a chi oggi sceglie la carriera da artista è che le tappe si possano bruciare. Poi, in un modo o nell’altro, in genere si capisce che non è questa la via. Per esempio, partecipare a un talent non è un punto di arrivo, ma un punto di partenza, perché una volta finito il programma bisogna essere all’altezza di lanciare un messaggio comprensibile a tutti. Perché, alla fine, la fenomenologia del fandom è sempre quella: mi piaci tu, mi piace quello che dici, quindi mi identifico in te e ti sostengo. 
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Pensi che i media abbiano una responsabilità nell’aver fatto arrivare ai giovani un’immagine distorta del percorso da fare per intraprendere una carriera da artisti?

No, non direi. Più che altro, mi riferisco a quella rete di persone che circonda gli artisti, quelli che promettono produzioni importanti a chi ha appena iniziato. E ai poteri forti dell’industria musicale, che blindano gli spazi imponendo a chi inizia dinamiche precise. Per dire: una volta un emergente andava a un talent, dimostrava di valere, e veniva messo sotto contratto. Oggi un ragazzo che magari non sa nemmeno cantare viene ingaggiato solo in virtù dei numeri che fa su social e piattaforme. Poi ovviamente ci sono le eccezioni, come - per esempio - Brunori: il suo successo all’ultimo Sanremo corona una carriera lunga, fatta di tanto lavoro e tanta gavetta. Ma il mainstream, come sempre, fa vedere solo l’aspetto più scintillante del successo, non gli anni passati a suonare nei piccoli locali… 
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Ma i nodi vengono sempre al pettine, giusto? L’esempio di Brunori lascia intuire che pubblico sia in grado di riconoscere e premiare l’impegno e la qualità…

Sì, anche se una parte di pubblico mi pare per certi versi anestetizzata dal mainstream. Che la platea sia in grado di riconoscere la qualità è vero, ma poi c’è il giudice supremo, il tempo, che determina successi e insuccessi. Perché per un artista il discorso non è solo raggiungere la fama, ma - soprattutto - mantenerla… 
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Pare un discorso più strutturale, che va oltre la sola industria musicale…

E’ così: è qualcosa che riguarda molto da vicino la società. Quando ho iniziato io, negli anni Settanta, era tutto molto più spontaneo. Io e Rita Marcotulli, pur avendo preso strade differenti, abbiamo avuto un sacco di opportunità: ma allora eravamo di meno. Oggi le donne che suonano il piano sono tantissime: magari non tutte eccellono in preparazione, ma tutte - probabilmente - si aspettano una collocazione come artiste. E questo è un problema. Il fatto è che abbiamo pochi idraulici e troppi musicisti, molti dei quali non abbastanza talentuosi per intraprendere la carriera artistica… 
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E’ come se, per il solo fatto di avere la passione per la musica, molti considerino il successo come un diritto…

Chi di noi il successo l’ha ottenuto ha sudato sangue per ottenerlo. L’arte non ti chiede niente, ti si dona sempre. Ma per raggiungere alti livelli esige di essere amata allo stesso modo. Essere artisti significa avere addosso gli sguardi di tutti, sempre. Quindi più di tanto non si può mentire: la mancanza di idee e di talento si può nascondere, ma fino a un certo punto. E’ una cosa che i ragazzi dovrebbero tenere molto ben presente, prima di credere che sia tutto facile. Faccio un esempio: facevo la vocal coach nella produzione di un musical, diretto da Luca Tommassini con Lorella Cuccarini come protagonista. Ricordo una data in Emilia, in un teatro sperduto, in pieno inverno, dove non funzionava il riscaldamento. Ho visto Lorella stare 15 ore al giorno con le scarpe di scena, con un tacco altissimo, senza mai lamentarsi di nulla… 
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Spesso hai parlato di ridare dignità al mestiere dell’artista…

