Arci ha lanciato “FestA! Il Manifesto dei Festival”, documento frutto di un percorso partecipativo che ha visto coinvolte oltre sessanta realtà operanti nel settore in tutta Italia: il report - già presentato pubblicamente a Jazz is Dead a Torino, Parco della Montagnola di Bologna e alla Festa dei circoli di Arci Roma, nasce - spiegano i portavoce di Arci - per “rivendicare l’esigenza di sostenere e promuovere un’offerta culturale diffusa e popolare, che provi a mettere in discussione le distorsioni dell’industria culturale”. “Per redigere e condividere il Manifesto, si è lavorato contaminando i diversi punti di vista, coinvolgendo reti, organizzatori, promoter, comunità locali, operatori e anche fruitori, a partire dalle esperienze che si riconoscono nella rete Arci, uniti da una missione trasformativa e non estrattiva, popolare e non elitaria, politica - nel più alto senso del termine, quello culturale - e non commerciale, perseguendo la sostenibilità, la cura e non esclusivamente il profitto”, hanno spiegato i promotori dell’iniziativa, i cui particolari sono disponibili sul sito www.dirittoallafesta.it: “Se con il termine ‘eventification’ si descrive il fenomeno con il quale, in un dato lasso di tempo, tutto può essere messo in vetrina e venduto, dal suono ai nostri corpi, dal patrimonio naturale a quello culturale, per favorire l’attrattività di un territorio o per sbancare al botteghino, allora noi preferiamo parlare di ‘diritto alla festa’. Proprio negli ultimi tempi è uscita in maniera significativa la polemica sui finti sold out negli stadi: questo a riprova di quanto ci sia un meccanismo vizioso che specula da un lato sulla pelle degli artisti e dall'altra gioca a drogare il mercato musicale, a guidarlo verso grandi eventi insostenibili per tutti. Festa è l'occasione per rimettere al centro l'attenzione sui festival come formati culturali attenti alle esigenze di artisti, pubblico e territori”. “I Festival generano economie, promuovono la crescita del lavoro in ambito culturale, valorizzano professioni e maestranze”, conclude Arci: “L’impatto sociale ed economico dei Festival è spesso invisibile e misurato nei soli termini del numero di spettatori, mentre crediamo sia fondamentale valorizzare l’impatto sociale che i Festival possono avere sulle comunità: in questo senso, il Manifesto è anche l’occasione di ribadire che, oltre all’economia del mutualismo e dell’autorganizzazione, la cultura ha bisogno di un importante sostegno statale, che per molte discipline oggetto dei nostri festival manca o è stato drasticamente tagliato. Per l’Arci e i suoi partner, i festival sono i luoghi e gli spazi in cui costruire comunità temporanee e nuove visioni, per ridefinire i nostri immaginari e rigenerare il paese, ripensando in senso ecologico sia le prassi produttive che i contenuti: i festival, dunque, come ecosistemi di relazione, poiché per noi ridurre l'impatto ambientale delle nostre feste è una priorità assoluta. Il nostro obiettivo è costruire feste libere e popolari, in grado di attraversare le crisi e le trasformazioni del presente, che stiano dalla parte di chi è sfruttato, che propongano culture indipendenti, decoloniali, transfemministe, queer, antiabiliste. Festival che aspirino ad essere co-costruiti con le comunità locali, i circoli e le reti, senza mai imporsi al territorio”. "L'uscita del manifesto dei festival promosso da Arci ha coinciso per puro caso con l'esplosione del caso dei finti sold out dei grandi eventi. Tutto ciò rafforza il discorso di fondo del manifesto, che prova a raccontare una scena diffusa nell'intero paese di festival creati dal basso, che sono in grado di contribuire in maniera fondamentale al bisogno di aggregazione e di accesso alla cultura e a diversificare l'offerta culturale", ha dichiarato Marco Trulli, responsabile cultura di Arci nazionale: "Peccato che ad oggi la politica troppo spesso sembra ancora voler premiare la retorica dei grandi eventi, che invadono i territori e rafforzano i meccanismi di omologazione culturale".