La diatriba tra la National Music Publishers' Association (NMPA), l’associazione di editori musicali americani, e la piattaforma di streaming Spotify continua. Lo scorso 15 maggio la NMPA ha reso nota una lettera indirizzata al dsp, sottolineando il fatto che Spotify non fosse fornito di alcuna licenza per l’uso dei testi, i video musicali e i podcast. A questa lettera, la società di Daniel Ek ha risposto con una nota stampa, in cui è stato riportato che “la diffida di Spotify non è che uno stunt mediatico pieno di affermazioni false e fuorvianti. E’ un tentativo di sfilarsi dall’accordo Phono IV, che l’NMPA ha accettato - e celebrato - nel 2022”. La National Music Publishers' Association (NMPA) prosegue con la sua battaglia e stavolta, nella persona del presidente David Israelite, ha chiesto al Congresso - per l'esattezza al presidente Durbin, Membro di rango Graham, presidente Jordan e Membro di rango Nadler - di consentire agli editori musicali di negoziare direttamente con le piattaforme di streaming come Spotify, pur mantenendo l'MLC a gestire le tariffe legali esistenti. Israelite ha chiaramente indicato come motivazione della proposta i subdoli espedienti di Spotify in materia di bundling. Nella lettera presentata dalla NMPA viene riportato il lavoro svolto dal Music Modernization Act (MMA), che ha apportato importanti benefici ai cantautori, agli editori musicali e ai fornitori di servizi digitali, ed evidenziato la necessità di aggiornare la vecchia licenza obbligatoria. Il documento continua mettendo in evidenza l’operato della piattaforma svedese: “Il continuo abuso del sistema legale da parte dei servizi digitali, da ultimo Spotify, ha reso evidente la necessità di un ulteriore intervento da parte del Congresso… In questi procedimenti, gli editori musicali e gli autori di canzoni devono confrontarsi con alcune delle più grandi aziende tecnologiche del mondo: Spotify, Apple, Amazon, Google e altre, per stabilire le tariffe per l'utilizzo delle opere musicali…A marzo, Spotify ha iniziato a manipolare le regole sulle licenze obbligatorie e ha riclassificato il suo servizio musicale premium in abbonamento, insieme a quasi 50 milioni di abbonati, in quello che chiama “bundle”. Il vantaggio di questa azione è che, in base ai tassi di royalty obbligatori, i bundle attribuiscono meno entrate - e quindi pagano meno royalty - alla musica rispetto a un servizio musicale in abbonamento premium”. Sintetizzando il contenuto della lettera, quindi, le aziende come Spotify stanno sfruttando queste regole per pagare meno royalties ai creatori di musica e una possibile soluzione è quella di permettere ai detentori dei diritti di scegliere tra rimanere nel sistema attuale con tariffe fissate per legge o operare in un mercato libero. “Questo - conclude la NMPA - darebbe ai cantautori e agli editori musicali maggiore potere negoziale contro le grandi aziende tecnologiche, garantendo equità nel mercato della musica digitale”.