L’ultima edizione del Primavera Sound, conclusasi a Barcellona la scorsa domenica, 8 giugno, al Parc del Fòrum di Barcellona, ha attirato complessivamente circa 300mila spettatori, generando ricadute economiche sulla città di Barcellona per oltre 300 milioni di euro: a comunicarlo, in occasione della conferenza stampa finale del festival, è stato il co-direttore della manifestazione, Alfonso Lanza. "Quest'anno è stato quasi perfetto", ha dichiarato Lanza: "Siamo molto contenti e dalla prossima settimana inizieremo già a pensare a come migliorarlo ulteriormente".

Secondo le stime comunicate da Marta Pallares il 65% del pubblico è stato rappresentato da stranieri, provenienti da 136 ma con netta prevalenza di Regno Unito e Stati Uniti.

Riguardo al cast che protagonista dei 311 show - 224 al Parc del Fòrum, al quale hanno assistito 71mila persona a serata, e i rimanenti distribuiti in tutta l’area urbana nel contesto della manifestazione collaterale Primavera a la Ciutat, che ha richiamato 20mila (ai quali si devono aggiungere il 30mila per la serata gratuita inaugurale) - il 40% era rappresentato da artisti uomini, il 40% da artiste donne e il 20% di artisti non binari. L'età media dei partecipanti è stata di 29 anni.

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Primavera Sound, l’edizione 2025 è da record

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Sold-out con cinque mesi d’anticipo e 71mila presenze giornaliere nei giorni del festival

Il training di modelli di intelligenza artificiale attraverso cataloghi musicali protetti da copyright rappresenta una sfida giuridica inedita. Le licenze esistenti – sincronizzazione, riproduzione meccanica, performance pubblica, ecc. – non contemplano lo scenario in cui un brano venga “ingerito” da un modello generativo per contribuire, indirettamente, alla produzione di contenuti nuovi. Territorio inesplorato, o quasi.

Inoltre, il primo fronte che UMG, Sony Music e WMG hanno aperto con Suno e&nbsp;Udio sa di esplorazione, ma sopporta anche l’onere di creare un precedente, di identificare una sorta di punto di non ritorno al quale il resto dell’industria potrebbe ritrovarsi costretta ad adeguarsi. Quel poco che è certo al momento è che, di fronte all’assenza di un framework normativo chiaro e condiviso, è necessario immaginare – e in certi casi negoziare – nuovi tipi di licenza. Ed è anche chiaro che qualsiasi modello di licenza per AI training dovrà affrontare una serie di nodi cruciali. Ad oggi quelli che più hanno infiammato il dibattito riguardano la trasparenza (è tracciabile l’uso effettivo dell’opera?), il controllo (il copyright holder può revocare o limitare la licenza?) e i diritti morali (come si tutela l’identità e la reputazione artistica?). Ma aggiungerei anche aspetti pratici come i contenuti (la licenza riguarda audio, testo, metadata?), lo scopo (il training è destinato a uso commerciale? Inoltre: include solo il modello base o anche i fine-tuning?) e, ultimo ma assolutamente non ultimo, la compensazione (fissa, variabile, basata su performance o su “peso” nel dataset?).

Menu abbondante, ottimo non so. E chi si&nbsp;siederebbe&nbsp;a tavola? Infatti, nel dibattito sull’uso dell’intelligenza artificiale per generare musica, uno dei nodi più caldi è: chi autorizza cosa e in che modo?&nbsp;Non si tratta solo di una questione economica, ma di architettura legale.&nbsp;

Rileggendo tutto&nbsp;quanto abbiamo pubblicato negli ultimi mesi e coniugandolo con molti appunti presi frequentando panel e conferenze ovunque in Europa che abbiamo frequentato, proviamo a proporre di seguito una breve panoramica sui &nbsp;possibili meccanismi di rilascio delle licenze: viene da sè che, sul piano teorico, ciascuno ha implicazioni diverse per le tech company, per i titolari dei diritti e per il futuro della musica. 
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Licenza diretta tra le parti

È il modello più immediato: un’azienda AI negozia direttamente con chi possiede i diritti. Ha il vantaggio della flessibilità ma è adatto solo a operazioni limitate: la frammentazione dei diritti rende difficile un uso su larga scala. Viene rilasciata da&nbsp;singoli detentori di copyright (etichette, publisher, artisti), la contrattazione è privata; pro: è flessibile e personalizzabile, contro: il meccanismo è frammentato, lento, poco replicabile. 
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Licenza collettiva standardizzata

Ricalca il modello delle licenze per radio e locali pubblici: una collecting society o un consorzio rappresenta i titolari e rilascia licenze cumulative. È scalabile ed efficiente, ma presuppone una governance condivisa e una struttura di rappresentanza chiara. Viene rilasciata da: entità collettiva (come SIAE, PRS, Merlin), la forma è quella di una&nbsp;"blanket license”; pro: semplifica accesso e reporting, contro: richiede governance comune e accordi preliminari. 
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Licenze pilota o sandbox

Pensate per contesti di test e sviluppo, queste licenze temporanee offrono un quadro regolato per sperimentare senza conseguenze commerciali. Sono ideali per startup o contesti di ricerca, ma non applicabili a scenari industriali ampi. Vengono rilasciate da&nbsp;singoli titolari in forma di&nbsp;licenze temporanee con clausole restrittive; pro: incentivano la sperimentazione, contro: il loro uso è limitato e sono difficili da scalare. 
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Licenze con monitoraggio e tracciabilità

In questo modello l’accesso è subordinato alla possibilità di identificare quali opere entrano nel dataset e con quale peso. Potrebbero abilitare forme più eque di remunerazione, ma richiedono tecnologie avanzate e interoperabili. Sono rilasciate da&nbsp;editori o aggregatori, con clausole tecniche e in forma di&nbsp;licenza condizionata a sistemi di tracciamento (es. watermark, fingerprinting); pro: favoriscono la trasparenza e possono agevolare royalty dinamiche, contro: richiedono un'infrastruttura complessa, ad alto costo tecnologico. 
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Licenze basate sull’uso reale

Paghi di più per ciò che incide di più. L’idea è legare i compensi al contributo effettivo che ciascuna opera ha dato al training. È un modello estremamente ambizioso, che pone grandi sfide in termini di misurabilità e trasparenza. Licenze di questo tipo possono essere rilasciate tramite piattaforme che analizzano il dataset e assumono la forma di&nbsp;royalty variabili proporzionali al contributo; pro: equità potenziale, contro: richiedono un sistema neutrale di auditing. 
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Licenza con equity

In questo caso si va oltre la semplice licenza: l’accesso ai diritti è infatti scambiato con quote societarie dell’azienda tech. È uno schema strategico che può interessare solo i grandi attori, capaci di fare scommesse a lungo termine. Viene rilasciata da&nbsp;major o gruppi editoriali in forma di licenza + partecipazione societaria; pro: allineamento strategico, upside finanziario, contro: opzione praticabile solo da grandi player. 
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Licenza collettiva con opt-out

Un compromesso tra efficienza collettiva e libertà individuale: si stabilisce una licenza cumulativa, ma ogni titolare può decidere di escludere le proprie opere tramite un meccanismo di opt-out. Richiede strumenti digitali avanzati e trasparenti. E’&nbsp;rilasciata da&nbsp;consorzi o collecting society, con accesso a dashboard individuale; la forma potrebbe definirsi quella di una "blanket adattiva”; pro: equilibrio tra scala e autonomia individuale, contro: serve piattaforma tecnologica di gestione 
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Concludendo….