Sì, e mi riferisco soprattutto ai giovani. Spesso vedo ragazze e ragazzi molto preparati, che studiano anni, impegnandosi anche economicamente e acquisendo bagagli formativi pazzeschi, finire nelle grinfie di “localari”, che li fanno esibire a batterie da 15 - 20 per serata senza né soundcheck né cachet. Buttati sul palco giusto per fare serata: è umiliante. Il fatto è che i giovani per farcela, ormai, accettano di tutto: per me è profondamente doloroso vedere il talento svilito in questo modo, perché - come docente - devo essere anche una motivatrice. Ma a tratti è frustrante… 
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In tema di diritti, NUOVO IMAIE ha fatto molto per formare gli artisti a inizio carriera…

Da questo punto di vista sono eccezionali: si sono messi in gioco con tante iniziative per raccontare ai ragazzi le dinamiche che regolano questo settore e i loro diritti, insegnandogli a tutelarsi… 
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Sempre in tema di emergenti, anche tu hai avviato una tua iniziativa…

Sì, si chiama <a href="https://www.instagram.com/genere.fluido/">Genere Fluido</a>. E’ un format live che per il momento teniamo una volta al mese in un locale qui, a Roma: la serata prevede l’esibizione di tre artisti già affermati, a livello sia locale che nazionale, preceduta da una sezione di open mic, durante la quale chi si iscrive può salire sul palco e cantare un proprio brano originale. Le cover sono severamente bandite. Nel corso della serata una pittrice dipinge tre quadri, ognuno abbinato al set degli artisti principali. A fine serata le opere vengono messe all’asta: del ricavato, la maggior parte va all’autrice dei quadri, il 15/20% all’artista al quale l’opera è stata abbinata e il 5% per coprire le spese di organizzazione. I proventi dagli ingressi - fissati a 6 euro - vanno agli artisti che si esibiscono. Io non faccio politica, ma la mia mission è quella: restituire dignità agli artisti. 
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A partire dal prossimo mese di settembre, Maria Grazia Fontana tornerà a essere occupata come vocal coach per la nuova stagione di “Tale &amp; Quale Show”. Sempre a settembre ripartiranno a Roma gli eventi di Genere Fluido, mentre a fine agosto riprenderà la residenza creativa di Fontana battezzata “Playing Memories”, che vede 15 giovani artisti selezionati dalle istituzioni coinvolte nel progetto per la realizzazione di una spettacolo della durata di 40 minuti che prevede esibizioni vocali e di danza: l’iniziativa è promossa dal St. Louis College of Music, dove la stessa Fontana fa parte del corpo docente.

Maria Grazia Fontana

Maria Grazia Fontana: ‘Restituire dignità agli artisti’

‘Oggi c’è chi crede che tutto sia facile, ma il successo non è un diritto. Anzi…’

Qualche giorno fa ​Spotify ha annunciato ufficialmente la restituzione di Pod.link al suo creatore originale, Nathan Gathright, riportando sotto il controllo indipendente uno degli strumenti più utilizzati per la distribuzione multi-piattaforma dei podcast. Si tratta tanto di un gesto simbolico quanto di un passaggio&nbsp;sostanziale nel mondo del podcasting.

Pod.link è stato lanciato nel 2018 con l’obiettivo di risolvere un problema semplice ma centrale per i creator: creare un unico link che indirizzi automaticamente l’ascoltatore verso la propria piattaforma di ascolto preferita — da Amazon a Pocket Casts, da Spotify ad Apple. Lo strumento è cresciuto organicamente fino a contare oltre 1,7 milioni di link attivi sul web e, dopo essere stato acquisito da Podsights nel 2021, era entrato nel portafoglio di Spotify nel 2022, quando quest’ultima aveva inglobato Podsights per potenziare la sua infrastruttura di analytics&nbsp;pubblicitari. Tuttavia l’evoluzione della propria strategia interna ha indotto Spotify a&nbsp;fare un passo indietro. In un comunicato ufficiale il DSP svedese ha dichiarato:

<blockquote>
“Spotify is committed to building great products that help creators succeed. As part of that focus, we’ve decided to return Pod.link to its founder. We’re working closely with Nathan to ensure a smooth transition and continued support for the millions of creators and listeners who rely on the platform.”
</blockquote>

