Durante l’audizione alla Camera davanti alle Commissioni di Trasporti, Poste e Telecomunicazioni e Cultura, Scienza e Istruzione si sono confrontate due posizioni apparentemente inconciliabili, che solo l’incontro del prossimo 6 aprile al Ministero delle Cultura potrà tentare di avvicinare. Da una parte Meta - rappresentata dal proprio responsabile Affari Istituzionali Angelo Mazzetti - che accusava SIAE di aver quadruplicato il costo della licenza, rifiutandosi di “accettare qualsiasi offerta inferiore ad un aumento del +310%”. Dall’altra la Società Italiana degli Autori ed Editori che accusava la big tech di Menlo Park di “falsità”, precisando come “la nuova licenza non è comparabile a quella siglata nel 2020 e qualsiasi raffronto in percentuali è pretestuoso”. Chi diceva la verità? Probabilmente entrambi. La Direttiva Europea Copyright SIAE avrà senz’altro presentato un’offerta pesantemente ritoccata al rialzo. L’accordo precedente era stato siglato nel 2020, un anno prima che Roma recepisse la direttiva copyright varata dal parlamento europeo nel 2019. Come già osservato da FIMI a qualche ora dall'apertura della crisi, il testo impone “ai prestatori di servizi di condivisione di contenuti online” di ottenere una licenza preventiva, concordata tramite “un accordo equo” che preveda - in linea coi principi sanciti dalla direttiva - “le informazioni e i metadati necessari a definire il perimetro di rappresentatività” al fine di “valutare il peso di un repertorio” e - di conseguenza - consentirne la ripartizione. La domanda è: Meta ha fornito i dati a SIAE per compiere le valutazioni del caso? E se non li ha forniti, è perché non ha voluto o non ha potuto? Il caso YouTube SIAE, dopo il recepimento della direttiva copyright UE, ha chiuso accordi di licenza con Spotify e - ancora più recentemente - con YouTube. Non sappiamo come siano andate e quanto siano durate le trattative, ma è ragionevole credere che la messe di dati relativa all’utilizzo del catalogo SIAE sia stata posta a disposizione, in una qualche forma, in sede di negoziazione. Anche perché - per come funzionano sia Spotify che YouTube, e per il tipo di rapporti che hanno con i propri utenti - il monitoraggio dei contenuti è un aspetto fondamentale. In questi giorni, per dire, dal quartier generale di San Mateo Lyor Cohen, il numero uno della piattaforma controllata da Google per ciò che riguarda gli affari musicali, ha annunciato nuove analytics per gli short video. Questo perché per i creator, per gli autori e per gli artisti è importante sapere come “funziona”, presso il pubblico, il proprio repertorio. Per i DSP è normale, anzi scontato. Per una piattaforma social, come Facebook o Instagram, magari meno. Concludendo: se le trattative di SIAE con Spotify e YouTube sono state condotte con i dati delle controparti alla mano, quella con Meta è stata condotta secondo le stesse modalità? L’Italia e l’Europa Una delle eventualità che il nuovo dg di SIAE Matteo Fedeli aveva prospettato alla fine dello scorso anno era che le collecting europee si alleassero facendo massa critica per negoziare con le grandi piattaforme internazionali da una posizione di forza. Quanto successo negli ultimi giorni ci lascia intuire che nulla di tutto ciò sia successo. Se, come sostenuto dallo stesso presidente di SIAE Salvatore Nastasi in sede di audizione alla Camera, il negoziato tra viale della Letteratura e Menlo Park rappresenta un “caso pilota” per le collecting del Vecchio Continente, si capisce quanto alta sia la posta in gioco. Un cedimento o una resa, da ambo le parti, rappresenterebbe un precedente pericoloso in grado di condizionare non solo il rapporto tra le società di intermediazione e le piattaforme social - più che Instagram o Facebook, TikTok, molto rilevante per la filiera musicale (e le partnership siglate sono lì a dimostrarlo) ma la cui posizione, oggi come oggi, è già parecchio complicata di per sé - ma l’intero equilibrio tra collecting ed ecosistema digitale, provocando un terremoto che nessuno, a oggi, può permettersi di affrontare. Come sovente avviene in casi di conflitti frontali, l’unica soluzione possibile pare quella che permetta ad ambo le parti di uscirne a testa alta. Perché, in questo caso, la questione non è solo di soldi, ma (soprattutto) di principio. Di una collecting, da una parte, che non vuole “svendere” il proprio repertorio. E di una big tech, dall’altra, che dal punto di vista commerciale non può mostrarsi debole. Nel frattempo… La quasi totalità della filiera creativa musicale si è schierata al fianco di SIAE. Se gli editori, comprensibilmente, non hanno avuto dubbi nel sostenere la collecting, meno scontato - ma altrettanto rilevante - è stato l’appoggio del comparto discografico, che, seppur comprensibilmente preoccupato, ha compattato major e indies, portando FIMI a parlare - in una nota ufficiale - di “ritorsione” da parte di Meta nei confronti della collecting. C’è però chi dissente. Emergenti e unsigned rimproverano a SIAE di averli privati di un importante canale promozionale gratuito, minando una delle basi della creator economy. In questa vicenda, in effetti, sono proprio gli indipendenti - specialmente quelli, per scelta o necessità, che operano seguendo i dettami del do it yourself - a occupare, oggettivamente, la posizione più scomoda. SIAE sa bene che i giovani artisti hanno nel digital (più precisamente, nei DSP) mediamente il 70 - 80% delle proprie entrate, e che - le parole sono sempre quelle con le quali Matteo Fedeli è intervenuto nel nostro Libro Bianco - “avviare una guerra sul fronte digitale equivarrebbe a un vero e proprio suicidio commerciale, perché il rapporto tra le parti - creator e piattaforme - è simbiotico”. Ma, come si è detto sopra, gli orizzonti qui sono decisamente più ampi, sia in termini geografici che temporali, della promozione di un singolo o un disco. Perché è vero che silenziare stories e reel oggi vuol dire togliere una grande fetta di visibilità agli artisti, ma è altrettanto vero - e a sostenerlo è stato un artista - che “quelli che 'SIAE sta danneggiando la musica italiana non accettando l’offerta di Meta' sono gli stessi che estinguono i mutui facendosi pagare in visibilità. Di piccolo taglio, peraltro”.