Sarà interessante rileggere questo articolo tra qualche tempo (mesi? anni?), perchè nessuno dei modelli sopra può rappresentare la soluzione definitiva e, probabilmente, in futuro convivranno più tipolgie, adattate&nbsp;a contesti e soggetti diversi. La doppia sfida consiste nel cercare di bilanciare equità, trasparenza e scalabilità, in un mercato che evolve più in fretta delle regole, e identificare un compromesso tra la scalabilità necessaria alle AI company&nbsp;e il controllo rivendicato da autori e detentori dei diritti.&nbsp;

Siamo agli albori di una nuova tipologia di licenza, ibrida e ad alto contenuto tecnologico, che dovrà combinare aspetti di diritto d’autore, diritto industriale e responsabilità algoritmica. Per l’industria musicale, la posta in gioco è alta: si tratta di difendere il valore del repertorio, ma anche di partecipare alla definizione del futuro dei contenuti digitali.

E' una grammatica nuova tutta da scrivere. L’alternativa al dialogo è il contenzioso. Con un occhio alla storia recente.

Training AI con musica protetta da copyright: il rebus licenze

M​ajor e startup di Gen AI al tavolo: come regolare il training sulle opere altrui?

La storica etichetta indipendente Merge Records entra ufficialmente a far parte di&nbsp;Secretly Group, che ne ha acquisito il 50% delle quote. La label, ad ogni modo, continuerà a essere gestita dal co-fondatore e head of A&amp;R&nbsp;Mac McCaughan. L'altra co-fondatrice,&nbsp;Laura Ballance (già nota per la sua militanza nella band dei&nbsp;Superchunk) lascia invece il music business&nbsp;per dedicarsi a nuove attività.

Le due realtà erano già in ottimi rapporti da un decennio, visto che Merge si avvale di Secretly per la distribuzione e per il marketing al di fuori di Stati Uniti e Canada. La collaborazione, quindi, si svilupperà soprattutto su quel fronte, e l'etichetta continuerà a sviluppare i suoi progetti discografici in totale autonomia.

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Secretly Group acquisisce il 50% di Merge Records

L'etichetta continuerà ad essere gestita dal co-fondatore Mac McCaughan

Tra le date annunciate ieri da Vasco Rossi per l’estate del 2026 figurano anche due show a Olbia, fissati per il 12 e 13 giugno del prossimo anno: i concerti che segneranno il ritorno del rocker emiliano in Sardegna dopo sette anni saranno curati da Lebonski360, holding di proprietà di Salmo, in collaborazione con Magma Events: a renderlo noto è stato Sebastiano Pisciottu, fratello e manager del rapper, attraverso i propri canali social personali.

“Ringraziamo Live Nation per la grande opportunità”, ha fatto sapere Pisciottu, citando la filiale italiana della multinazionale americana guidata da Roberto De Luca, agenzia che cura gli interessi dal vivo di Rossi, oltre che il sindaco di Olbia Settimo Nizzi.

Fondata nel 2020, Lebonski360 opera non solo in ambito discografico ma anche sui fronti social, video, podcast, scouting, editoriale, televisivo e live: lo scorso novembre la società ha annunciato il <a href="https://musicbiz.rockol.it/news-748264/sony-music-italy-rinnova-con-salmo-e-lebonski360">rinnovo dell’accordo con Sony Music Italy</a>, major alla quale Salmo è discograficamente legato dal suo quarto album in studio, “Hellvisback” del 2016.

Tra le altre date annunciate da Vasco Rossi per il 2026 figurano quelle a Ferrara del 5 e 6 giugno, a Bari del 18 e 19 giugno, ad Ancona del 23 e 24 giugno e a Udine del 28 e 29 giugno. Le ultime date dell’artista nell’isola risalgono al 18 e 19 giugno del 2019, a Cagliari, nell’ambito del VascoNonStop Live 2019.

Vasco Rossi

C’è Salmo dietro il ritorno di Vasco Rossi in Sardegna

La società del rapper di Olbia al lavoro sui concerti del rocker del 12 e 13 giugno 2026

Per celebrare&nbsp;<a href="https://musicbiz.rockol.it/tutto-su/pmi-20-anni-503860">i vent’anni di attività di PMI - Produttori Musicali Indipendenti</a>, Rockol propone una carrellata di aziende legate all’associazione che rappresenta gran parte delle realtà discografiche italiane slegate dal circuito delle multinazionali. L’etichetta presentata oggi, insieme a un artista del suo roster,&nbsp;è Carosello...

- Nome dell’etichetta:&nbsp;Carosello Records

- Anno di fondazione: 1959

- Sede: Galleria del Corso 4, Milano 20122

- Breve descrizione:&nbsp;Carosello Records, uno dei pilastri della discografia italiana, fa parte dello storico gruppo editoriale Curci. Con oltre 60 anni di attività è presente nel mondo dell'industria discografica proponendo sempre grandi novità nel rispetto della propria tradizione di indipendenza e attenzione al valore della musica.&nbsp;Carosello concentra la sua attenzione sulla qualità dei progetti, lavorando in maniera artigianale e con passione, dedizione e cura per i dettagli.&nbsp;Una caratteristica che da sempre contraddistingue il roster di Carosello è quella di coprire il più possibile lo spettro di stili e generi musicali, restando sempre attuale grazie ad artisti che rappresentano novità assolute per il mercato italiano.&nbsp;Carosello ha inoltre un importantissimo back catalogue di registrazioni, che vanta alcuni dei nomi più importanti e famosi della musica italiana:&nbsp; Modugno, Mina, Vasco Rossi, Tiziano Ferro, Giorgio Gaber, Toto Cutugno e molti altri.

- 3 artisti rappresentativi: Diodato, Emma Nolde, Domenico&nbsp;Modugno

- Un titolo “simbolo” della vostra produzione:&nbsp;“Nel blu dipinto di blu”&nbsp;(Domenico Modugno)

- Link principali: 
Sito web: <a href="https://www.carosellorecords.com/">https://www.carosellorecords.com/</a> 
Instagram: <a href="https://www.instagram.com/carosellorecords/?hl=it">https://www.instagram.com/carosellorecords/?hl=it</a> 
Facebook: <a href="https://www.facebook.com/carosellorecords">https://www.facebook.com/carosellorecords</a> 
TikTok: <a href="https://www.tiktok.com/@carosellorecords">https://www.tiktok.com/@carosellorecords</a> 
YouTube: <a href="https://www.youtube.com/user/CaroselloRecords">https://www.youtube.com/user/CaroselloRecords</a> 
Spotify: <a href="https://open.spotify.com/user/carosellorecords">https://open.spotify.com/user/carosellorecords</a> 
Apple Music: <a href="https://music.apple.com/it/label/carosello-records/1543987810">https://music.apple.com/it/label/carosello-records/1543987810</a>

- Contatto referente: Simone Auciello,&nbsp;<a href="mailto:simone.auciello@carosellorecords.com">simone.auciello@carosellorecords.com</a>

Scheda artista: Eugenio in Via Di Gioia

<div class='embed'><img src="https://images.rockol.it/zYnLqSvUDPJv3tr-US6f2GhiD9g=/700x0/smart/rockol-img/img/foto/upload/dscf2674-1.jpg" alt="https://images.rockol.it/zYnLqSvUDPJv3tr-US6f2GhiD9g=/700x0/smart/rockol-img/img/foto/upload/dscf2674-1.jpg" title="https://images.rockol.it/zYnLqSvUDPJv3tr-US6f2GhiD9g=/700x0/smart/rockol-img/img/foto/upload/dscf2674-1.jpg" class="img-responsive" /></div>

1. Nome d’arte 
Eugenio In Via Di Gioia

2. Etichetta di riferimento 
Carosello Records

3. Città di provenienza o base operativa 
Torino

4. Anno di debutto discografico 
EP "Urrà" (2013), seguito dal primo album "Lorenzo Federici" (2014)

5. Breve bio: 
Gli Eugenio In Via Di Gioia sono un fiore all'occhiello della musica italiana, una band affiata che in oltre dieci anni di carriera si è distinta per un cantautorato di grande intellegibilità, che trae dal quotidiano le metafore di racconti più grandi, capace di parlare tanto del mondo delle emozioni umane che di attualità e della società che ci circonda. Un esempio virtuoso e genuino di quanto la musica possa ancora avere un impatto sulla vita delle persone.