La restituzione non impatta in alcun modo sui link esistenti, che continueranno a funzionare senza interruzioni. Al contrario, potrebbe aprire una nuova fase di sviluppo per lo strumento, ora nuovamente nelle mani del suo ideatore. Nel contesto sempre più affollato di strumenti per la promozione e la distribuzione dei podcast, Pod.link si distingue per la sua semplicità, affidabilità e natura gratuita. È proposto come lo strumento ideale per creator indipendenti e piccoli progetti editoriali, senza l’obbligo di dover affrontare costi di abbonamento o complessità tecniche. La concorrenza che fronteggia è ormai &nbsp;ampia e, in diversi casi, punta a soddisfare esigenze più avanzate e a target che richiedono anche strumenti di statistica e analisi — è il caso di Podfollow, di Linkfire (nato in ambito musicale) e di SmartLink by Chartable. Più affine a Pod.link, invece, è Episodes.fm, che si concentra su link brevi e ha funzionalità ridotte al minimo.

In un’epoca di ecosistemi chiusi attorno ai propri strumenti proprietari, la scelta di Spotify di restituire Pod.link al suo sviluppatore originale è in controtendenza. Per Nathan Gathright è l’occasione per riportare lo strumento alle sue radici: uno strumento semplice, utile e indipendente al servizio della comunità dei podcaster.

Nel medio termine, la mossa lascia intendere che Spotify concentrerà i suoi sforzi su prodotti interni e soluzioni integrate, mentre Pod.link potrà evolvere secondo logiche più agili e aperte. Un equilibrio che potrebbe giovare a tutto l’ecosistema, mantenendo in vita uno degli strumenti più amati dai professionisti dell’audio.

Spotify restituisce Pod.link al suo creatore

Il tool che torna indipendente è anche un messaggio per l’ecosistema podcast

Parecchi​e società musicali quotate in borsa sono riuscite a sfuggire ai danni causati ai mercati da marzo in poi, quando l’amministrazione Trump ha annunciato e introdotto una quantità di dazi diretti nelle direzioni più svariate. Mentre l’S&amp;P 500 e il Nasdaq sono cresciuti rispettivamente del 4,4% e del 3,8%, la performance dei maggiori operatori musicali si è dimostrata di gran lunga migliore.

In <a href="https://musicbiz.rockol.it/news-751130/i-dazi-e-l-industria-musicale">questo articolo</a>&nbsp;avevamo ipotizzato varie gradazioni di impatto, a seconda del comparto di appartenenza delle aziende; e, in effetti, dall’esame delle performance dei primi sei mesi del 2025 delle maggiori public music companies, si riscontra come dato più eclatante quello riguardante tre giganti dello streaming: la svedese Spotify e i leader cinesi&nbsp;Tencent Music Entertainment e NetEase Cloud Music.

Quello di quest’ultima ​è stato il titolo con la migliore performance a metà anno, con un aumento del 114,8% e una quotazione giunta fino a 241,00 HKD (circa $ 30,7), mentre Tencent Music Entertainment (TME) è cresciuta del 75% fino a 19,51 dollari. &nbsp;Dopo il giro di vite del 2021, caratterizzato da molte sanzioni, le autorità cinesi hanno rivisto leggi e regolamenti, offrendo maggiore chiarezza a imprese e investitori: così entrambe le aziende hanno beneficiato di un contesto più favorevole per le società tecnologiche in casa propria, battendo nettamente l'indice SSE Composite della Cina, aumentato del 7,35%.&nbsp;

Spotify è cresciuta a sua volta del 64,4%, fino a $755,95 , aumentando la propria capitalizzazione di mercato di 61,5 miliardi di dollari nel semestre. Nel raffronto con TME il DSP europeo stravince il confronto per numero di abbonati (268 contro 122,9 milioni); ma mentre Tencent cresce perchè conta anche su una diversificazione delle linee di ricavo e su partecipazioni rilevanti, Spotify prolifera nei conti dall’inizio del 2024, quando ha cominciato ad incrementare il proprio margine lordo, salito al 31,6% (+400% anno su anno) in concomitanza con i licenziamenti che dall’anno prima avevano interessato circa un quarto del personale.