6. 1 disco o brano “indie” che ha cambiato il tuo percorso: 
"Filo d'erba" di Alberto Bianco. Ci ha accompagnato durante i primi viaggi in furgone in giro per l'Italia, facendoci affezionare a qualcosa di nuovo, per la prima volta insieme.

7. Link principali:

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<a href="https://music.amazon.it/artists/B00ELF6UQS/eugenio-in-via-di-gioia">https://music.amazon.it/artists/B00ELF6UQS/eugenio-in-via-di-gioia</a> 
<a href="https://music.apple.com/it/artist/eugenio-in-via-di-gioia/1437146788">https://music.apple.com/it/artist/eugenio-in-via-di-gioia/1437146788</a> 
<a href="https://open.spotify.com/intl-it/artist/1UtaXKnNyKhj0efXu2rD5t">https://open.spotify.com/intl-it/artist/1UtaXKnNyKhj0efXu2rD5t</a> 
 
8. Contatto diretto: 
Simone Auciello&nbsp; -&nbsp; <a href="mailto:simone.auciello@carosellorecords.com"> simone.auciello@carosellorecords.com</a>

Breve intervista:

1. Cos’è per te “indipendenza” oggi, in musica?

Per me l'indipendenza oggi, in musica, ha a che fare con la consapevolezza di ciò che si è e dell'identità del proprio progetto. Ha sicuramente a che fare con l'indipendenza economica, con quella contrattuale e anche con quella mentale del sentirsi nelle condizioni di potersi esprimere e scrivere canzoni senza limiti. Sta nell'assenza di legami opportunistici con la propria etichetta, management o booking, riuscendo tuttavia a instaurare una dinamica di collaborazione coesa. Un rapporto che sia "inter-indipendente", più che di indipendenza assoluta.

2. Che rapporto hai con la tua etichetta?

Abbiamo un buonissimo rapporto con la nostra etichetta discografica. Abbiamo firmato da poco, quindi è un legame piuttosto giovane. Ci troviamo bene perché è composta da persone estremamente professionali e competenti, che lavorano duro. Noi siamo abituati a perseguire legami duraturi con le persone con cui lavoriamo - il nostro management e il nostro agente di booking sono gli stessi da sempre - e trovare persone di cui nutrire stima e allo stesso tempo con cui iniziare un percorso lavorativo solido, in tutti gli ambiti, non è facile. Siamo stati molto fortunati. 

3. Un momento in cui ti sei sentito davvero libero, artisticamente...

Paradossalmente, la più grande libertà che io, Eugenio, ho personalmente raggiunto nella mia carriera è stata permettermi di scrivere mie canzoni e non cantare più delle cover. Questo è avvenuto senza alcune velleità precisa, quando suonavo per strada come busker. Ho iniziato a improvvisare, osservavo le persone per strada e le descrivevo mettendo dentro me stesso. C'era una sorta di autoironia, tipica del teatro-canzone. Quello è stato il periodo di più grande spensieratezza perché coincideva con un momento di ingenuità e inconsapevolezza genuine. Oggi mi sento ancora molto libero, si sono sommate tutta una serie di maturazioni individuali e di gruppo che portano a una maggiore complessità, che è parte del mestiere.

4. Una canzone o un disco di un altro artista indie italiano che avresti voluto scrivere tu

Questa risposta la so, senza doverci pensare: "Canzoni da spiaggia deturpata" di Vasco Brondi (ex Le luci della centrale elettrica), grazie al quale ho pensato di dover iniziare a scrivere canzoni. Mi ha completamente aperto il cervello. E' stato un esempio folgorante per la modalità e le scelte, ma anche la capacità di essere allo stesso tempo poetici, crudi, innovativi.&nbsp;

5. Cosa ti aspetti dall’indie dei prossimi 20 anni?

L'indie cambia le sue sembianze e le sue forme, ma rimane fedele a sé stesso e libero, continuando a esprimersi attraverso quante più forme possibili: cantautorato, punk, trap, rap, ecc.&nbsp;Me lo immagino imperfetto, come il compagno di classe che fuori da ogni aspettativa cala l'asso dalla manica e spiazza tutti, perché nella verità che l'indie conserva dentro di sé c'è molta più arte che in qualsiasi tipo di perfezione. Nei prossimi anni, con l'avvento di un'intelligenza artificiale sempre più performante, vorremo ascoltare quella verità dettata dall'imperfezione umana.

Vent’anni di PMI, le aziende: Carosello

Una panoramica sulle etichette associate a Produttori Musicali Indipendenti

Andreas Carlsson è uno dei nomi di punta della fabbrica del pop svedese: tanto per dare un'idea, compare nei crediti di "I Want It That Way" dei Backstreet Boys, "Baby One More Time" di Britney Spears, "Bye Bye Bye" degli NSYNC e molte altre hit. Proprio per questo, quindi, fa notizia il lancio della sua nuova start-up: una app battezzata Hyph, che si rivolge ad aspiranti produttori e autori.

In sostanza, tramite un sistema chiuso permette di utilizzare un ampio catalogo di suoni gratuiti per creare remix e nuove versioni di brani, poi condivisibili con gli altri utenti. La versione base, gratuita,&nbsp;permette semplicemente di scambiarseli con gli amici, mentre quella pro, che costa 19,99 dollari al mese, è riservata a chi ambisce a distribuirli sui vari DSP o addirittura vendere parte delle proprie creazioni (voci, beat e via dicendo) a terzi, attraverso un marketplace dedicato.&nbsp;

L'autore svedese Andreas Carlsson lancia un'app di music-making

Si chiama Hyph e si rivolge ad aspiranti songwriter e produttori, dilettanti e non

Spotify ha reso disponibile in queste ore una nuova funzione, battezzata “Crea copertina”, che permette di abbinare elementi grafici alle playlist. Presentato in 41 lingue differenti su 63 mercati a livello internazionale, disponibile sia per gli utenti Premium che per quelli Free - il tool è accessibile direttamente dall’app del DSP: aprendo una playlist già esistente, o creandone una ex novo, sarà possibile personalizzare il contenuto con cover originali contenenti testi, colori, sfumature, sticker e immagini. I gestori della piattaforma hanno reso disponibili, nell’ambito del lancio del nuovo strumento, 13 sticker a tema estivo utilizzabili per la creazione delle copertine.

Spotify, lanciata la nuova funzione ‘Crea copertina’

In Italia e in altri 62 mercati in tutto il mondo

Coca Cola Company e Universal Music Group hanno annunciato il lancio di Real Thing Records, una nuova etichetta discografica “dedicata - spiegano le aziende in una nota - a promuovere l'arte emergente di tutto il mondo e a creare legami più profondi tra artisti e fan”. La nuova entità rappresenta, secondo il gigante dei soft drink americano, “una nuova evoluzione della ricca tradizione musicale di Coca-Cola”, unita “all'influenza culturale e alla rete globale di etichette e partner di un’azienda leader come Universal Music”. “E’ più di una semplice collaborazione”, hanno precisato UMG e Coca Cola: “E’ un investimento nel futuro della musica, che unisce i punti di forza di entrambe le aziende per costruire nuove strade che permettano agli artisti di tutto il mondo di prosperare”. I primi due ingressi nel roster di Real Thing Records sono l'artista franco-neozelandese Max Allais (legato a Better Now Records / Universal Music Germania) e il cantautore e produttore indiano Aksomaniac (presente nel roster di Def Jam Recordings India / Universal Music India), “entrambi astri nascenti la cui arte, ambizione e prospettiva audace incarnano la visione globale lungimirante dell'etichetta”.

"Coca-Cola Company ha una ricca tradizione, fatta di profondi legami umani e risonanza culturale, che abbatte le barriere e unisce le persone oltre i confini e le generazioni", ha dichiarato Joshua Burke, Global Head of Music &amp; Culture di Coca-Cola Company: "Real Thing Records è progettata per liberare un potenziale maggiore per artisti, fan e i nostri marchi, dove la creatività alimenta la crescita e la potenza combinata della nostra rete e dei principali partner musicali globali crea un valore superiore alla somma delle sue parti. Il nostro obiettivo è far brillare gli artisti e offrire loro la flessibilità necessaria per sviluppare la propria identità con il supporto di una portata e di una competenza globali. E’ un impegno a lungo termine per la musica, che ci consente di reinvestire nei nostri programmi, sostenere la prossima generazione di talenti e rimanere radicati in ciò che conta di più: la musica e il fandom".

"Oggi gli artisti hanno un punto di vista che va oltre la musica", ha aggiunto Burke: "Capiscono il loro marchio personale e i fan si sentono connessi a loro in modi più personali. La genesi di Real Thing Records è stata quella di identificare questo cambiamento e di sapere che la nostra credibilità come inserzionisti, con creativi, esperti di marketing strategico, designer e una scala di dimensioni, può supportare gli artisti in modi nuovi".

"Per anni, Universal Music Group e Coca-Cola Company hanno condiviso la convinzione che la musica possa creare connessioni e dare vita a esperienze significative", ha aggiunto Richard Yaffa, Executive Vice President di Universal Music Group: "Con il lancio di Real Thing Records, stiamo portando questa visione ancora più avanti, unendo le forze per costruire un'etichetta moderna che promuove l'arte e amplifica le voci emergenti sui palcoscenici globali e locali, offrendo allo stesso tempo ai fan i momenti culturali che desiderano. Entrambe le aziende riconoscono il valore a lungo termine dell'investimento nell'innovazione artistica e il nostro passato lavoro insieme ha costantemente dimostrato come la musica possa emozionare le persone e creare un impatto duraturo. L'evoluzione e il continuo successo delle nostre numerose collaborazioni sono una testimonianza di ciò che è possibile quando allineiamo la creatività alla rilevanza culturale".

Coca Cola e Universal Music lanciano una nuova etichetta

Nasce Real Thing Records, dedicata esclusivamente ai talenti emergenti

La divisione Middle East di Sony Music ha stretto una partnership con l'agenzia di entertainment saudita&nbsp;LuxuryKSA, con lo scopo di sviluppare e promuovere talenti nel paese degli Emirati. La regione è particolarmente promettente e nel 2024 ha visto&nbsp;una crescita del 22,8% YoY nell'ambito della musica registrata soprattutto grazie a un sottogenere del pop arabo, il khaliji.

In Arabia Saudita LuxuryKSA è tra i principali fautori del successo del&nbsp;pop, e questo per aver lanciato le carriere di nomi molto noti a livello locale come&nbsp;Ayed Youssef e Sultan Al Murshed. Il presidente del CdA dell'azienda, il principe Khaled Bin Mansour Bin Saud Bin Abdulaziz, ha espresso tutta la sua soddisfazione: "Un'alleanza con Sony Music non solo è un grande traguardo per noi, ma è anche una grande evoluzione che sancisce la vivacità della scena musicale saudita. Insieme eleveremo le voci dei nostri artisti fino ai più prestigiosi palchi della regione e del mondo, ridefinendo il futuro dell'entertainment".

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Sony Music, una nuova partnership in Arabia Saudita

L'accordo stretto con l'agenzia di entertainment LuxuryKSA mira a sviluppare talenti locali

Si terrà a Milano tra i prossimi 17 e 22 novembre l'undicesima edizione di Linecheck Music Meeting &amp; Festival, evento dedicato all’industria musicale che anche per il 2025 - oltre a confermarsi come Main Content Partner della Milano Music Week - sarà ospitato da Base Milano.

“Il titolo scelto per questa edizione è ‘a beautiful presence’: un’esplorazione della musica come forza viva e trasformativa, non solo suono, ma presenza capace di modellare emozioni, percezioni, relazioni”, hanno spiegato gli organizzatori: “Una presenza che ascolta, scuote, cambia. Prendendo a prestito le parole dell’iconico Klaus Nomi, artista visionario e performer d’avanguardia: ‘I am here to entertain you, I am here to confuse you, I am here to make you think’. Linecheck 2025 prende in prestito questo spirito per trasformare ogni incontro in un’esperienza che sia capace di ‘rompere’ i confini del consueto, e invitando a vedere, sentire, vivere la musica in modi radicalmente nuovi. Un luogo dove musica, creatività e bellezza convergono per generare una presenza che cambia tutto”.

Anche per il 2025 si rinnova la collaborazione tra Linecheck e Inner_Spaces, rassegna dedicata alla musica elettronica sperimentale e di ricerca, che aprirà il proprio programma lunedì 17 novembre presso l’Auditorium San Fedele con l’esibizione di Lucy Railton, violoncellista e compositrice britannica. Il giorno successivo, martedì 18 novembre, la programmazione prosegue all’Auditorium di Milano con i set del duo catalano Tarta Relena, di Rita Payés e Sissi Rada.

A partire da mercoledì 19 novembre, Linecheck si concentrerà negli spazi di BASE Milano, quartier generale del Festival, con l’avvio del programma di residenze: all’interno de La Capsula e di Room 1400, luoghi concepiti come laboratori vivi e aperti al processo, interverranno Shasha Chen, Bianca Loffreda, Pierce Warnecke, Oliv Oliv, urbau &amp; YAAND.

Da giovedì 20 a sabato 22 novembre, il programma dei live prenderà il via a BASE con i set di Delicatoni, Evita Polidoro, Crème Solaire, Le Feste Antonacci, Night Tapes, Kompromat, Luzai, TAAHLIAH, Kaitlyn Aurelia Smith, Cosmic Bride, Meuko Meuko, VVXXII e altri.

Il Festival vedrà, come ormai consuetudine, anche una sua estensione a Bologna, dove, grazie alla collaborazione con ROBOT Festival, il party finale avrà luogo negli spazi di DumBO.

Grazie alla collaborazione con FAROUT Live Arts Festival, l’edizione 2025 di Linecheck ospiterà anche le esibizioni di Olimpia Fortuni + Katatonic Silentio, gruppo nanou e OvO.

Nelle ore diurne avranno luogo gli eventi professionali previsti dal palinsesto di Linecheck 2025, che includeranno “incontri, panel, masterclass, workshop, matchmaking sessions e showcase per riflettere sul presente e progettare il futuro dell’industria musicale, in un’ottica globale e interconnessa”.