Non è tutto oro ciò che stremma, si potrebbe tuttavia affermare, e le dimensioni e le economie di scala sembrano fare una gran differenza: Deezer è infatti calata del 5,3%, mentre per Anghami si parla di crollo (-37%).

Tra le etichette discografiche occidentali, solo UMG è cresciuta (+14,9%), mentre Warner Music Group ha perso il 12,2%. Si deve rilevare anche la crescita di valore di Believe che, però, è attribuibile a un’offerta di acquisto: il prezzo delle azioni è salito del 25,5% il consorzio guidato dal suo CEO ha aumentato da € 15,30&nbsp;a € 17,20 per azione la sua offerta.&nbsp;

Infine, con una domanda per concerti e festival ancora sostenuta, spicca il gigante del ticketing tedesco CTS Eventim, che con un +&nbsp;25,6% ha distanziato Live Nation (+16,8%) nel settore live.

Lontano dai dazi: e i DSP volano in borsa

Sono diversi i titoli musicali che battono gli indici nel primo semestre dell’anno

Era stata approvata lo scorso ottobre dalla Federal Trade Commission, ma a quanto pare la tanto attesa norma soprannominata "Click-to-Cancel" si farà ancora attendere prima di entrare in vigore. Si tratta di un regolamento che rende obbligatorio per i fornitori di servizi digitali (come ad esempio i DSP o le piattaforme di streaming video) fornire indicazioni chiare e trasparenti su come disiscriversi: se per abbonarsi basta un clic, infatti, molto spesso cancellare l'abbonamento diventa una via di mezzo tra una&nbsp;corsa a ostacoli e una caccia al tesoro, cosa fortemente contestata dalle associazioni dei consumatori.&nbsp;

Purtroppo, però, quello che doveva essere un semplice cambiamento di policy in nome del buonsenso si è scontrato con la burocrazia: la corte d'appello americana ha infatti respinto al mittente la nuova regolamentazione per errori procedurali. Era infatti stata presentata un'analisi che quantificava in oltre 100 milioni di dollari le perdite economiche ai danni dei consumatori: "Anche se questa corte non approva certo questo tipo di pratica, è necessario integrare i dati in modo da validarli" recita una nota del tribunale. Nell'attesa la normativa "Click-to-Cancel", che doveva entrare in vigore proprio oggi, è rimandata a data da destinarsi.

Un tribunale USA stoppa la norma "Click-to-Cancel"

Era stata studiata per rendere più facile la cancellazione di abbonamenti a servizi digitali

La nozione della quota di mercato come principale KPI (key performance indicator) per una major è cosa nota. In queste settimane, all’interno di un periodo in cui l’economia musicale sta rivivendo più intensamente l’antica contrapposizione tra grandi gruppi e indipendenti, <a href="https://musicbiz.rockol.it/ricerca?query=downtown">la vicenda UMG-Downtown</a> riporta il tema della market share sotto i riflettori: quanto più è elevata all’interno di un mercato di riferimento, tanto più attentamente l’acquirente viene monitorato dall’antitrust e tanto minori sono le possibilità di approvazione dell’operazione, al netto del rumore di fondo generato dalle opinioni contrapposte.

Ma, uscendo dalla cronaca e entrando nella prassi, può avere senso chiedersi perché la quota di mercato è un parametro significativo. E anche: perché il secondo parametro significativo, per una major musicale, è l’EBITDA. E, infine: quali sono i loro effettivi riflessi numerici.

Una quota di mercato dell’1% per l’industria globale della musica registrata ha un valore annuale di circa $ 296 milioni (l’1% dell’intero mercato che, secondo i dati IFPI, nel 2024 era di $ 29,6 miliardi). Per analogia, l’1% sul mercato italiano vale € 4,6 milioni (il totale essendo, in base ai dati FIMI, di circa € 461 milioni). L’aritmetica, quindi, fornisce subito una sensazione pratica di come conquistare o perdere una frazione di quota di mercato in un anno possa determinare certi destini aziendali.