Oltre al Live Arts Summit - FAROUT Edition, sono confermati anche gli altri focus tematici del programma Conference, in co-curatela con partner internazionali:

<ul>
	<li>Il Social Change Summit – Act in Synch Edition esplorerà il ruolo della musica e della cultura come infrastrutture emotive capaci di generare resilienza e immaginazione radicale in un presente segnato da crisi e trasformazioni;</li>
	<li>Il Sync Summit, in collaborazione con Europe in Synch, affronterà le intersezioni tra musica e audiovisivo, videogame, pubblicità e storytelling, come spazi per nuove forme di valore e creatività condivisa;</li>
	<li>Il Tech Summit indagherà invece il rapporto tra musica e innovazione: AI, Web3, VR/AR e audio spaziale come strumenti per ripensare produzione, fruizione e sostenibilità del settore. Al suo interno anche il kick-off meeting della Music Tech Europe Academy, dedicata alle startup music-tech europee.</li>
</ul>

Tutti gli aggiornamenti sul programma saranno resi disponibili sul sito ufficiale di Linecheck all’indirizzo www.linecheck.it.

Linecheck Music Meeting & Festival 2025, i primi dettagli

Annunciate parte del cast e le anticipazioni sul programma

In Corea del Sud il servizio militare è ancora obbligatorio per tutti i cittadini maschi. Questo vale anche per le star del k-pop, inclusi i celeberrimi BTS. Non è un caso, infatti, se la boy-band sembra essere sparita dai radar dal dicembre 2023 a oggi: molti dei membri erano infatti impegnati a ottemperare ai loro obblighi di leva, che termineranno formalmente alla fine di questo mese.

La notizia del loro ritorno alla vita civile è stata festeggiata in grande stile da HYBE, la gigantesca agenzia plenipotenziaria che gestisce le loro carriere e quelle di buona parte della scena k-pop: è stato appeso perfino uno striscione alla loro sede di Seoul, con il logo dei BTS e la scritta "Siamo tornati!" a caratteri cubitali. Il che, come prevedibile, ha avuto ripercussioni anche in borsa: le azioni della società hanno registrato un balzo del +2% e continuano a crescere da cinque giorni a questa parte, registrando il valore più alto mai ottenuto da aprile 2022 a oggi. Non solo: da inizio anno, le azioni sono cresciute del 57%. Un risultato apparentemente straordinario, ma che va letto alla luce della situazione pregressa: da quando il gruppo era andato in pausa per via del servizio militare, infatti, i profitti di HYBE erano calati del 37,5% in un anno.

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I BTS finiscono il servizio militare, e HYBE vola in borsa

Un trend positivo che prosegue da mesi: +57% da inizio anno per il conglomerato del k-pop

Nel 1996 un giovane impiegato amministrativo in una clinica privata di Napoli decide di rinunciare al posto fisso per seguire un sogno: aprire una propria attività nel settore discografico. Dopo due anni da distributore, Frontiers - nome mutuato dal titolo dell’album dei Journey dell’’83 - diventa un’etichetta vero e propria, e Serafino Perugino inizia la sua scalata che, trent’anni dopo, lo porterà a essere il titolare di una label che nel proprio roster ha visto sfilare pesi massimi del rock mondiale come - oltre agli stessi Journey - Lynyrd Skynyrd, Alan Parson, Jeff Lynne, Sammy Hagar, Yest, Toto e molti altri. E che - pur con uffici a Londra e negli Stati Uniti - ha il proprio quartier generale ancora là dove tutto è cominciato. “Gli uffici sono proprio di fianco allo stadio Maradona, e casa mia è a Fuorigrotta”, racconta Perugino, fondatore e CEO di Frontiers Label Group, che ammette di essere riuscito a limitare il pendolarismo solo verso le filiali oltre confine, pur non rinunciando a tenere il cuore pulsante della sua attività nel capoluogo campano. “Nonostante il nostro sia un team internazionale, ogni mese organizzo delle riunioni di persona qui, a Napoli. Li voglio tutti qui, di persona. Il Covid ha cambiato le abitudini delle aziende, ma io credo ancora nel valore del confronto faccia a faccia”. 
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L’anno prossimo Frontiers compirà trent’anni…

Sì, il 26 febbraio. E’ un traguardo che mi riempie d’orgoglio. Sia per me, che per la mia famiglia e i miei più stretti collaboratori. 
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Si può considerare Frontiers un’azienda a conduzione familiare?

Mia moglie - alla quale devo tutto, per il supporto che mi ha dato fin dall’inizio - è amministratrice e parte della proprietà, insieme ai miei figli, Eleonora e Fernando. Sono entrambi laureati: hanno scelto in totale autonomia di entrare in azienda dopo aver fatto le proprie esperienze. Sono stati loro a darmi la forza di andare avanti, per dargli un’opportunità. Per come sono fatto, trovo molto importante condividere: non sono un accentratore. Al contrario, come imprenditore credo molto nel confronto. Loro mi hanno sostenuto, anche nei momenti più difficili: sono certo, quindi, che quando avrò 90 anni e deciderò di andare in pensione saranno loro a raccogliere il testimone. 
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La prospettiva di andare in pensione a 90 anni, in genere, è quella di chi ha un lavoro che ama…

Non lo considero nemmeno un lavoro. E’ la mia vita. E’ un passione nata nel 1996, nata da una visione di un ragazzo con due figli piccoli che si è preso un’aspettativa non retribuita dal lavoro per seguire il proprio sogno. Trent’anni dopo posso dire che questa scommessa sia stata vincente. 
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Lo scorso anno sono state lanciate due sub-label di Frontiers, BLKIIBLK e FLG: cosa vi ha spinto a compiere questo passo?

Cerco sempre nuove sfide professionali per far crescere l’azienda. La mia forza è anche quella di essere conscio dei miei limiti: con Frontiers so esattamente cosa ho fatto e dove posso arrivare. Ho pensato fosse arrivato il momento di assemblare un nuovo team internazionale che potesse supportare la mia idea di sviluppo di un piano industriale in grado di posizionarci sul mercato in maniera più aggressiva. Dopo aver pubblicato i dischi di alcune delle band più rilevanti sulla scena classic rock, con BLKIIBLK e FLG voglio cimentarmi in ambiti differenti: il fatto di aver inaugurato le attività di queste due sub label con due signing di grande caratura [rispettivamente Megadeth e Skunk Anansie, ndr] rende questa sfida ancora più stimolante, che apre al nostro gruppo orizzonti importanti in termini di crescita. 
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L’<a href="https://musicbiz.rockol.it/news-752103/frontiers-entra-tim-bailey">ingresso in Frontiers di Tim Bailey</a> è da inquadrare in questo processo di potenziamento?

Sì. Abbiamo portato nel nostro team professionalità importanti come Jeff Stevenson, in nostro Head of Marketing che abbiamo strappato a Warner Music, Tom Lipsky, in nostro Head of A&amp;R per gli USA che in passato ha portato al successo la Roadrunner Records, e Leo Nicholas, direttore artistico della FLG in arrivo da Spinefarm, ma mi mancava un global manager internazionale, e in Tim ho trovato non solo competente uniche, ma anche un grandissimo entusiasmo. E’ l’ultimo tassello che mi mancava per attaccare il mercato in modo forte, e competere con chiunque a livello globale. 
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I dati sul <a href="https://musicbiz.rockol.it/news-751695/tax-credit-musica-nel-2024-2-milioni-alle-major-e-3-alle-indie">tax credit discografico</a>, da un paio d’anni a questa parte, vi fotografano come una delle pochissime realtà indipendenti a rivaleggiare - in termini di investimenti su nuove produzioni - con le major…

In Italia, la differenza tra le major e Frontiers è che le major si rivolgono quasi esclusivamente al mercato italiano, mentre noi ci rivolgiamo a quello internazionale, permettendoci di competere a livello globale con nomi di grande richiamo. Sebbene gli Stati Uniti rappresentino, per noi, il mercato più forte, nel nostro roster ci sono band indiane, tedesche, brasiliane e scandinave. Il nostro obiettivo è proiettare questi talenti locali in tutto il mondo. 
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Come siete organizzati per le operazioni di scouting?

Sono a capo di un team che mi sottopone gli artisti che reputa più meritevoli. Più che guardare i numeri, ascoltiamo la musica: non sono un mecenate, ma mi considero un discografico della vecchia scuola. Sono conscio del valore che gli artisti hanno sul mercato, ma la musica viene prima di tutto. E’ l’unica cosa che fa la differenza: si possono organizzare piani promozionali su scala globale eccezionali, ma se la musica che si promuove fa schifo di certo non si possono fare miracoli… 
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Quali sono i pesi di streaming e formati fisici nelle economie di Frontiers?

Rivolgendoci a un pubblico adulto, osserviamo una certa tenuta del fisico per quanto riguarda le vendite, ma il bello di operare in un mercato come quello del 2025 è non avere limiti. E non parlo solo della possibilità di far conoscere attraverso lo streaming il nostro catalogo al pubblico più giovane: con il nostro canale D2C abbiamo la possibilità di interagire con i superfan, vendendo prodotti particolari - come le audiocassette - o organizzando branding event come il Frontiers Rock Festival, la cui ultima edizione - andata sold out - ha richiamato a Trezzo sull’Adda pubblico da tutto il mondo. 
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Oltre alla divisione live avete anche una divisione publishing?

Certo. E’ gestita da Oyez!, di Francesca Trainini. 
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Tornando alle attività di BLKIIBLK e FLG, quali sono i programmi a breve termine?

Dopo la pubblicazione del nuovo album degli Skunk Anansie, alla fine dello scorso maggio, tra la fine dell’anno e l’inizio del 2026 arriverà il nuovo disco dei Megadeth. Poi, sempre per BLKIIBLK, uscirà il nuovo disco dei Biohazard. Ma abbiamo molti altri target, soprattutto per l’anno prossimo: stiamo lavorando per costruire un nuovo catalogo, forte e competitivo, che possa affiancare quello dell’etichetta madre. 
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Prima che Frontiers diventasse una realtà conosciuta a livello internazionale, come siete riusciti a conquistare la fiducia di artisti e management?

Il segreto è stato essere capaci di trasferire la nostra passione. Quando metti la tua passione davanti a tutto, i tuoi interlocutori lo capiscono. Certo, la passione - da sola - non basta: professionalità e organizzazione sono indispensabili. Poi c’è il passaparola: la reputazione che siamo riusciti a crearci in ambito discografico è quella di una realtà indipendente attenta innanzitutto alla qualità. Detta sinceramente: non sono un filantropo, sono sul mercato da trent’anni e so che i numeri sono importanti, ma la prima cosa alla quale ho sempre pensato è emozionarmi. E, di conseguenza, emozionare artisti e fan. E’ la ragione che mi ha portato a fare questo lavoro: dopo trent’anni sono ancora qui a raccontare belle storie, e ho ancora tanta voglia di farlo. 
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Quali programmi avete per festeggiare il vostro trentesimo compleanno?

L’idea è quella di organizzare un grande evento qui a Napoli, con tutto il nostro team, gli artisti e gli stakeholder. Insomma, con tutti quelli che ci hanno permesso di tagliare un traguardo così importante, ricco di sacrifici ma anche di soddisfazioni. In questo senso, un ringraziamento particolare va anche a The Orchard, il nostro partner per la distribuzione fisica e digitale, che ha sempre creduto in noi. Sarà la celebrazione di un nuovo, grande inizio… 
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Qualcosa in grande stile? Hai forse messo gli occhi sullo stadio Maradona, che recentemente ha aperto ai grandi concerti?

La mia ambizione è grande, ma - come dicevo prima - la mia forza è avere la cognizione dei miei limiti. Immagino la festa di Frontiers in un palasport, o in un live club, ma no, il Maradona lo lascerei ad altri artisti, di estrazione pop, che non sono nelle nostre corde… 
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Si può dire che prudenza e realismo siano stati il segreto della vostra longevità?

In trent’anni ho visto tante etichette fallire. Se sono ancora qui, è perché credo che prudenza e umiltà siano caratteristiche da sempre presenti nella mia famiglia e nella mia azienda. Con sacrificio, piedi per terra, tantissima ambizione professionale, e capacità nel coniugare passione, serietà e professionalità, sono pronto a divertirmi ancora per molti anni…

30 anni di grande rock (coi piedi per terra): il caso Frontiers

‘La musica prima di tutto, numeri compresi’: parla il fondatore del gruppo, Serafino Perugino

Live Nation ha annunciato un investimento di 1 miliardo di dollari per la costruzione di 18 nuovi locali di musica dal vivo in altrettante città medio / piccole degli Stati Uniti. “Secondo Oxford Economics, questo investimento di capitale genererà un impatto economico complessivo di 2,9 miliardi di dollari, comprese le spese per sviluppo e costruzione, oltre a un impatto economico annuo di 1,4 miliardi di dollari per le comunità locali una volta che questi locali inizieranno ad accogliere i fan”, ha chiarito la società guidata da Michael Rapino.

I lavori verranno avviati entro i prossimi 18 mesi a Allentown (Pennsylvania), Atlanta (Georgia), Birmingham (Alabama), Denver (Colorado), Indianapolis (Indiana), Memphis (Tennessee), Milwaukee (Wisconsin), Nashville (Tennessee), Orlando (Florida), Portland (Maine), Portland (Oregon), Pittsburgh (Pennsylvania), Raleigh (Noth Carolina), Richmond (Virginia), Riverside (Missouri), Seattle (Washington), Shakopee (Minnesota) e Virginia Beach (Virginia).

Live Nation ha chiarito di aver avviato l’operazione per poter portare grandi show dal vivo anche “in mercati musicali più piccoli e meno serviti” dalle grandi rotte internazionali della musica dal vivo.

“Questo investimento arriva in un momento in cui Live Nation nutre un ottimismo mai visto prima nei confronti dell'industria dell'intrattenimento dal vivo, trainata dalle attese riforme del sistema di biglietteria, dalla crescente domanda dei fan e dalla solidità dell'economia americana”, ha chiarito l’azienda, ribadendo “il pieno sostegno all'ordine esecutivo del Presidente Trump del 31 marzo, che prende di mira i bagarini”: “Rafforzare le tutele per gli artisti e i loro fan contribuirà ad alimentare una crescita ancora maggiore del settore, mantenendo al contempo più fondi nelle comunità locali in cui si svolgono gli eventi dal vivo. Insieme, questi sforzi rafforzano l'impegno a lungo termine di Live Nation nel rafforzare l'ecosistema della musica dal vivo americana, dalle grandi città al cuore degli Stati Uniti”.

"La nostra missione è semplice: aiutare gli artisti a offrire esperienze dal vivo più indimenticabili e, così facendo, creare posti di lavoro, rivitalizzare le città e sostenere le comunità con cui collaboriamo", ha dichiarato Michael Rapino, CEO di Live Nation: "Come azienda americana, generiamo un impatto positivo qui in patria, contribuendo al contempo a valorizzare ed esportare il meglio di ciò che questa nazione rappresenta: libertà, creatività, grinta e infinite possibilità".