Se la quota di mercato, in senso relativo, esprime il valore della produzione (i ricavi, visti come quota parte dei ricavi del mercato intero), l’EBITDA (Earnings Before Interest, Taxes, Depreciation, and Amortization) esprime il margine operativo, fornisce l’indicazione chiave di come il business ordinario sta remunerando l’attività aziendale. Nell’industria della musica registrata, in ambito major, per consuetudine questo margine è individuabile all’interno della forbice 20%-25% (nel 2023, a livello globale: UMG: 21.5% ca., WMG: 23% ca.). Quindi, se lo colleghiamo a una quota di mercato dell’1%, l’EBITDA in questione si posiziona tra i $ 59 e 74 milioni a livello mondo e tra i € 920.000 e € 1.150.000 in Italia. Che significa, in pratica? Diverse cose, soprattutto due.

In un contesto di acquisizioni (quello che, in qualche modo, è un tema sottostante a questo articolo), è in grado di offrire una misura del valore dell’azienda: applicare a un EBITDA annuale di $ 60–70 milioni un multiplo di 15x–18x, significa attribuire all’azienda un valore che si posiziona nella forchetta $1–1.2 miliardi.

In secondo luogo, l’EBITDA gioca un ruolo cruciale nel determinare i budget di marketing perché è un KPI che fa luce sulla profittabilità operativa e sulla capacità di generare liquidità di un’azienda. Per le label è, al contempo, un abilitatore e un limite per le cosiddette spese discrezionali – che, nello specifico, includono marketing, A&amp;R e acquisizioni di cataloghi. Azionisti e case madri monitorano da vicino l’EBITDA per valutare la prestazione e fissare i budget annuali.

Scendendo lungo questo metaforico funnel, ci si imbatte nella correlazione tra EBITDA e marketing. Il marketing, nel bilancio, è un centro di costo e contribuisce in maniera diretta alla riduzione dell’EBITDA nel breve periodo. Ecco che, di conseguenza, le etichette si trovano a ricercare il bilanciamento tra le spese anticipate di marketing varate per spingere al successo le pubblicazioni da un lato e la protezione del margine dall’altro – questo è un mandato ‘corporate’ molto stringente, anche perché influenza sia il corso delle azioni che i bonus dei dirigenti.

Quota di mercato e EBITDA creano, pertanto, una tensione costante che è riassumibile dal dilemma: investo ora in modo aggressivo sugli artisti o preservo il margine?

Questa tensione costante è un problema irrisolto e diventa, in questa industria, un compagno di viaggio con cui si convive; e, per conviverci, le label operano con un modello di portfolio. Dato che la predizione di un successo è cosa molto aleatoria, le label distribuiscono le spese di marketing su un portfolio di artisti secondo una logica che prevede, a spanne, che i 20 artisti top finanzino circa l’80% dell’EBITDA aziendale. Ne consegue che se un artista o un’uscita non proiettano un ROI (Return On Investment) robusto, il budget di marketing viene tagliato. L’EBITDA per artista/progetto diventa, dunque, una cornice al cui interno misurare il ROI sul marketing.

Ne consegue che in anni di EBITDA elevato è prevedibile notare maggiore aggressività nella firma di nuovi artisti, rilevare maggiore disponibilità a scommettere sugli emergenti, più disinvoltura nell’approvare spese in marketing e sync e una propensione superiore sia all’acquisizione di cataloghi che a operazioni di M&amp;A; per converso, se l’EBITDA è sotto pressione in una fase recessiva o in un ciclo negativo per la label, i budget di marketing vengono tagliati, i progetti rimandati, i licenziamenti diventano un’opzione e gli artisti considerati più ‘rischiosi’ scivolano in basso nelle priorità di investimento.