Live Nation, maxi investimento da $ 1 mld in venue negli USA

18 nuovi spazi in città medio - piccole per diversi miliardi in ricadute economiche sui territori

Per mezzo di una nota ufficiale Tencent Music ha confermato l’acquisizione di Ximalaya, piattaforma di podcasting e contenuti audio che già nel 2023 vantava oltre 300 milioni di utenti attivi: l’operazione - che la società di Shenzhen ha chiuso grazie a una combinazione investendo sia cash (1,26 miliardi di dollari) che sotto forma di azioni - ha teoricamente dato luogo a un nuovo gigante sul mercato dei servizi audio cinese da oltre 800 milioni di utenti attivi mensili.

Alla luce del passaggio di proprietà, ha spiegato Tencent in una nota, “Ximalaya intraprenderà una ristrutturazione di alcune attività esistenti”: non è chiaro, al momento, l’indicazione possa comportare tagli al personale o fusioni tra divisioni delle due aziende.

A beneficiare indirettamente dell’acquisizione è stata anche Sony Music, che nel 2020 aveva acquisito una quota pari a 4,6 milioni di azioni di Ximalaya per 50 milioni di dollari.

Cina, Tencent Music ha acquisito Ximalaya

Il gigante dello streaming di Shenzhen ha messo le mani sulla piattaforma di podcasting

In un report compilato dagli esperti Dan Fowler e Katherine Bassett l’associazione di etichette indipendenti Impala ha attaccato il modello di retribuzione two tiers, quello - anche detto <a href="https://musicbiz.rockol.it/tutto-su/artist-centric-494626">artist&nbsp;centric</a> - adottato da oltre un anno a questa&nbsp;parte <a href="https://musicbiz.rockol.it/news-740414/artist-centric-spotify-adotta-la-soglia-dei-1000-stream-al-mese">da Spotify che non remunera le opere che restano sotto la soglia dei mille stream all’anno</a>.

Il documento, intitolato molto esplicitamente “Combating the Emergence of a Two-Tier Music Streaming Market”, è indirizzato - spiega la stessa Impala - “a tutti gli anelli della filiera musicale, compresi i servizi per artisti ed etichette, con diverse raccomandazioni rivolte ai decisori”. Il rapporto "identifica un divario sempre più ampio tra i grandi aventi diritto e player indipendenti, causato dal consolidamento del mercato, da politiche opache delle piattaforme e da nuovi modelli di monetizzazione che favoriscono sempre più la scala rispetto alla diversità” e, ovviamente, “l’affermarsi di un settore a due livelli”.

Il documento di Impala individua cinque “aree critiche” che richiedono, la parte del settore e dei legislatori, “attenzione immediata”: combattere “la diluizione dell'intelligenza artificiale e le frodi in streaming attraverso la collaborazione e la regolamentazione intersettoriale”; la riforma dei “modelli di distribuzione delle royalty&nbsp; per garantire un equo accesso a tutti i partecipanti al mercato” e l’aumento degli abbonamenti ai DSP in linea con l'inflazione; il miglioramento della “trasparenza nelle pratiche DSP, in particolare per quanto riguarda gli strumenti di incremento degli stream e la demonetizzazione dei contenuti”; “limitare e invertire il consolidamento del mercato per mantenere la diversità competitiva” e, in ultimo, “integrare la consultazione e la valutazione dell'impatto in qualsiasi futura modifica del settore al fine di evitare effetti indesiderabili”.

“In un momento in cui l'omogeneizzazione culturale è in aumento, dove l'intelligenza artificiale generativa sta sempre più mettendo la creatività innovativa in competizione con la derivazione di massa, rischiamo un futuro in cui la diversità musicale viene attivamente soppressa a livello commerciale”, ha commentato Fowler, al quale ha fatto eco il Presidente di Impala Dario Draštata: “Accolgo con favore questo rapporto, perché riflette la situazione attuale del mercato digitale. Il principio di demonetizzazione è fondamentalmente e giuridicamente errato. La concentrazione è un fattore che mina l'evoluzione del mercato e deve essere affrontato, insieme ai canoni di abbonamento, all'eccesso di offerta e alla diluizione causata dall'intelligenza artificiale e dalle frodi".

“La questione del potere di mercato emerge chiaramente da questo rapporto come causa fondamentale di molti dei problemi che osserviamo nel mercato dello streaming”, ha concluso Helen Smith, Presidente Esecutiva di Impala: “Concordiamo con la raccomandazione di limitare e persino invertire l'ulteriore concentrazione sui mercati”.

Nel suo <a href="https://musicbiz.rockol.it/news-752059/spotify-loud-clear-20-ricavi-yoy-artisti-italiani-streaming">ultimo rapporto Loud &amp; Clear, pubblicato nella seconda metà dello scorso maggio</a>, Spotify aveva sostenuto la bontà del proprio modello di remunerazione nei confronti delle realtà off-major, dichiarando che il 40% delle royalties generate su Spotify in Italia nel 2024 siano state corrisposte ad aventi diritto estranei al circuito delle multinazionali.

Impala: ‘Il modello two tiers minaccia gli indipendenti’

Il report dell’associazione: ‘Si amplia il divario tra grandi player e piccole realtà’

2020-2024: restare lucidi, per continuare a crescere

Grandi crisi e grandi entusiasmi. E, all'orizzonte, sfide ancora più grandi…

2015-2019: così rinasce la musica registrata

Lo streaming rilancia la discografica dopo oltre dieci anni di crisi. E, all’orizzonte…

2010–2014: perché nulla cambi bisogna che tutto cambi

Lo streaming spariglia le carte, in discografia e altrove

2005–2009: crisi e piattaforme, la reinvenzione dell’industria

Dai social alle prime app, la musica si ripensa e sopravvive

All’alba del nuovo millennio, l’industria musicale si ritrova catapultata in uno scenario radicalmente mutato. I primi cinque anni degli anni Duemila sono un cantiere aperto, un campo di battaglia in cui convivono i fasti (in declino) del mercato tradizionale e le fratture profonde di una rivoluzione digitale ormai innescata.

Il 2000 segna l’inizio della più grande crisi che la discografia abbia mai conosciuto. Napster è sulla bocca di tutti. Lanciato l’anno prima da uno studente diciottenne, permette a chiunque, in qualunque parte del mondo, di scaricare gratuitamente musica in formato MP3. Non serve alcuna competenza tecnica, basta una connessione e qualche click. Le major discografiche — ancora solide, lente e verticali — reagiscono con durezza, ma senza una strategia: parte la battaglia legale, ma intanto milioni di utenti abbandonano i negozi di dischi.

Nel luglio 2001, dopo una serie di cause clamorose, Napster viene spento. Ma non è la fine: è solo l’inizio. Subito dopo nascono alternative decentralizzate come Kazaa, Gnutella, Soulseek, LimeWire, che rendono la condivisione musicale ancora più diffusa e incontrollabile. La pirateria diventa fenomeno di massa, un gesto quotidiano, sociale. I giovani crescono con l’idea che la musica sia gratuita, accessibile, fluida. La cultura cambia — e il business annaspa.

Nel frattempo, Apple osserva, studia e prepara la sua mossa. Nell’ottobre 2001 presenta l’iPod, un lettore musicale portatile elegante, capiente, intuitivo. All’epoca sembra solo un accessorio di nicchia, ma è il primo passo di una trasformazione radicale: non solo per l’azienda che prima del richiamo in servizio del demiurgo Steve Jobs era sull’orlo del collasso e che risorgerà mettendo la musica al centro della sua nuova strategia, ma per l’intera industria discografica. Nel 2003 arriva l’iTunes Store: 99 centesimi per una canzone, scaricabile legalmente, con copertina, metadati e qualità audio garantita. Le etichette salgono a bordo e firmano accordi: è il primo tentativo serio di riportare la musica digitale dentro un perimetro legale e commerciale.

In parallelo, nascono esperimenti embrionali di streaming: RealNetworks lancia Rhapsody, Yahoo compra Launch, e si affacciano servizi come Last.fm (fondato nel 2002), che unisce ascolto e raccomandazioni sociali. L’idea che si possa ascoltare musica senza possederla comincia a germogliare. È ancora un terreno pionieristico, ma già molto fertile.

Contemporaneamente, anche il modo in cui si scopre e si diffonde la musica comincia a cambiare. MySpace, nato nel 2003, offre a migliaia di artisti una vetrina diretta verso il pubblico, senza passare dalle etichette. Le band caricano canzoni, parlano con i fan, costruiscono comunità. Il concetto di “profilo artista” — che diventerà standard negli anni successivi — nasce lì, tra pagine HTML personalizzate, foto sgranate e player integrati. È anche l’inizio di una nuova visibilità disintermediata per la musica indipendente.

Nel 2004, mentre l’industria musicale si dibatte e si ristruttura con pesanti sacrifici, inizia in sordina un’altra rivoluzione: Mark Zuckerberg lancia Facebook. Nasce in un dormitorio di Harvard, ma in pochi mesi si espande ad altre università. Non è ancora minimamente annoverabile tra i media musicali, ma il concetto di “condivisione sociale” — anche della musica — si insinua in modo profondo. L’ascolto sta per diventare visibile, pubblico, commentabile.

La discografia globale, però, è nel caos. I ricavi crollano. Tra il 2000 e il 2004, secondo IFPI, il mercato perde circa un terzo del suo valore. I dirigenti parlano di “crisi del settore”, ma non hanno ancora strumenti né cultura per interpretare la portata del cambiamento. Sul piano culturale, intanto, la musica si smaterializza. Non solo perché diventa file, ma perché si sgancia dal suo contenitore tradizionale: l’album perde centralità, la canzone singola torna dominante, le playlist — seppur ancora artigianali — sostituiscono la tracklist. Cambia anche l’ascolto: frammentato, portatile, personalizzato. La figura dell’ascoltatore si trasforma: da consumatore passivo a collezionista, manipolatore, selezionatore.

A posteriori, il quinquennio 2000–2004 segna l’inizio del declino di un modello, ma anche la nascita di una nuova era. Il sistema non lo capisce subito. Gli artisti sono divisi: chi teme, chi sperimenta. Il pubblico, invece, ha già scelto. Il futuro è digitale. Ma il presente è, al momento, un campo di rovine, rimpianti e confusione. Tra rivoluzioni tecnologiche e trasformazioni culturali, tramonta l’era della musica come oggetto. Inizia, tra incertezze e slanci, l’era della musica come esperienza connessa, frammentata, ubiqua.

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Leggi anche:&nbsp;<a href="https://www.rockol.it/news-751900/rockol-musicbiz-30-timeline-2000-2004-la-grande-frattura">2000–2004: la grande frattura</a>

2000–2004: la musica entra nell’era digitale

Napster e iTunes, pirateria e streaming primordiale: in 5 anni tutto cambia, ma nessuno è pronto

L’industria discografica vive il suo canto del cigno analogico tra il 1995 e il 1999, quando la musica eèra ancora un oggetto fisico, la TV musicale detta gusti e mode e la neonata Internet inizia a scrivere la sua rivoluzione silenziosa. Cinque anni che equivalgono a un laboratorio di transizione, durante i quali la vecchia e ricca economia musicale conviveva con i primi segnali di un futuro digitale sconvolgente.

Il 1995 è l’anno in cui Internet venne finalmente sdoganata, tracimando dai soli ambienti militari e accademici - dove negli ultimi anni si era sviluppata ed era rimasta confinata - per diventare una piattaforma commerciale. Restava, però, ancora un articolo per pochi intimi, in Italia più che nel resto d’Europa e in Nord America. Netscape è il browser più usato e Yahoo! il portale più noto al mondo, mentre da noi gli utenti si affacciano sul world wide web grazie a Italia Online e Virgilio.

In ambito musicale, nel frattempo, il 2 giugno debutta il primo sito tematico italiano, Rockol.

In questo lustro il mercato discografico mondiale fattura intorno ai 40 miliardi di dollari annui, il supporto dominante è il CD e le sei major – già, a quel tempo erano sei: PolyGram, Sony Music, Warner Music, EMI, BMG e Universal/MCA – controllano circa il 90% del mercato. Tuttavia, proprio in una fase di espansione apparentemente infinita e con un modello di business semplice e con margini elevatissimi (ossia, vendita di prodotti fisici a 20-30mila lire l’uno), sotto la superficie iniziano a incresparsi le acque.

MTV, ormai con oltre quindici anni di attività ed espansione alle spalle, detta legge tra i media musicali e indirizza gusti e tendenze a livello globale. I ‘suoi’ videoclip trasmessi H24, di per un format televisivo dirompente capace di favorire l’ingresso del rap nel mainstream, in quel periodo raccontano soprattutto il dualismo tra britpop e grunge. L’emittente americana sbarca in Italia l’1 settembre 1997 e anche da noi si impone presto come centro della promozione. Il video si è posizionato, a sua volta, al centro delle strategie promozionali di label e management, assurgendo a strumento cruciale di marketing e di branding, con un’alta soglia di investimento e a esclusivo supporto della monetizzazione di altro (dischi e biglietti di concerti).

Tra il 1997 e il 1999, la RIAA inizia a registrare una stagnazione nei ricavi e una progressiva erosione delle vendite di singoli fisici – in parte intaccate dall’adozione dei CD masterizzati o dalle compilation autoprodotte. Si potrebbe quasi definire questa come una fase “pre-pirateria”: il digitale, già affermatosi da tempo all’interno del prodotto fisico (CD), comincia a smaterializzare la musica. Anche se i tempi non sono ancora maturi per scaricarla via Internet, già si duplica in casa; il margine delle case discografiche rimane alto, tuttavia la fedeltà del pubblico nei confronti dell’oggetto-disco inizia a indebolirsi. Sono le prime crepe che si formano sulle pareti di un modello e di un’intera industria – invisibili, sì, ma profonde.

Nel 1999 Napster – lanciato in estate – mostra all’improvviso al mondo quale impatto possa avere la scoperta del file sharing da parte di un’intera generazione. Quel software peer-to-peer, in grado di scambiare file in formato MP3 in pochi minuti, coincide con la prima, violenta scossa tellurica per l’industria discografica. L’MP3 sta già cambiando la fruizione della musica: compressa, illegalmente gratuita, istantanea. Il futuro è già arrivato e gli utenti sono già pronti - le label, comprensibilmente, proprio no.

In concomitanza con la fine del decennio, del secolo e del millennio - un’epoca in cui &nbsp;l’industria esprime sia la sua massima potenza che una colpevole miopia strategica - qualcosa sta per mutare definitivamente. Mentre dietro le quinte un redivivo e geniale Steve Jobs è già al lavoro sul concetto di iTunes; mentre l’autorità dei gatekeeper inizia a vacillare; mentre comincia per la discografia la sua crisi più profonda, si prepara l’ultimo atto dell’industria musicale come l’avevamo conosciuta fino ad allora.

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 <div class="rockol-embed-mixtape__inserto-title">L'industria musicale tra il 1995 e il 1999</div>
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