Le etichette calcolano il ROI sul marketing in un contesto caratterizzato dall’EBITDA. Assumendo che si spendano €200K per promuovere un album e che il modello preveda ricavi per €600K nei successivi 18 mesi con un EBITDA del 25% (che, in questo esempio, corrisponde a €150K), nell’anno si registrerebbe un impatto negativo (€150K – €200K = - €50K). Ma nel più lungo termine? Questa domanda spinge a spostare l’ottica dalla frontline al catalogo. Immaginiamo che la label voglia resuscitare un titolo vecchio 20 anni, magari investendo € 100k in un misto di azioni: la sync di un documentario, un revival su TikTok, un ‘edizione rimasterizzata e una nuova edizione su vinile accompagnate da promozioni a pagamento e playlist sui DSP. Ebbene, nel caso del catalogo le regole del gioco cambiano sia sul fronte della spesa (che può essere minore, perché l’asset esiste ed è già ampiamente ammortizzato) che sul fronte dell’EBITDA atteso (che può salire tra il 35% e il 50% per analoghe ragioni). In questo caso si registrerebbe un impatto positivo per € 40k-100k (-100k investiti + 140k/200k ricavati). In una logica EBITDA, il marketing sui cataloghi è molto promettente perché non ci sono costi di produzione, anticipi o supporti per il tour, perchè la domanda per il prodotto (che è una IP consolidata) è molto più prevedibile, perché le curve di ricavo sono note e anche sforzi modesti posso attivare vendite che durino per mesi o anni.

Quota di mercato, EBITDA, marketing, ROI, frontline e catalogo. Non si scherza nemmeno sullo 0,1%.

Il peso delle quote di mercato nella musica registrata

M​arket share ed EBITDA: cosa sono, come funzionano, e come determinano le strategie delle label

A partire dal 15 luglio 2025, YouTube introdurrà un aggiornamento significativo alla sua policy di monetizzazione, con l’obiettivo di contrastare la diffusione di contenuti generati in serie e ripetitivi, spesso associati all’uso di intelligenza artificiale. Il cambiamento coinvolge direttamente il programma YouTube Partner Program&nbsp;(YPP), fonte di reddito per molti creator. Il focus è sui cosiddetti ‘mass-produced and repetitious content’. Di cosa si tratta?

Per mass-produced content&nbsp;si intendono quei video creati automaticamente o in grandi quantità con strumenti standardizzati, come slideshow generati da software, narrazioni AI text-to-speech o template ripetuti con minime variazioni. Per repetitious content&nbsp;si intendono video quasi identici caricati ripetutamente, come reaction&nbsp;o clip duplicati, con lievi modifiche nei titoli, miniature o effetti visivi.

La nuova policy di YouTube prevede che questi tipi di contenuti verranno penalizzati e potrebbero essere esclusi dalla monetizzazione: si tratta di una posizione assunta in un contesto di crescente preoccupazione per la proliferazione di video generati da intelligenza artificiale che saturano la piattaforma, contenuti spesso privi di valore aggiunto - l’esplosione di strumenti di generazione automatica accresce la probabilità che sempre più contenuti si rivelino poco originali, di bassa qualità o ingannevoli.

L’obiettivo di YouTube&nbsp;è garantire che il programma di monetizzazione premi contenuti autentici, creativi e trasformativi, scoraggiando pratiche automatizzate che minano la qualità dell’ecosistema. La piattaforma video di Alphabet, quindi, continuerà a monetizzare contenuti che, pur usando elementi ripetuti (intro, outro, format ricorrenti), presentano ogni volta elementi originali e significativi. Saranno pertanto ancora ammessi:

<ul>
	<li>
	Video educativi con valore informativo unico
	</li>
	<li>
	Contenuti commentati o trasformativi
	</li>
	<li>
	Produzioni che impiegano l'AI come strumento, ma con un apporto creativo umano evidente.
	</li>
</ul>

I canali che si affidano a contenuti automatizzati o ripetitivi rischiano, quindi, la revoca della monetizzazione e l’esclusione dal programma YPP a causa di un controllo che si annuncia molto più rigoroso. Esultano, per contro, i creator professionisti, che da tempo chiedono maggiore chiarezza e giustizia nel sistema di monetizzazione. Allo stesso tempo, preoccupa alcuni piccoli creator che temono interpretazioni troppo estensive o arbitrarie della nuova policy.

Secondo le dichiarazioni ufficiali, l’uso dell’intelligenza artificiale non è vietato in sé, ma deve essere integrato in contenuti originali, autentici e con un valore percepibile per l’utente.